Friday, November 22, 2024

n.05/2005

Photo: Riccardo Sepe Visconti
Text: Paola Margaria

 

Se è vero che l´anima sta scritta in fondo agli occhi, quella di Giovanni Imparato è limpida e serena come il suo sguardo, positiva e travolgente come la sua musica. Sospesa tra l´Africa nera e la tradizione partenopea più antica, riecheggia di ritmi atavici, di ancestrali legami con la nostra umanità più profonda, più misteriosa, più magica.

P.: Giovanni, ti abbiamo visto sul palco del Negombo durante il concerto di Nino d´Angelo e siamo rimasti colpiti dalla tua magnetica e trascinante presenza scenica. Raccontaci come sei arrivato alle percussioni e perché.
G.: L´incontro è stato assolutamente casuale, ero un ragazzino e mi capitarono dei bongò sotto le mani, cominciai istintivamente a percuoterli e a riprodurre un ritmo di samba che mi aveva colpito. Fu una rivelazione. Da allora cominciai a percuotere qualsiasi cosa mi capitasse seguendo qualsiasi ritmo ascoltato. Quanto al perché, adesso, dopo anni di studi, di esperienza e di approfondimento su di me penso che la motivazione sia molto profonda e per nulla casuale: ricordo che da piccolo, nel letto, credo addirittura nella culla, muovevo i piedi in modo ossessivo per rilassarmi e riuscire ad addormentarmi; questo rito deve aver acquisito una valenza molto importante e profonda, anche perché ho perso mia madre da piccolissimo. Tutto potrebbe essere nato lì: il ritmo delle percussioni mi riporta al pulsare originario, ancestrale della vita, di tutte le cose vive, poiché ogni cosa vibra, ogni cosa ha in sé un´energia pulsante divina.
P.: Dopo la rivelazione iniziale come hai coltivato il tuo talento?
G.: Intanto ho dato ascolto al mio istinto irrefrenabile di suonare e sono sceso in strada: suonavo per le strade di Napoli, dove sono nato e cresciuto; avevo un cartello sul quale mi presentavo, spiegando che studiavo arte e musica e che volevo esprimermi, anzi curare me stesso, attraverso i tamburi ed invitavo la gente a fare lo stesso. Parlo di alcuni anni fa: era un fenomeno nuovo per la mia città, capitava che le persone mi fraintendessero, il cartello d´altra parte serviva proprio a questo, volevo comunicare alla gente le mie motivazioni, creare un contatto. Guardandomi indietro penso che il suonare per strada, in maniera libera, sia stata una vera benedizione. In fondo avevo già ben focalizzato ciò che sentivo come essenziale: suonare ed avere un pubblico, che essendo in strada, era ovviamente inesauribile.
P.: Ma hai compiuto anche studi classici, non è vero?
G.: Certo. Contemporaneamente a queste, diciamo, sperimentazioni libere, studiavo percussioni al Conservatorio. Anche se devo dire che in parte gli studi classici mi hanno deluso, anzi forse allora mi deluse un po´ l´ambiente, anche se adesso riconosco che l´aspetto dell´organizzazione razionale dei ritmi è importante. Ho sentito, comunque, il bisogno di rivolgermi alla fonte, all´origine di quest´arte e sono andato a Cuba, dove ho incontrato la liturgia afro-cubana ed ho scoperto che mi sentivo in assoluta sintonia con quella cultura e che ciò che mi attirava di più non erano gli insegnamenti che seguivo nei loro Conservatori, ma piuttosto le musiche che si praticavano nelle loro liturgie. Così ho continuato ad approfondire queste radici in Brasile, Africa, Stati Uniti.
P.: Liturgie? Spiegati meglio.
G.: A Cuba ho appreso l´arte dei batà. Si tratta di tre tamburi: iyà-la madre rappresenta la potenza, itòtele-il padre è la melodia e okònkolo-il figlio è il ritmo, sono usati durante i riti e costituiscono il supporto alla devozione che i fedeli esprimono attraverso la danza; sono un tramite che permette loro di connettersi con le energie della natura. Cuba è la terra della Santeria: ogni entità energetica è associata, con un sincretismo religioso, ad un santo cattolico. La cosa straordinaria è che anche in Campania esistono tradizioni simili, mi riferisco al culto delle Madonne, per esempio, dove la devozione popolare ha associato a ciascuno di esse una valenza specifica: c´è la Grande Madre, la Madonna dell´Amore, la Madonna del Sacrificio, quella della Purezza; anche in questo caso la devozione è espressa con danze scandite dai tamburi, le tammurriate, per intenderci. Insomma, da napoletano mi sono istintivamente accostato alla Santeria per poi scoprire, dopo, che anche nel mio mondo di origine c´è questa forma devozionale. Oggi la mia ambizione più profonda è attuare l´incontro tra queste culture geograficamente e culturalmente lontane, eppure vicine, che io sento profondamente parte di me.
P.: Non ti esprimi soltanto con i tamburi, ma anche con la voce che utilizzi con vocalizzi particolarissimi.
G.: Sì. Sono anche un cantante, ma sento il suono della lingua italiana estraneo; mi trovo a mio agio con il dialetto napoletano, con lo spagnolo o con la lingua yoruba, propria di un antico regno dell´Africa occidentale. Quando improvviso canto usando dei fonemi, cioè associazioni di suoni che non riproducono un linguaggio decodificato, ma che hanno una funzione fortemente evocativa e mi consentono di esprimermi con grande libertà.
P.: Vanti all´attivo collaborazioni con grandissimi della musica italiana e straniera, per citarne alcuni Renzo Arbore, Eugenio Bennato, Eduardo De Crescenzo, Eros Ramazzotti, Cristiano De Andrè, Lucio Dalla e mostri sacri quali Paco De Lucia e Ray Charles. Oltre alla già citata, felice, collaborazione con Nino D´Angelo…
G.: È così, ho iniziato con Eduardo De Crescenzo, sono subito andato in televisione e da lì si è creata una serie di contatti, alcuni andati a buon fine, altri meno. Sono state tutte esperienze importanti, anche se talvolta con artisti apparentemente lontani dal mio mondo; anzi paradossalmente proprio quelle sono state stimolanti, perché mi hanno costretto sempre a mettermi in gioco a 360 gradi ed a scoprire qualcosa di nuovo di me stesso e delle mie potenzialità. E poi ho capito che posso mandare un messaggio che non si limita solo al suono, ma che è anche basato sull´effetto scenico. Per me è importante poter usare linguaggi diversi. In definitiva, comunque, le collaborazioni condivise con gli altri artisti nelle rispettive produzioni, anche se di successo, hanno reso sempre più evidente l´esigenza di lavorare al mio progetto personale.
P.: Spiegati meglio.
G.: Attualmente questo è il progetto che mi interessa in modo quasi assoluto. Ho pubblicato quattro album, l´ultimo è uscito nell´autunno del 2004 e si intitola Kuba Sound System Proyecto. È un disco nel quale si fondono le sonorità afro-cubane (ritmi di salsa, rumba) con la musicalità napoletana; alcuni pezzi infatti sono cantati in napoletano, la maggioranza in spagnolo. Ci sono partecipazioni importanti quali Nino D´Angelo che si è prestato ad un felice happening introduttivo al disco e del quale ho rivisitato la canzone “Mentecuore” in chiave latina con il titolo “Cabéza y corazòn”; e Marcello Colasurdo, che ha collaborato nelle vesti di straordinario cantore della tradizione napoletana della tammurriata. Un lavoro del quale sono molto soddisfatto e che mi spinge a continuare con sempre maggiore energia e determinazione su questa strada.
P.: Le motivazioni profonde della tua concezione artistica sono affascinanti; domanda delle cento pistole (diceva un tale): che cos´è per te l´arte?
G.: Nella nostra società il concetto di arte è un´analisi estetica della forma, a me piace ribaltare questo concetto e dire che l´arte affiora quando c´è un motivo, una necessità di guarigione. Quando l´individuo non riesce a canalizzare l´inesprimibile ricorre ad un linguaggio che non sia ordinario, per poter portare in superficie e curare le ferite profonde del suo animo. È un´esigenza riabilitativa, dettata dalla necessità di ristabilire un equilibrio. La cosa straordinaria è che l´arte non funge soltanto da “medicamento” per l´artista, ma diventa fonte di benessere anche per chi ne fruisce, nel mio caso per chi ascolta.
P.: Credo che l´artista abbia una forza benefica, sia portatore di un dono che lo mette in relazione con dimensioni più eteriche ed abbia il dovere di coltivare questa potenzialità, rispettandola ed utilizzandola per migliorare se stesso e gli altri.
G.: Certo…è un´aspirazione “alta” … io ci provo e mi auguro di riuscirvi.