Quella di Di Costanzo è un’opera mol- teplice, verrebbe da dire eclettica, per i riferimenti che vi appaiono talvolta più espliciti, talvolta in filigrana. In alcune terrecotte arriva l’eco dell’opera di Aniel- lantonio Mascolo, che a sua volta aveva contratto contaminazione dagli scultori fiorentini prerinascimentali. Nelle tante ‘teste’ appare talvolta una figurazione naif. Altre volte una ricerca maggior- mente ‘realista’. Ma anche una volontà di ‘deformazione’ (un debito po- trebbe essere con la pittura di Fancis Bacon). Altre volte, ancora, affiora una volontà dell’autore di mettere in forma la tensione cui sottopone la figura o la tensione tra due figure in relazione antagonista tra loro. In ogni caso, Di Costanzo non imita i maestri che pure chiunque opera nel campo dell’arte ha. Se, infatti, il paradosso dell’artista – come afferma il premio Nobel per la letteratura Josif Brodskij – è di essere tanto più ricco quanto più indebitato, è altrettanto vero che ogni debito deve restare sommerso nell’opera, a pena del plagio, del manierismo e perfino del falso.
Nulla di tutto ciò nell’opera di questo attore oscuro e silenzioso sulla scena artistica dei luoghi in cui ha vissuto. Piuttosto, i sintomi di una ricerca ine- sausta, incurante di pedanti coerenze e riconoscibili enzimi – non sempre innocenti – del ‘mercato’. Nei termini materiale, matrice, materia, maternità risuona la radice sanscrita “mat” che significa misurare con la mano, costruire. Nel caso della scultura, materiale e costruzione non sono uno mezzo per l’altra ma unità inscindibi- le. Ovviamente, nel caso della scultura – a differenza che in architettura ad esempio – la costruzione è da intendere come rivelazione dell’opera attraver- so un processo di sottrazione di una parte della materia di cui si compone l’opera stessa.
Credo che nei suoi lavori Di Costanzo affermi questa volontà di rapporto tra sé e la sua opera. E così affiora, man mano, una silenziosa, umile aspirazione a cercare, dentro le pieghe di ogni scultura, piuttosto che una loro comune identità, la messa a fuoco di un sempre rinnovato stupore per la vita sempli- ce, di una personale, silenziosa visione del mondo a contatto con le materie prime della terra e della pietra.
text_Francesco Rispoli