Sunday, November 24, 2024

MIO DIO, MIO DIO PERCHE’ MI HAI ABBANDONATO?

Text: Gianluca Castagna

Il mondo verrà. Come un’ipotesi in attesa del giudizio, tra quello che si rivela e quello che si nasconde, ciò che produce senso e ciò che lo ottunde. E’ stato il regista stesso Paolo Sorrentino, nel fuoco incrociato di spasmodiche attese e fucilate pregiudiziali, a rivelare di cosa parla “The Young Pope”, esordio del filmaker napoletano nel formato seriale per la tv.
I segni evidenti dell’esistenza di Dio e i segni evidenti dell’assenza di Dio. Come si cerca la fede e come si perde la fede.
Quando si combattono le tentazioni e quando non si può fare altro che cedervi.
Il duello interiore tra le alte responsabilità del capo della Chiesa cattolica e le miserie del semplice uomo che la mano di Dio ha voluto Pontefice.
Infine, come si gestisce e si manipola quotidianamente il potere in uno Stato che ha/dovrebbe avere come imperativi morali la rinuncia al potere stesso e l’amore disinteressato verso il prossimo.

“The Young Pope” è la storia di un uomo diviso tra se stesso e la sua rappresentazione, tra due finzioni delle quali è difficile dire quale sia la più reale o la più fantasiosa. Pio XIII, giovane pontefice americano di soli 47 anni, è l’immagine pubblica di Lenny Belardo. L’appagamento allucinatorio della sua infanzia dickensiana. Chi ha perduto i propri genitori in tenera età, o è stato da loro abbandonato, trascorre tutta la vita trascinando quell’assenza come un fardello sulle spalle. Un’assenza che è presenza, perché nel cuore resta sempre uno spazio vuoto che li reclama. Quel senso di abbandono diventa pensiero ossessivo anche per il giovane Papa.
Eli, Eli, lama sabactani? Il grido sulla croce si addice agli orfani.
Pio XIII è tutto e il contrario di tutto. Tabagista convinto, pretende rigore prussiano dagli avvoltoi-clone in rosso porpora; moderno nei modi, ma conservatore negli schemi mentali; bisognoso di affetto e allo stesso tempo gelido nei rapporti interpersonali. Al pari di un consumato acrobata, volteggia da un’asserzione al suo esatto opposto disorientando l’amore di chi lo desidera, l’affetto di chi lo protegge, il calcolo di chi intende manovrarlo.
Contraddittorio. Come Dio (uno e trino), la Madonna (vergine e madre), l’uomo (buono e cattivo).
Nella palude stagna delle produzioni televisive made in Italy, sempre così agiografiche e fatalmente concepite per appiattire ogni complessità storica ed emotiva, in ossequio ad un rispetto totale ed assoluto nei confronti della Chiesa cattolica, il volto sensuale e bellissimo di Jude Law impiega due secondi a trasformarsi nel profilo di un adolescente dispotico e irritabile dentro cui brucia lo spirito antico e vendicativo della Chiesa. Mentre oggi l’immagine di Papa Bergoglio gioca con i media per creare l’esempio di un pastore vicino, vicinissimo al proprio gregge, il papa yankee di Sorrentino compie una scelta dirompente in direzione ostinata e contraria: si barrica all’interno delle proprie rigidità, lasciandosi alle spalle il mondo. Come Salinger, Mina e i Daft Punk. Sottrarsi alle proprie paure e scoprire l’ignoto (la fede?) dentro di sé.
Reagisce così, Pio XIII, all’avvenuta sparizione del metafisico dall’orizzonte della Chiesa contemporanea, ormai trasformata in mastodontica macchina simbolica che veicola soltanto se stessa e la sua immagine, non più il mistero o la verità della fede. Reagisce gelando l’umorismo irresistibile del segretario di Stato Voiello (Silvio Orlando), barattando la porpora cardinalizia con il segreto del confessionale, umiliando un gruppo di francescani scalzi che minacciano lo scisma, lanciando saette contro sacerdotesse viziose nell’Africa nera. Supera il lutto per la morte del Papa Re ricattando il Primo Ministro italiano, baldanzoso e spaccone (a chi sarà mai ispirato?), grazie all’enorme potere derivante dal terrore primitivo che l’uomo nutre nei confronti dell’ignoto.
Pio XIII chiede aiuto al suo amico d’infanzia Dussolier, diventato anch’egli cardinale, che pagherà con la vita la scissione tra l’estasi dello spirito e la dannazione del sesso. Non può che amare (e quindi odiare) suor Mary (Diane Keaton) e il cardinale Spencer (James Cromwell), surrogati materno e paterno, la cui colpa più grande è quella di non essere i genitori che lo hanno inspiegabilmente rifiutato. Soprattutto Pio XIII azzanna con spietata veemenza ogni debolezza terrena. Quella vulnerabilità che il giovane Papa vuole estirpare da se stesso e da tutti i credenti. Chi ama Dio non deve pretendere che Dio lo ami. Perché non c’è niente al di fuori dell’obbedienza, eccetto l’Inferno.
Cosa ha davvero in mente il Giovane Papa? Dove porteranno quelle decisioni che paiono compiere un enorme passo indietro sull’evoluzione della Chiesa cattolica e apostolica? Riuscirà ad emanciparsi dalla condizione di Figlio e diventare finalmente Padre? Lenny Belardo è un santo o demonio?
Quali che siano le risposte oltre le consuete massime messianiche previste dall’unica lettura consentita dall’enfant terrible sul soglio di Pietro (ossia quella “fondamentalista”) prima dell’apertura finale (ma la svolta moderata non intacca la natura monarchica), un dato è certo: ogni racconto di Paolo Sorrentino è destinato a eludere le griglie della razionalità ed esondare dal perimetro del film come un recinto che non riesce ad arrestare la marea montante di immagini, segni, corpi, stravaganze, aforismi, acrobazie, allusioni, vezzi, musiche insolite e raffinate, citazioni geniali e irresistibili. A partire dalla sigla di testa, dove il monito di Dylan, All along the watchtower (riletto nervosamente dal rapper Devlin), accompagna la traiettoria della Cristianità dritto alla provocazione prêt-à-porter di Cattelan. Insomma, c’è tutto l’arsenale impiegato con surplus visivo maniacale che ormai appartiene al tessuto linguistico di questo cineasta. Gli episodi di “The Young Pope” sono organismi che sembrano sempre gonfiarsi a dismisura e a mostrare evidenti i segnali di una potenza espressiva che diventa puro cinema, puro gesto di dissipazione, pura manifestazione (esibizione?) di talento e gusto di un potere affabulatorio che, al pari dei sontuosi paramenti sacri, se ne infischia di ogni aderenza al reale. Senza per questo tacere sul reale, o fare sconti a una società (tra)passata (d)ai raggi X.
Tra picchi lirici e cadute nel kitsch, Sorrentino è sempre davanti al suo film, dietro le sue immagini, sopra e sotto il suo mondo, dentro le regole religiose del suo cinema. E’ il canguro che appare nei giardini del Vaticano, la Beata Juanita da terre lontane, il vento onnipresente che spalanca le finestre e agita i tendaggi. Inutile chiedergli di spostarsi. Converrebbe nemmeno andarli a vedere, i suoi film, se fin dal principio non si ha la curiosità o la voglia di stare al gioco. Se di fronte alle possibili rivelazioni del reale, o all’ultimatum divino-terreno ribadito dal Giovane Papa fino all’ultimo fotogramma, si risponde con la più pigra reattività a disposizione. Tuttavia, se è vero che spiegare le epifanie equivale a ucciderle, solo guardandole con attenzione si può apprezzare la ricchezza cangiante delle nebulose che esse evocano. O tentare di scoprire la verità dietro i trucchi che le simulano.