Text: Riccardo Sepe Visconti
L’ultimo paladino
Frequento l’isola da 45 anni ed ho scelto di viverci da ben 15. Credo, quindi, di avere le carte in regola per poter parlare con una certa competenza sia del territorio che degli isolani, conoscendoli entrambi molto bene. Il territorio l’ho visitato parecchio e nel passato, insieme a Silvia Buchner, ho anche curato l’estensione di una guida (che ancora oggi trovo tra le più valide in circolazione); quanto alla gente… provate a passeggiare al mio fianco e vi renderete conto della grande quantità di persone che conosco e che saluto. Non sono mai stato modesto e mi arrabatto per essere ipocrita il meno possibile, quindi non dissimulerò la mia preparazione in tema di ‘ischitanità’. Ho amato quest’isola perché mi ha protetto nei momenti difficili della mia vita: a 14 anni fuggii di casa (dopo l’ennesima sfuriata di mio padre – malato e di conseguenza ubriaco) e venni a rifugiarmi a Ischia. Mi stanarono dopo 3 giorni di ricerche! Sono tornato ad Ischia ogni volta che Napoli mi soffocava, avviliva, esasperava, tradiva! Venni, infine, a viverci (come fece Fabrizia Ramondino al seguito del professor Gaglio), quasi per caso ma soprattutto per curarmi: era il 1993 e avevo appena perso tutto ciò che era mio (fatta eccezione per la casa di Ischia) nel crollo del mio più grande sogno lavorativo: creare un’emittente televisiva davvero libera, pulita, colta e lontana dalla politica! (Mi perdonarono i primi tre aggettivi ma non mi permisero di sottrarmi al giogo politico). Giunsi a Ischia profondamente ferito (nello spirito, nel corpo, nel portafoglio): mi fu prescritta la “cura del sonno” e così, tra psicofarmaci & co., dormii per diversi mesi. Non fu bello. Tacevo, tacevo sempre, ascoltavo musica, vestivo esclusivamente di nero e curavo i miei cani. Credo sia stata la mia maledetta curiosità a riportarmi alle ‘cose terrene’ e un po’ alla volta ripresi a vivere. Grazie ad Ischia. Chi non ha mai vissuto l’inferno non può comprendere cosa significhi sentirsi lacerati: Dante Alighieri nel primo canto del Paradiso racconta del supplizio che il dio Apollo inflisse al satiro Marsia (reo di averlo sfidato), ‘svaginandolo’, ovvero ‘traendolo dalla vagina’, dall’involucro costituito dalla sua stessa pelle: scarnificandolo e seviziandolo. Ebbene, quando Dante racconta quel mito, in parte racconta la mia sofferenza. Chi soffre e combatte potrà capirmi bene: solo chi ha vissuto un grande dolore può sapere cosa vuol dire farsi una profonda risata. Ed io rido molto! Ridere è il riscatto, è la battaglia feroce e talvolta disperata, che noi, curiosi della vita e quindi consapevoli delle difficoltà del ‘viaggio’, opponiamo con fierezza, con ingenuità, con un senso di perduta speranza, agli insulti dell’esistenza. Ridiamo, sorridiamo, cerchiamo il bello, la poesia, l’equilibrio. In un mondo difficile, sguaiato, avido, stupido, violento. Perché è di questo che, infine, vi sto parlando pensando ad Ischia, ad un’isola divenuta immensamente sguaiata… perché è un’isola avida, stupidamente, ciecamente, sciattamente, avida! Ho amato Ischia. Gli amori però (e questo è l’orrido della disillusione dei miei anni), finiscono. Che devo dirvi? Non amo più quest’isola o perlomeno, se proprio vogliamo usare un linguaggio metaffettivo, mi sento in crisi: la mia difficoltà è nel rispetto, non ho più molto rispetto per Ischia. Non la capisco, non la condivido, non la decodifico. Sono davvero troppe le vicende per me insostenibili e non comprendo come possano gli isolani sopportarle, assolverle, ignorarle. Qualche giorno fa la cronaca ci ha raccontato la tragedia del padre che, scalando in cordata la parete di una montagna insieme ai figli, è precipitato nel baratro con tutta la famiglia (lasciando la moglie vedova e priva dei suoi tre figli). Credo che qualcosa del genere capiti oggi all’immagine di tutta l’isola nel momento in cui la “brancaleontide” giunta di Forio, guidata dal (mio ex amico) Franco Regine, lascia che il territorio affoghi in un putridume di spazzatura e nella più assoluta disorganizzazione (al momento in cui scrivo, si è dimesso/fuggito perfino il presidente del CDA della municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti, Michele Regine). Per quanto gli altri cinque sindaci sgambettino per raccogliere l’immondizia, fin tanto che una gestione sguaiata e palesemente incapace continua a sfregiare i più elementari diritti del popolo foriano – per la “sindrome della cordata”! – tutta l’isola d’Ischia finisce nel baratro. Posso comprendere che Franco Regine & co. non lo capiscano (o non vogliano capirlo) ma non mi è chiaro come mai Tuta Irace, Enzo D’Ambrosio, Paolino Buono, Giosi Ferrandino e Cesare Mattera non abbiano impugnato i forconi e in perfetto stile ‘Rivoluzione Francese’ non chiedano con ferocia la testa degli amministratori foriani. Accidenti! Quest’isola decisamente non è più il mio rifugio… anzi, forse da protetto mi sono trasformato nell’ultimo paladino di questo scoglio.