30/2011
Photo: Romolo Tavani
Text: Vania Matarese
“Il ventre maledetto del Grande Leviatano mi racchiudeva in un’oscurità ancestrale. Avevo paura, paura nel sentire che il terribile mostro mi stava portando con sé, nelle profondità dell’abisso, nelle profondità della disperazione. Non potevo far altro che pregare, sperare nella pietà di Dio, quando l’animale, sentendo le mie invocazioni, aprì le grandi fauci e mi concesse la libertà”… Cantando questa fiaba, Vinicio Capossela, ha iniziato il suo racconto musicato sotto le rovine della sagrestia della meravigliosa Cattedrale dell’Assunta, sul Castello Aragonese. Il cielo stellato e l’emblematico panorama hanno fatto compagnia, per qualche ora, nella sera del diciotto giugno, ai pochi invitati a questo particolare concerto, organizzato nell’ambito della rassegna Viaggiatori di Note. L’eccentrico cantautore ha presentato il suo ultimo album “Marinai, profeti e balene”, opera stimolata dall’immenso “oceano di fogli di carta” che ci circonda, la letteratura. In questa sua raccolta troviamo, infatti, riferimenti a “Moby Dick” di Melville, all’eroe di Conrad “Lord Jim”, persino alla Bibbia, passando da Dante e giungendo alla mitologia classica di cui rivisita “l’Aedo”, “il Goliath”, le sirene di Ulisse e il “Nostos”, la nostalgia, quel sentimento che percuoteva l’animo dei marinai in viaggio, un viaggio che prima o poi tutti noi dovremo affrontare, con i suoi dolori, le speranze, i ricordi. Per queste storie di mare, l’odore di salsedine, i flutti delle onde, i suoni dell’oceano sono stati ricostruiti dal canto di Vinicio, dal coro degli Apocrifi e dalla grande varietà di effetti acustici utilizzati dalla sua “ciurma” di accompagnatori, che hanno reso ancor più reale la traversata su un battello fantasma. La dimensione musicale del nostro “Capitano” è fatta di strumenti insoliti tra cui le onde del Martenot, il Theremin, il Santur, le conchiglie, affiancati da numerosi strumenti a fiato, a corde e percussioni. Molti dei suoni sono stati registrati proprio ad Ischia, sullo “scoglio” del Castello, dove “la solitudine d’altezza”, come ha affermato l’artista, lo ha aiutato nella sua ispirazione. Un antico pianoforte a coda, un Seiler degli anni ‘30 per la precisione, issato ad ottanta metri sul livello del mare, e l’aiuto dell’orchestratore Stefano Nanni hanno fatto il resto. La serata è andata avanti con il connubio musica-teatro di cui si è servito Capossela per coinvolgere maggiormente gli spettatori, separandosi nettamente dallo stile dei suoi precedenti album come “Da Solo” (2008) o “Ovunque Proteggi” (2006). Egli sceglie ritmi e contenuti intensi e malinconici, come per il blues di “Billy Budd”, canzone dedicata ad un innocente e alla sua incapacità di difendersi dalle ingiustizie degli uomini, ma che ha potuto permettersi, grazie alla “sacrestia senza tetto” della cattedrale, “l’estrema unzione prima dell’impiccagione” o l’apologo spaventoso della “Bianchezza della Balena” (“Sebbene sia associato a quanto di più dolce, Onorevole e sublime/ Niente è più terribile di questo colore/ Una volta separato dal bene/ Una volta accompagnato al terrore”). Frequente è anche il tono scanzonato e divertente, come per la pseudo-filastrocca della sirena “Pryntyl” che canta ‘in sirenese’, pescata da “Scandalo negli abissi” di Louis-Ferdinand Cèline; o la ballata del “Polpo d’amor”, durante la quale lo stesso cantautore si è trasformato in un “ottopode” con tanto di tentacoli ricoperti da pagliette rosse e pronti ad “abbracciare”! Da una prima parte più lirica, fatta di ambienti marini, si arriva ad una seconda “omerica” (e infatti l’album si divide in due dischi, uno “Oceanico”, l’altro “Omerico”), dove personaggi mitologici come Ulisse e Polifemo acquistano una vera e propria personalità. Nel brano “Vinocolo”, il celebre ciclope ci appare ubriaco, dopo essersi fatto ammaliare dal vino offertogli da “Nessuno, un nessuno da niente” (“Quando i compagni mi avrai mangiato, bevilo disse e sarai beato”). “La madonna delle conchiglie” che benedice i marinai, ispirata alla protettrice dell’isola d’Ischia Santa Restituta, e “Dimmi Tiresia”, canto all’indovino, ricco di domande profetiche, sono canzoni in cui Capossela scruta ogni piccolo frammento della natura umana e lo fa come solo un genio della musica può fare. Con “Sirene” si è conclusa la serata dopo circa un quarto d’ora ininterrotto di applausi e, perché no, anche qualche lacrima. “Le sirene ti parlano di te, quello che eri… tutta la vita davanti, tutta la vita intera e dicono fermati qua”. In ognuno di noi c’è un marinaio coraggioso, che sfida la tempesta, che desidera scoprire se stesso e il suo destino, che non ha paura delle balene, di ciò che è più grande di lui, dei limiti che gli sono stati imposti, nonostante le domande esistenziali, da profeta, che lo assaliranno e i dubbi che continueranno ad emergere da quell’oceano profondo e imperscrutabile che è la vita.