text_Silvia Buchner e Gennaro Sarnacchiaro
Le spiagge dell’isola d’Ischia stanno cambiando, scompare la sabbia, franano i costoni e, se è pur vero che modificazioni morfologiche sono inevitabili, sembra evidente che negli ultimi anni si sia instaurata una tendenza alla disgregazione di un patrimonio naturale che è di primaria importanza per il turismo e l’identità dell’isola. Le rilevazioni sistematiche eseguite dall’Istituto per l’Ambiente Marino e Costiero del CNR e dall’Autorità di Bacino della regione Campania mostrano chiaramente che una serie di fattori concomitanti ha reso sempre più fragile un organismo complesso qual è quello della spiaggia che, nella sostanza, è costituito da un equilibrio negli apporti di materiale solido – la sabbia – che altro non è che il risultato della lavorazione ad opera del mare di terreno e frammenti di roccia. In altre parole, la sabbia non è sempre stata dove si trova, ai Maronti, a Citara o alla spiaggia della Mandra ci è arrivata e vedremo da dove, e la presenza di fattori favorevoli (correnti, venti, ripari naturali costituiti da promontori, ecc.) ha consentito la formazione dell’arenile, che praticamente in tutti i casi delle spiagge isolane si trova lì quanto meno da secoli. Il principale alimentatore delle spiagge ischitane è il loro retroterra, costituito da colline, pareti rocciose, terreni, valloni, tutte aree che per la loro stessa costituzione hanno garantito per lungo tempo un regolare apporto di quei materiali che il mare si sarebbe poi incaricato di trasformare in sabbia. La presenza del mare, d’altra parte, rende le spiagge un ambiente soggetto a mutamenti stagionali: d’inverno sono battute dai marosi e perdono la loro sabbia che, però, viene di solito riportata dal mare stesso nella stagione successiva. Oggi, su molte spiagge dell’isola d’Ischia questo meccanismo si è inceppato e la conseguenza, che sta assumendo connotati drammatici in tempi assai veloci, è che scema sempre più l’apporto di nuova sabbia e la poca che c’è quando viene trascinata via dal mare in inverno, nella stagione successiva non viene restituita: ne consegue che nel giro anche di soli 5-6 anni i litorali hanno cambiato volto. Esaminiamo le ragioni di quanto accade. L’apporto di materiali che diventeranno sabbia si è drasticamente ridotto a causa di una serie di interventi compiuti alle spalle delle spiagge per le ragioni più varie, alcune sicuramente legittime e necessarie, altre decisamente meno. Primo responsabile è la continua cementificazione: la creazione di edifici, ma soprattutto di parcheggi ed aree asfaltate subito a monte delle spiagge e l’eliminazione (o ostruzione o limitazione, a secondo dei casi) dei tanti canaloni naturali o alvei presenti in tutta l’isola e che indirizzavano verso la costa le acque piovane e i detriti di terra e roccia da esse trasportati, impediscono il regolare e continuo ripascimento naturale che avveniva in precedenza. Non è un caso che spiagge ampie come i Maronti abbiamo alle spalle addirittura una serie di questi canaloni (le cosiddette cave) e che la spiaggia del Lido a Ischia (anch’essa in buona parte oggi penosamente depauperata e in molti tratti del tutto scomparsa) accolga “la foce” del Rio Corbore, un ex alveo spontaneo che dalla zona di Barano scorre fino ad Ischia e che oggi, però, è tombato sotto le strade e ridotto praticamente a canale fognario. Meritano un discorso a parte realizzazioni come muraglioni e terrapieni artificiali che sono presenti ovunque a monte delle spiagge (l’esempio più evidente è lungo i tornanti che conducono alla spiaggia dei Maronti), a protezione di alberghi, ville, terreni, strade: essi sono, infatti, indispensabili per garantire la sicurezza di persone e cose, tuttavia, è chiaro che bloccano, oltre a massi e frane, anche un corretto apporto di detriti alle spiagge. Diverso il discorso per le aree asfaltate e cementificate fino a ridosso dell’arenile (è molto evidente a Citara ma anche a S. Francesco, a Forio): in quei casi si rischia, in prospettiva, di trovarsi comodi parcheggi destinati a spiagge che si riducono sempre di più, con la conseguenza che diminuiranno inevitabilmente anche i bagnanti che di quei parcheggi, hotel, luoghi di ritrovo dovrebbero fruire! Perdere le spiagge, infatti, significa una perdita secca di immagine e appeal per un’isola che di turismo balneare sostanzialmente vive. Ma c’è di più: perdere le spiagge vuol dire privarsi di una fondamentale difesa dall’erosione delle coste su cui sorgono, perché con la loro presenza attutiscono notevolmente l’impatto demolitivo delle onde sul territorio circostante. Perdere questa sorta di cuscino naturale significa aggiungere un ulteriore, grave tassello che contribuisce a demolire le nostre coste, costituite spesso da materiali teneri dal punto di vista geologico e che, quindi, sentono duramente l’impatto delle modificazioni che stanno avvenendo, favorendo fenomeni franosi della cui portata ancora non siamo in grado di valutare le conseguenze. Si è innescato dunque un circolo vizioso che adesso risulta difficile spezzare, e i tentativi di riparare ai danni si stanno rivelando rovinosi. La scelta pressoché unica che è stata fatta in questi anni nell’isola d’Ischia, con l’eccezione parziale della spiaggia dei Maronti e di quella di S. Montano come vedremo, è di realizzare imponenti opere a mare sotto forma di scogliere, e muraglioni a terra: diciamo subito che purtroppo il bilancio di questi interventi è fallimentare e in alcuni casi disastroso, in particolare, per quanto riguarda le scogliere. Queste ultime sono, infatti, strutture che andrebbero posizionate solo dopo accurati studi delle correnti che governano gli specchi d’acqua, compiuti da specialisti competenti, con le strumentazioni adatte ed eseguendo misurazioni ed analisi almeno nel corso di un anno, per comprendere tutte le stagioni climatiche. Si assiste invece alla posa di scogliere dalla notte al giorno, una sorta di abusivismo del mare, senza studi preliminari (o con studi sommari), ad opera sempre più spesso di privati che intendono difendere singoli tratti di costa lunghi anche poche decine di metri, perché al di sopra vi sorge una villa o un albergo, o davanti si trova uno stabilimento balneare senza tener in alcun conto delle conseguenze che ciò comporta. L’Autorità di Bacino, l’organismo regionale preposto al controllo del territorio finalizzato alla difesa del suolo, che regolarmente visita le nostre coste, ad ogni perlustrazione individua nuove scogliere, che sono state collocate senza neppure segnalarlo e spesso sono prive dei certificati di agibilità.
L’uso delle scogliere, se rigorosamente regolamentato, è positivo: il loro compito dovrebbe essere di difendere le coste (e le spiagge) attenuando l’impatto delle onde che, “rotte” dall’ostacolo arrivano a terra avendo perso una parte della loro potenza distruttrice. Ma se vengono calcolati male altezza, larghezza, distanza dalla costa, posizione della scogliera, essa non potrà svolgere il compito per cui è stata posata (è questo il caso delle barriere soffolte, cioè messe sotto il pelo dell’acqua, di fronte ai Maronti e che risultano nella sostanza inutili perché così come sono non riescono a attenuare la potenza dell’onda). Ma la cosa più grave è che scogliere calcolate male da elemento positivo possono trasformarsi in fattori fortemente negativi, perché influiscono pesantemente sulle correnti che si muovono sotto costa e che sono assolutamente indispensabili per garantire il ritorno stagionale della sabbia che le tempeste invernali hanno portato via. Quando questo flusso libero delle correnti viene deviato e/o interrotto da scogliere e pennelli accade ineluttabilmente che la sabbia scompaia: spesso i gestori degli impianti balneari e i sub raccontano che rimane depositata appena a qualche centinaia di metri al largo delle spiagge, bloccata oltre le scogliere che le spiagge avrebbero dovuto proteggere e che si sono trasformate in un ostacolo insormontabile al ritorno della sabbia. E’ questo il caso della spiaggia degli Inglesi, a Ischia, dove ai lati della rada in cui sorge sono spuntate numerosissime strutture a mare posizionate in modo arbitrario, a difesa di singoli tratti di costa – dalla località Castiglione fino ai confini con il porto – e che hanno avuto la conseguenza di privare del tutto la spiaggia della sua sabbia, che in parte si trova al largo e in parte si è spostata verso spiagge limitrofe, fenomeno questo molto frequente quando si sconvolge l’equilibrio degli arenili. Anche la spiaggia del Lido, sempre a Ischia, vede il tratto chiamato di S. Pietro crescere, mentre quelli che vanno fino a Ischia Ponte sono sempre più depauperati.
E’ evidente che la concomitanza di più fattori negativi (diminuito apporto di detriti, scogliere mal posizionate, conseguente erosione della costa provocata dai marosi) ha sconvolto l’equilibrio naturale su molti lidi al punto che esso non è in grado di ricostituirsi da sé: è necessario, quindi, un intervento esterno, cioè il ripascimento.
Tuttavia, come per le scogliere, anche un ripascimento realizzato senza attente valutazioni tecnico-scientifiche può essere fonte di seri problemi, per più ragioni. Da una parte, il ripascimento è un’operazione economicamente onerosa, quindi va preservato, altrimenti nel giro di pochi anni si rischia di vederlo disperso; dall’altra, poiché si tratta di un intervento esterno che impatta su un habitat articolato, che si compone di una parte emersa ed una sommersa (l’arenile e i fondali contigui), deve essere compatibile con il contesto esistente. Nell’isola d’Ischia sono stati eseguiti due ripascimenti importanti, alla spiaggia di S. Montano, a Lacco Ameno, e ai Maronti, a Barano. Quest’ultimo, in particolare, realizzato nel 2003 all’indomani di una terribile mareggiata che spazzò via tutto l’arenile, ha retto bene, anche se in località Fumarole (verso S. Angelo) la spiaggia arretra a causa di una scogliera mal posizionata (!) e sicuramente le strutture che chiudono il porto del piccolo borgo condizionano negativamente la spiaggia più grande dell’isola d’Ischia, interferendo con il libero flusso della corrente sotto costa, essenziale – ricordiamolo – per riportare a terra la sabbia sommersa. Tuttavia, il caso dei Maronti costituisce un esempio emblematico di come siano delicati i ripascimenti: la sabbia infatti, fu prelevata senza una corretta analisi granulometrica, indispensabile per scegliere una sabbia che sia compatibile con quella che già costituisce naturalmente la spiaggia. Ciò ha comportato che per anni siano rimaste in sospensione nell’acqua minuscole particelle che l’hanno resa torbida oltre il normale: ciò condiziona negativamente la vita di fauna e vegetazione marina e influisce sull’aspetto del mare e quindi sul piacere che dà a chi fa il bagno. Selezionare una sabbia che sia il più possibile affine a quella della spiaggia è quindi un passaggio essenziale, mentre oggi sempre più nell’isola si parla di ripascimenti da eseguire con sabbie addirittura portate da cave della terraferma. Gli studiosi su questo punto sono concordi: bisogna adoperare una sabbia del posto, prelevata a largo delle spiagge con i necessari accorgimenti (altrimenti si devastano habitat unici come la prateria di posidonia che si trovava davanti ai Maronti, e fu distrutta nel 2003 dalle benne che prelevarono la sabbia per il ripascimento), e non ricorrere a minerali che vengono da fuori con tutte le incognite di turbamenti ambientali che comportano, non ultima anche la presenza di elementi inquinanti.
Se, dunque, appare chiaro che per aver eseguito interventi senza criterio sia a terra che a mare lungo ampi tratti di litorale, oggi tutti i comuni dell’isola si ritrovano spiagge fantasma, è altrettanto chiaro che cercare di porre riparo senza studi preliminari e senza progetti concepiti da persone esperte può solo peggiorare le cose.
Privati, imprenditori, concessionari degli stabilimenti balneari, amministratori, tecnici comunali – che sono i protagonisti di questo che rischia di diventare un vero “dramma” – devono smettere di muoversi guardando solo al piccolo tratto di spiaggia che per una ragione o per l’altra li interessa, per entrare nell’ordine di idee che investire in progetti seri, lungimiranti, che tengano nel necessario conto le complesse variabili che si innescano quando si agisce su un habitat naturale, è l’unico modo per salvare un patrimonio altrimenti destinato a perdersi. Forse per sempre.
Gennaro Sarnacchiaro
Gennaro Sarnacchiaro è geologo, specializzato in geologia marina e tecno- logo presso l’Istituto per l’Ambiente Marino e Costiero (IAMC) del CNR di Napoli, che fa ricerca e ricerca applicata per sviluppare sistemi innovativi per la gestione delle zone costiere (geologia e cartografia tematica, geologia ambientale, valutazione dell’impatto antropico in aree sensibili e porti) e per la valutazione e previsione di rischi naturali lungo i litorali. Il dr. Sarnacchiaro cura, fra l’altro, lo sviluppo di programmi di ricerca nazionale ed interna- zionale e di iniziative inerenti alla valorizzazione del ruolo della geologia come strumento di supporto alle amministrazioni locali per la salvaguardia dell’ambiente.