Friday, November 22, 2024

29/2011

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Angela Mattera

 

Per parlare di Valerio Sgarra è necessario, sia pure per un attimo (ma che sia “diVino”!), parlare di Raimondo Triolo. Ha un ristorantino situato verso la terminazione estrema della Rive Droite, al porto di Ischia: un luogo intimo e accogliente le cui pareti sono disseminate di bottiglie di vino e opere d’arte di scultori e pittori isolani. Raimondo, siciliano, chef creativo ed originale, ha creato un ambiente decisamente inconsueto per l’isola d’Ischia: presso il suo locale che si chiama, appunto, “Un attimo diVino”, la gente si ritrova per mangiar bene, bere bene e soprattutto trascorrere del tempo chiacchierando accompagnata da un piacevolissimo repertorio di musica dal vivo il cui interprete è il nostro eroe: Valerio. Istrionico, poliedrico, irriverente, acuto e totalmente anarchico, Valerio si esibisce accompagnandosi con un vecchio pianoforte verticale (la cui tastiera, offesa dalle ingiurie del tempo e provata dalle tante esibizioni, ha perso nella sua lunga carriera qualche tasto qua e là), oppure appollaiandosi su di un alto sgabello e abbracciando la fedele chitarra. Eclettico, dall’aria un po’ bohemienne, sicuramente molto autoironico, cantautore e, come vedremo fra poco, “cantattore”. Una personalità particolare, che ama la musica ma soprattutto la teatralità che ad essa può legarsi. E proprio come su un palcoscenico Valerio si presenta con simpatia e garbo, raccontandosi con dovizia di particolari e facendo trasparire la passione per quella che è diventata la sua professione ed il motore delle sue scelte di vita. Qual è il tuo rapporto con la musica? Mi definisco uno che si occupa di canzoni, lo faccio in modo trasversale essendo sia interprete che autore. E se il legame con la parola di tipo più letterario è forte, non amo gli intellettualismi. Anche se talora posso dare l’impressione di essere colto, infatti, mi definirei piuttosto una persona sveglia. Quello che faccio è cantare e suonare canzoni mie, canzoni di altri, canzoni che amo in cui il testo ha un ruolo importante. Quando nasce il tuo incontro con la musica e perché? C’è da dire che mio padre, con il quale però non ho mai vissuto, è un musicista, cantante classico di pianobar, in attività da più di quarant’anni. Anche se mio padre non era mai in casa, la musica aleggiava comunque. Ma il mio primo vero incontro con la musica è stato durante il servizio militare, forse per noia. Ho visto qualcuno accordare una chitarra ed ho pensato “perché non farlo anch’io?”. Penso sia stato un incontro casuale: non credo che le persone nascano per fare qualcosa ma che la trovino durante il loro percorso. Ad ogni modo non mi piace definirmi musicista, a volte per vezzo, a volte forse per rispetto nei confronti di quei musicisti che realmente hanno una certa conoscenza della musica, dello strumento. A me interessa tutta una miscela di cose che ruotano intorno alla musica, alla parola. Però questa è diventata la tua professione… Dopo il primo approccio, a 21 anni sono andato a vivere da solo e ho conosciuto un gruppo di musicisti girovaghi, da loro ho appreso il contatto con la strada, con la gente, quando non è lei a cercare te ma sei tu a cercarla. Questa mia esperienza è durata circa cinque anni ed è proprio in quel periodo che ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni che ho sempre tenuto da parte fino a quando, nel 2005, ho iniziato a proporle assieme ad una band in uno spettacolo teatrale. Chiamai questo spettacolo Gritist Hitz (Ndr. L’inglese è volutamente scritto in maniera errata). Sentivo di poterlo chiamare così perché erano ormai più di dieci anni che componevo. In mezzo c’è stato tutto un periodo fatto di esperienze teatrali e tutto ciò è diventato, pur facendo salti mortali e non accettando compromessi nemmeno per piccole cose, una professione. Quali sono gli autori che ti ispirano maggiormente? Pur essendo napoletano, mi ispiro sicuramente alla scuola cantautorale francese e genovese che si rifaceva, a sua volta, alla ‘chanson’ francese piuttosto che al ‘neapolitan power’ degli anni ‘80 che conosciamo. Quindi, inevitabilmente Paoli, Tenco, De Andrè. Poi, ad un certo punto, ho sviluppato un approccio molto più teatrale, sia che si trattasse di fare spettacoli in un piccolo club, un’osteria, a casa di amici o in un teatro, per cui mi sono trovato coinvolto spesso in situazioni teatrali nella veste di “cantattore”. La parola è al centro, ma c’è di più: la mimica, il vivere la canzone attraverso la gestualità. In Italia il riferimento principale, padre di tutti, è Gaber il quale a sua volta aveva avuto i suoi maestri, come Jacques Brel. Un fenomeno che ha, però, anche una sua forte napoletanità, se pensiamo a tutto il periodo della macchietta napoletana di Pisano Cioffi ed ancor prima di Armando Gill. La tua musica nel teatro. Come hai vissuto questa esperienza? Il teatro secondo me, a qualsiasi livello venga fatto, dà un grosso senso di disciplina – che manca nell’ambito della musica leggera – e mi ha aiutato per tutto quello che concerneva i miei spettacoli. Come nasce il sodalizio con il gruppo “Le conseguenze del bancone”? Il complice fondamentale è un fisarmonicista, compositore, pianista e arrangiatore, Giulio Fazio, con il quale avevo già lavorato in duo e si era creato un ottimo feeling. A turno, ci sono altri tre o quattro musicisti che ci accompagnano con mille sacrifici visti tutti gli altri impegni di ciascuno. Pensi che Ischia sia sensibile a questa musica così improntata sulla teatralità e sulla parola? Inizialmente, ho percepito qualche difficoltà in un ambiente che sicuramente non ha l’offerta della grande città, ma dove per circa quarant’anni c’è stata comunque una forte presenza della musica, forse ancora troppo legata a quella napoletana che, non dimentichiamolo però, è sempre canzone d’autore. Una barriera, questa, che può ad ogni modo essere scardinata. Attualmente, sto collaborando con il locale Alchemie: mi sono occupato della selezione di quattro situazioni cantautorali napoletane molto simili al mio essere e sarà un test molto utile. Potrò vedere dall’esterno, stando tra la gente, qual è la reazione del pubblico ad una rassegna musicale di persone che arrivano lì col proprio bagaglio di canzoni e non hanno avuto i passaggi mass mediatici ai quali siamo abituati. Potremo capire così se si tratta di qualcosa che può essere portato avanti come è già accaduto col jazz qui ad Ischia. Nonostante io non sia un jazzofilo, ho notato che c’è stata una buona risposta negli anni e, se questo genere ha riscontrato notevoli consensi, potrebbe radicarsi anche una forma di teatro-canzone come quella che io porto avanti.