31/2011
Photo: Redazione Ischiacity
Text: Riccardo Sepe Visconti
Sei un habituè dell’isola d’Ischia… Sì, amo molto quest’isola magica, verde, bellissima: in un quarto d’ora puoi raggiungere il fresco della montagna e poi scendere a mare. Ci sono ancora tante località isolate, dove ci si può rilassare… per esempio ho scoperto da poco la Scannella (Ndr. Baia fra punta Imperatore e Panza), magari anche tanti ischitani non ci sono mai stati! Sono contento di essere qui a rappresentare il jazz, il ritmo, ma soprattutto i quarant’anni di storia artistica di Tullio De Piscopo. Ho avuto la fortuna di essere a cena con te, un paio di sere fa, e ho scoperto un Tullio De Piscopo nuovo per me, che ti conoscevo solo come il grande musicista. Ci hai raccontato storielle divertenti, aneddoti come quello spassosissimo sulle persone di Porta Capuana che non si sono mai allontanate da lì e quindi non hanno mai visto il mare! Insomma, un Tullio De Piscopo divertentissimo, molto più intimistico, sempre un grande intrattenitore. Sì, alcune di queste storie si potrebbero mettere in un film, raccontano la vera passione per Napoli. Con James Senese, Tony Esposito, Edoardo Bennato già nel 1987 avevamo organizzato “Harlem meets Naples”, uno spettacolo sullo stile di Buena Vista Social Club: suonammo con James Brown all’Apollo Theater, ad Harlem, il tempio della musica nera dove bianchi europei non erano mai entrati prima, incontrammo i Temptations, con noi c’era la nuova Compagnia di Canto Popolare e la RAI ne fece una trasmissione. Conoscendoti un po’ ho scoperto che nel tuo petto batte intatto il cuore di uno scugnizzo, che hai un legame fortissimo con le viscere di Napoli… Certo! Quella è la mia forza, devo tutto alle mie origini perché è grazie a loro che ho trovato la mia personalità. Prima ero molto timido, sì… non ero male alla batteria, ma scimmiottavo questo e quell’artista d’Oltreoceano. Quando sono usciti i primi registratori a cassette ho ascoltato la mia musica e ho capito che non c’eravamo. E’ stato allora che ho cercato e trovato la mia personalità, nelle strade di Porta Capuana: ho riportato sulle percussioni il vociare di questo popolo, i clacson che si sentono per strada, tutto questo è entrato in me e poi nella mia musica. Ogni strada di Napoli ha un ritmo diverso, o ce n’è uno che avvolge tutta la città? Esiste un ritmo portante del ventre di Napoli e consiste nei cinque colpi che, ai tempi dei Giacobini, accompagnavano dalle carceri di San Francesco a piazza Mercato i prigionieri condannati alla ghigliottina. Quando il popolo sentiva i cinque colpi si chiedeva inevitabilmente chi dovessero giustiziare, era il ritmo della morte, ma i napoletani che sono dotati di molto spirito ne fecero subito uno sfottò e prendevano in giro i tamburini francesi dando ai cinque colpi una musicalità molto più allegra, e suonavano proprio sotto il loro naso. C’è disperazione o cinismo in questo modo di fare? Disperazione, necessità di esorcizzare la paura, e c’era anche la voglia di vivere il momento, senza pensare al giorno successivo, quando – magari – si poteva essere arrestati. Quindi, i ritmi di questa città si muovono tutti sul filo dell’ironia? Sì, il napoletano prende sempre l’esistenza con il sorriso, ma spesso è un sorriso amaro, perché c’è molta gente che non sa come vivere, e l’arte di arrangiarsi è più che mai attuale, mentre penso che oggi questa mentalità non dovrebbe esistere più. Una volta sono andato a trovare Totò al cimitero, nel giorno del suo compleanno, a febbraio. Dentro la cripta c’erano delle lettere, ho zoomato con la telecamera e ho potuto leggere: chi scriveva chiedeva aiuto a Totò per dare da mangiare ai propri figli, dicendo che non aveva neanche i soldi per comprare il latte! La musica napoletana è sicuramente fra le più belle del mondo e alla fine degli anni ’70 e inizi degli anni ’80 c’è stato un periodo di notevole creatività, del quale tu sei stato uno degli interpreti: con te c’erano Pino Daniele, Edoardo Bennato, Tony Esposito, James Senese, Teresa De Sio, i Napoli Centrale, Enzo Avitabile, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, il maestro De Simone, Fausta Vetere e tanti altri: era un’eruzione continua di musica. A un certo momento, però, il fenomeno si è arrestato: perché? Già nel ‘700 e nell’’800 Napoli ha scritto pagine di musica immortali, le canzoni napoletane hanno girato tutto il mondo e si ascoltano sempre. Con questo voglio dire che addirittura, secondo me, la migliore musica napoletana più ancora che da noi è stata scritta allora, perché loro hanno superato i secoli, sono eterni. Invece, dell’operazione “Naples Power” che è quella che coinvolse anche me, è rimasto pochissimo. Perché non ha funzionato? Perché è mancato l’accordo fra i musicisti, non c’è feeling fra un artista e l’altro. Quando abbiamo lavorato con Pino Daniele, lui scriveva e c’era un gruppo (insieme a me, Tony Esposito, James Senese, Joe Amoroso, Rino Zurzolo) a servizio della sua creatività ed è andata bene: quello sì che era il ‘potere della musica napoletana’. Eravamo intelligenti e avevamo capito che bisognava essere coerenti con quello stile, un sound ben preciso che identificava bene il momento, il gruppo, l’artista. Dove nasce la musica napoletana? Alcuni artisti partono dal testo, altri dalla musica: io molte volte sono partito dal ritmo, come quello del pezzo “ ‘Mbriacati tu, mbriacati tu” o di “Stop Bajon (Primavera)”, che è ispirato proprio dal sound di porta Capuana, fatto di nacchere, tammorra e tamburi: con la musica si deve dare gioia, musica, armonia, note, tante note! Tutti i pezzi di grande successo nel mondo danno molto spazio all’introduzione strumentale. La tua musica ti fa sentire immortale? A prescindere da tutto, infatti, la tua musica accompagnerà sempre la gente. Lo spero, perché ho fatto e faccio ancora tantissimo per i giovani: è fondamentale lasciare tante incisioni, tanti CD perché loro li possano ascoltare. Il merito che mi attribuisco come musicista è di essere riuscito a portare in primo piano la batteria, prima di me questo strumento era considerato l’ultimo dell’orchestra, mentre la batteria ne è il cuore. La batteria deve far ‘muovere il piede’ a chi ascolta, deve dare il tempo, miscelata assieme a una bella sezione ritmica di basso, chitarra e tastiere viene fuori un grande “groove”, cioè un ritmo, magari anche difficile, ma che si deve incastrare con tutto l’arrangiamento. Come vedi la musica napoletana dei prossimi anni? Qualcosa si sta muovendo? Ho incontrato tanti giovani promettenti, ma ho detto loro di abbandonare i luoghi comuni, certe cose in dialetto, per affrontare anche temi sociali, ma non insistendo sempre sul problema della ‘munnezza’ e su altri temi già battuti. Pino Daniele ha mostrato come ci siano ancora mondi da scoprire in napoletano: sicuramente il confronto con lui rende tutto più difficile, ma conosco ragazzi molto validi, che si occupano di musica sperimentale, certo però non hanno la forza che avevamo creato noi insieme a Pino, o Napoli Centrale o la Nuova Compagnia. I nostri erano ritmi forti, suonavamo “co’ sangue dint’ all’uocchje”, non pensavamo ai soldi, o meglio dopo dovevano venire anche i soldi ma ciò che avevamo lo spendevamo, per noi contava soprattutto “fare bene”. Dopo i primi grandi successi discografici hai scritto un pezzo molto divertente, forse un po’ autobiografico, che si intitolava “ ‘E fatto ‘e sorde e!”: hai voluto scherzare sul tema del denaro… Quel pezzo era dedicato anche ai miei produttori che mi avevano abbandonato, lo scrissi durante un viaggio in macchina di 800 km. che feci da solo per andare a esibirmi per una serata. Oggi cosa ti diverte e ti appassiona? Mi diverte il pubblico, il pubblico di Bolzano, Bergamo, Merano, è bello andare a suonare lì e scoprire la passione che hanno per la nostra musica, espugnare Bergamo è bellissimo! Molti artisti napoletani non vengono proprio accettati in certe Regioni, ma quando trovi un pubblico enorme in città del Nord o anche all’estero, per esempio a Zurigo e a Dortmund, e sembra di essere a porta Capuana, è una grande conquista, è molto soddisfacente. Vuol dire che veramente ti amano. La musica come strumento di seduzione…! Certamente. Una volta ho fatto ascoltare un brano nuovo ad una ragazza e lei si trasformò, iniziò a ballare: questa è la forza del ritmo. Nella tua vita hai sedotto molto attraverso la musica? No. Ho avuto le mie figlie presto, ho tre nipotini, ma devo dire che come personaggio piacevo molto, adesso non so dire se come uomo o come musicista ma piacevo, piacevo! Facevi anche scena, ti presentavi sul palco con la fascia in testa, i capelli lunghi… Con Pino Daniele dicevamo che lui era Geronimo ed io Cochies, dalle foto di allora emerge il grande fascino che riuscivamo ad esercitare, tra l’altro non facevamo uso di niente: solo musica ed un bicchiere di vino. Un artista che ha già raggiunto traguardi molto prestigiosi, come è stato per te, non viene preso, prima o poi, dalla paura di produrre qualcosa che non riesce ad eguagliare i successi del passato? Certo, questa paura c’è, e bisogna superarla con molta intelligenza. Tanti artisti che entrano in questa spirale subiscono un forte declino. Io sono stato salvato dalla musica, non essendo un artista che si limita a cantare e basta, ho potuto fare tantissime cose. Per me è importante stare insieme ai giovani, insegnare: non ho mai smesso, neppure quando ero ai primi posti in classifica per mesi e mesi in tutto il mondo, sono sempre rimasto con i piedi per terra e non ho mai lasciato la scuola. E questi giovani sono la mia grande famiglia, ho un esercito di 5000 batteristi in Italia! http://www.ischia citynetwork.info/ video.asp?id=391