Thursday, November 21, 2024

Vittorio Del Tufo giornalista e Sergio Siano fotoreporter, amici e colleghi, grandi amanti e professionisti del racconto, in particolare quello dedicato a Napoli, tornano a far parlare di sé con un nuovo libro realizzato a quattro mani – L’uovo di Virgilio – che vuole condurre il lettore lungo percorsi tanto fascinosi quanto inediti, resi particolarmente interessanti per la capacità che hanno di offrire una visione altra – eppure riconoscibilissima – della Città.

Tempo fa, firmando l’introduzione del mio Trentaremi (pubblicato da Rogiosi e corredato dalle straordinarie fotografie di Sergio Siano), l’antropologo Marino Niola scrisse che Napoli è una città più facile da riconoscere che da conoscere. Perché per conoscerla bisogna superare la barriera del colore e del folklore e penetrare il nucleo incandescente del genius loci. Lì dove risiede il mito. Scrisse anche, Niola, che a Napoli il mito non è mai lontano dal reale, ma è il soffio poetico che lo anima dall’interno, come un battito ancestrale: un respiro lontano e potente.

Questa doppia verità non ha mai smesso di esercitare su di me una fascinazione profonda. E ha sempre accompagnato il mio lavoro di ricerca dentro i luoghi della memoria e dentro la memoria dei luoghi.

Avevo in testa queste parole anche il giorno in cui (Trentaremi era uscito da poco, e altri libri, di entrambi, sarebbero venuti alla luce) affrontai Sergio Siano davanti alla stanzetta dove erano rintanati i fotografi ai tempi (mitici) di via Chiatamone (quanti ricordi in quella stanzetta: una vera officina della memoria). “Socio, vogliamo mica fermarci proprio adesso? Inventiamoci una pagina da pubblicare tutte le settimane”. Sergio mi guardò con quei suoi occhi curiosi e profondi – sono gli stessi occhi con i quali io guardo la città – e mi disse: “Quando cominciamo?”. Aveva già in mente la pagina, già la vedeva.

A vedere, per primo, il titolo della rubrica fu un altro collega a me particolarmente caro, Francesco de Core, che dopo aver passato in rassegna varie proposte sibilò: “L’Uovo di Virgilio, il nome dev’essere questo”. Centrato, al primo colpo.

Erano gli ultimi mesi del 2016, ci mettemmo immediatamente al lavoro sulla grafica della pagina per il Mattino – realizzata dalle sapienti mani di Riccardo Marassi – e, d’accordo con il direttore Alessandro Barbano, e il vicedirettore Federico Monga, oggi numero uno del giornale, affidammo al nostro grande amico Lello Esposito l’incarico di disegnare il logo. Lello, il cui atelier sorge nello stesso luogo dove molti secoli fa un principe mago, Raimondo Di Sangro, conduceva i suoi misteriosi esperimenti nel sottosuolo, lo buttò giù in un attimo. Era perfetto.

Napoli è una città straordinariamente complessa. E tuttavia è anche una città che si presta ad essere rappresentata all’infinito attraverso stereotipi e luoghi comuni: attraverso i suoi simboli, insomma, positivi o negativi che siano. In questo i turisti che (per fortuna) la invadono tutti i giorni dell’anno danno involontariamente una mano. Chi viene a Napoli, almeno una volta nella vita, lo fa anche per nutrirsi di stereotipi. Che siano pizza o babà, che siano Gomorra o il miracolo di San Gennaro. Il turista si sente rassicurato quando trova riscontro, nella sua visita, agli stereotipi che aveva immaginato. E ritorna a casa soddisfatto, rincuorato dalla conferma dei luoghi comuni di cui si era (preventivamente) abbeverato.

È un circuito quasi perverso. Il rischio è che il circo Barnum dei luoghi comuni alimenti continuamente se stesso. Ho sempre pensato che a Napoli ogni cosa sia destinata a trasformarsi in pastore. C’è il pastore-traffico e il pastore-parcheggiatore abusivo, c’è il pastore-Gomorra e il pastore-San Gennaro, che fa il miracolo senza se e senza ma, senza che nessuno più si chieda (ammesso che qualcuno se lo sia mai chiesto) come diavolo è possibile che il liquido ‘prodigioso’ contenuto nelle ampolle muti il suo stato solidificandosi e sciogliendosi più volte all’anno, da centinaia di anni. E poi c’è il pastore-pastore, ovvero il pastore all’ennesima potenza.

Napoli, proprio in quanto luogo più facile da riconoscere che da conoscere, è anche una città che va continuamente in scena, sotto gli occhi del mondo. Tutti amano rap-presentarla ed essa stessa ama autorappresentarsi, di continuo. Giuseppe Marotta, in uno dei racconti che compongono la raccolta L’oro di Napoli, descriveva così questo corto circuito: «Il dolore dei napoletani di tutti i ceti è purtroppo autentico, pensai. Essi inventano Napoli, si raccontano con qualche enfasi, con qualche compiacimento; ma trovano sollievo e consolazione in questo recitarsi: il giorno in cui deponessero o frantumassero lo specchio innanzi al quale si mettono a soffrire, non vorrei essere né a Napoli né vivo».

Certo, altre città non hanno la stessa potenza evocativa di Napoli, non dispongono di immagini (o stereotipi) in grado di esercitare la stessa forza attrattiva. E forse neanche di specchi innanzi ai quali mettersi a soffrire. Tuttavia bisognerebbe smetterla di provare compiacimento per questa eterna girandola di clichés che rischiano di cristallizzare in eterno l’immagine della città, trasfigurandola in figurine eternamente uguali a se stesse. Il rischio è quello di un pulcinellismo di ritorno che, banalizzando ogni cosa, minaccia di fare piazza pulita di quanti si sforzano (e per fortuna sono tanti, nel mondo dell’arte, del cinema, della letteratura) di raccontare la città stessa in modo diverso, restituendole una complessità che non deve spaventarci, perché è la nostra forza.

È quello che Sergio e io abbiamo provato a fare, in questi anni, attraverso l’Uovo di Virgilio. Una pagina dedicata ai luoghi della memoria e alla memoria dei luoghi ma, soprattutto, alla straordinaria complessità di Napoli.

È un bene prezioso, questa complessità, è la nostra memoria e il nostro futuro: la nostra identità. Napoli è un teatro della memoria viva, un labirinto di tracce e di ombre. Non esiste una Napoli di ieri, immobile, musealizzata, cristallizzata nel passato, e una Napoli di oggi: quelle tracce sono tuttora visibili, riconoscibili, calpestabili, spesso a nostra insaputa. Sono davanti a noi, o sotto i nostri piedi, quando ci incamminiamo per il centro storico e i suoi intrichi di vicoli e restiamo smarriti, perché il degrado e l’abbandono ci impediscono di vedere oltre. E invece dovremmo chiederci se c’è un oltre, o un disegno, magari nello stesso atto fondativo della città, che affonda nel mito e nella leggenda. Un disegno che continua a sfuggirci, che non riusciamo a scorgere.

In questi anni abbiamo attraversato la città nello spazio, ma anche nel tempo, battendo palmo a palmo il territorio alla ricerca del suo cuore esoterico e misterioso. Ci siamo addentrati nei misteri dell’archeologia, dell’esoterismo, dei culti perduti, dell’arte, della musica. Ci siamo lasciati sedurre dai segreti del grande Virgilio, celebrato dal Medioevo in poi come poeta dei miracoli; abbiamo cercato il sepolcro di Partenope tra le pietre dell’antica Neapolis; abbiamo indagato gli enigmi di un fiume scomparso, il Sebeto, che un tempo scorreva nel cuore della città; abbiamo esplorato le leggende ambientate nei sotterranei dei castelli, i luoghi dove i filosofi maghi tenevano i loro misteriosi raduni, e abbiamo indagato i sotterranei del centro antico, dove il principe di Sansevero metteva a punto le sue strabilianti invenzioni anticipando la scienza di almeno cento anni. Ci siamo tuffati nelle leggende di Posillipo, teatro di grandi e tuttora irrisolti misteri archeologici, con il braccio di mare su cui si affacciava la splendida villa di Vedio Pollione, che fu poi di Augusto e accolse le sue malinconie. E abbiamo scoperto che nei labirinti della città sono tuttora annidate infinite memorie, sopravvissute alle ingiurie del tempo, alle devastazioni della Storia. In questo lungo viaggio abbiamo conosciuto una moltitudine di persone straordinarie: archeologi, architetti, speleologi, studiosi, storici dell’arte, giornalisti, scrittori. Tutti divorati, come noi, dal fuoco sacro della curiosità.

Tutto questo, e tanto altro ancora, è stato, per Sergio e per me, l’Uovo di Virgilio. Quelli che seguono sono solo alcuni estratti delle (tantissime) pagine collezionate in questi anni. Chi ha avuto la pazienza di seguirci ha condiviso, con noi, la stessa attrazione irresistibile per tutto ciò che si muove in profondità, sotto la superficie del quotidiano. Un patrimonio di volti, di voci, di storie, di memorie, di pietre, di ombre, che fa da cemento all’identità collettiva di un popolo, di un territorio, di una città unica al mondo, stratificata come nessun’altra. Un patrimonio senza uguali e una meravigliosa avventura giornalistica.

Che oggi vogliamo mettere a disposizione di tutti.

Text_ Vittorio Del Tufo Photo_ Sergio Siano

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