19/2008
Photo: Marco Albanelli
Text: Riccardo Sepe Visconti
Recentemente sul manto stradale di alcune vie dell’Isola sono comparse delle grandi scritte disegnate da persone innamorate, così mi è venuta la voglia di…
Vorrei parlare d’amore e per farlo vi racconterò una vecchia storia, in parte molto bella in parte tragica, ma comunque una grande storia d’amore, eccola: Rita ed Eugenio, lei decisamente bella, di una bellezza pulita e semplice, origini molto umili, elegante, sensibile, votata all’arte, 26 anni; lui 36 anni, laureato, guascone, estroverso, famiglia molto agiata, determinato.
Lui la conosce, la corteggia, si innamora. Si innamora anche lei, vincono la diffidenza delle famiglie, in breve si sposano. Felici, assolutamente felici. Si completano, si amano, si aiutano. Profondamente. Perdutamente. Indissolubilmente.
Nasce il primo figlio, Giorgio, muore. Poi la seconda, Simona, gioia assoluta. Infine arriva il maschio, ma il vento del destino cambia direzione e diventa avaro: la vita a disposizione sarà una sola: lei muore di parto, il figlio vive.
Un vecchio scrittore italiano degli anni ’30 (Pitigrilli) in un suo romanzo (parlando di un’iscrizione sulla lapide di un cimitero) scrisse: “Qui è sepolto un uomo morto a trent’anni, vissuto fino a settanta”. Così fu per Eugenio: morta la sua compagna morì anche lui, almeno dentro.
Da quel giorno, per quanto i figli crescessero, il suo cuore fu legato unicamente al suo più grande, unico, assoluto Amore. Dal giorno della morte della giovanissima Rita, aveva fatto rimuovere dalla casa tutte le foto di lei, ogni cosa, anche la più piccola, che potesse ricondurre i ricordi a lei. Rita esisteva solo nel suo cuore e da nessun’altra parte. L’ultimo nato non seppe mai né quale fosse il volto della madre e neppure il suo nome (li scoprirà solo da adulto).
Il tempo passava ma Eugenio si consumava, per Amore. Per un Amore eterno ed eternamente spezzato. Questa fu la sua grande dannazione. Ma almeno lui il grande Amore l’aveva vissuto.
Eugenio poiché era un ingegnere fece costruire un piccolo marchingegno che pose all’interno della cappella di famiglia. Quest’arnese era una sorta di piccone montato su un meccanismo a pendolo, che sarebbe entrato in azione colpendo e sfondando le rispettive bare il giorno in cui quella di lui sarebbe stata posta al fianco di quella di lei: la sua idea era quella di far mischiare le loro ceneri all’infinito.
Fu così che il giorno che Eugenio si suicidò la bara fu posta vicina a quella del suo perduto Amore e Rita ed Eugenio finalmente riposarono insieme, per sempre.
Non ha più alcuna importanza se per questa storia d’Amore molte altre persone hanno sofferto: per la morte di lei e perché assistettero impotenti al lacerante dissolversi di lui (si chiama “graffio dell’anima”). La sola cosa importante fu che loro si amarono. E che il loro amore sopravvisse alla morte.
Non ho idea se esiste qualcosa oltre la vita e se oggi Rita ed Eugenio siano insieme o siano solo polvere confusa, ma confusa in un unico mucchietto. Quello che so è che i figli nati da questa storia non possono non credere nell’Amore eterno e, dannatamente come il loro padre, cercarlo fino all’ultimo giorno della loro esistenza.
E’ una favola triste ma è pur sempre una favola.
Chi mi conosce, poi, avrà capito fin dalla prima riga che il figlio di Rita si chiamava… Riccardo.
Venendo alle nostre scritte:
qualcuno avrà gridato al vandalismo, per me è solo un gesto molto, molto bello. Raccontare il proprio Amore a tutti, scriverlo a lettere gigantesche sul manto della strada, mi sembra intensamente romantico.
Non ho idea di chi abbia scritto quelle frasi e nemmeno di chi le abbia ricevute, ma penso che entrambi gli artefici di queste due enormi dichiarazioni d’Amore siano geni.
Scrisse Alda Merini: “Chi ama è il genio dell’amore”, sono d’accordo.
Buona fortuna, ragazzi.