Thursday, November 21, 2024

Life- DOLCEMENTE COMPLICATE

27/2010

Text: Emma Santo

 

Noi donne siamo incontentabili, da che mondo è. Ci piace l’uomo tenebroso perché sta zitto, guarda altrove, è perso nel chissà chi o nel chissà cosa. Soprattutto, a renderlo affascinante ai nostri occhi che sono sicuri di vedere cose che voi umani maschi non potreste neanche immaginare, è il pensiero che il tenebroso ne abbia tanti, di pensieri, che gli frullano nella testa, nel cuore duro fuori ma morbido dentro – e su questa morbidezza ci mettiamo la mano sul fuoco, basta essere sicure di aver intravisto quel piccolo germoglio di luce nel loro sguardo finto truce. Su quale pianeta staranno atterrando i suoi sospiri, mentre fa le avances solo alle signore di paglia, inebriati da tutto quell’eau de tabacc. Chi starà cercando nel fondo di quel bicchiere stregato da una rossa doppio malto a cui resistere non può. Ma soprattutto, perché ci guarda e non favella. A cosa mai starà pensando? Ecco. È su questo punto interrogativo martellante come vien bene solo su un chiodo fisso che casca l’asina. Perché il più delle volte l’uomo avvolto dalle tenebre è rimasto al buio anche nella mente. Ma parla così poco che spesso ci illudiamo che i pensieri migliori se li tenga per sé per poi tirarli fuori al momento più opportuno, che so, un anniversario, un compleanno, una proposta di matrimonio. Anche se alla fine gliela facciamo noi, fa lo stesso. Chi tace acconsente, quindi abbiamo vinto comunque. E poi al diavolo, è così figo con quel broncio alla Scamarcio, quello sguardo alla Johnny Depp, la pelata alla Montalbano e la zeppola di Nichi Vendola. Ci può bastare, ci diciamo convinte. Infine succede che riusciamo a farlo cadere nella rete delle nostre calze firmate e lo portiamo all’altare dove basta strappargli solo due semplici parole, “sì” e “lo voglio”, il resto lo aggiungerà il vocabolario della vita da aggiornare insieme. Il guaio, però, è che il 90% di questi vocaboli ce li mettiamo noi, continuando a tormentarlo con domande del tipo: “Perché non parli mai? A cosa pensi? Ma perché sei così serio?”. Staremo tutto il tempo a lamentarci perché è asociale, introverso e musone, dimenticandoci che l’abbiamo scelto proprio per quel motivo lì, per quel sorriso che non c’era ma che caparbiamente abbiamo voluto vedere nascosto in qualche angolo sperduto del suo cuore, pronto a venir fuori nel prima o nel poi. Allora meglio buttarsi su un altro tipo di esemplare maschile, il buffone di corti e cortigiane, il giullare che ci fa ridere ridere ridere ancora, così la guerra quotidiana paura non fa. Con Dottor Jekyll e Mister Smile tutto sembra leggero, superabile, semplice. Tutto è un gioco, basta conoscerne le regole. E la regola d’oro è non chiedergli mai di diventare serio. Invece a un certo punto realizziamo che ridere allunga sì la vita, ma quella delle zampe di gallina, e allora basta, pensiamo alle cose serie e per una volta, dai, sii serio anche tu, che non siamo più bambini sperduti, l’isola che non c’è l’abbiamo buttata in pasto ai coccodrilli, ci resta questa che c’è, è qui e ti chiede di crescere in fretta e di pensare a mettere il lavoro prima di te stesso e della tua simpatia. “Suvvia, non è il momento di scherzare”, gli ripetiamo fino a sfiancarlo così tanto da fargli sparire quel sorriso che ci aveva rubato il cuor. Così tanto che alla fine avrà sempre un’aria depressa, ma solo con noi, pronte ad intonare il ritornello del “perché con me non ridi più”. Dolcemente complicate, cantava la Mannoia, scriveva un uomo che voleva andarci piano. La lista potrebbe andare avanti all’infinito. Deve essere romantico ma non troppo, rude ma non troppo, premuroso ma non troppo, sfuggente ma non troppo. Quel ‘ma non troppo’ è la ricetta essenziale per farci sentire appagate. E anche in quel caso non è detto che gli ingredienti ci vadano davvero bene, ma soprattutto siamo noi che dobbiamo impastarli, altrimenti si perde il gusto (e quindi si va nella perdenza assoluta). E l’uomo in tutto questo bazar mentale? L’uomo ha una certezza universale: vuole stare tranquillo. Fate l’amore, non fate la guerra ma soprattutto riservategli la pace. Noi forse non lo sappiamo ma mentre invadiamo il suo territorio con parole pour parler, problemi reali e immaginari, crisi di pianto, di panico, premaman, postparto, bastimenti carichi di ormoni in tilt, lui è tornato sulla sua isola felice. Da solo, stavolta. Non la vediamo ma è lì, dove il senso di quello che diciamo non potrà mai raggiungerlo. Figuriamoci noi.