Thursday, November 21, 2024

29/2011

Photo: Enzo Rando
Text: Romina Di Costanzo

 

Intrecciare le canne e i salici, con mani maestre e sicure, è un lavoro che Gennaro Di Meglio, ha imparato per “disgrazia ricevuta”. Quando per un periodo la suocera si ammalò, fu proprio lei ad introdurlo a quest’arte povera. La lucidità e la resistenza delle canne, combinata con la flessibilità dei salici bianchi e rossi ed il profumo della mortella, si uniscono alla sapienza di chi questo lavoro lo ha iniziato per necessità, lo ha portato avanti come alternativa e ancora oggi lo pratica con passione. Non è la prima volta che visito il laboratorio in cui opera, a Buonopane, frazione del comune di Barano, e appena entro mi sembra di tornare indietro nel tempo. L’allegria dei cestini che s’intravedono accumulati sugli scaffali, i raggi del sole che filtrano attraverso il finestrone, illuminandoli di un giallo paglierino, mettono subito di buon umore. Gennaro mi parla delle “fascine”, dei “naselli” delle “cnocchie”, i suoni che escono quando pronuncia queste parole sanno di antico, di genuino, di buono. I fasci di salici occupano il grande tavolo di legno al centro della stanza, le risate a bocca piena, di chi ha vissuto anche di questo lavoro, traboccano nelle vecchie foto appese alle pareti, ci accolgono e vogliono raccontare quel mondo, fatto di lunghe stagioni invernali durante le quali il freddo ti confinava in casa e si producevano i cestini tra una chiacchiera e l’altra. Le ceste duravano tanto tempo e accompagnavano quasi ogni faccenda domestica, servivano a contenere i prodotti della terra: le mani contadine, infatti, affidavano i frutti del loro duro lavoro a questi “cofani” che li proteggevano dagli eventuali urti, affinché non si sciupassero durante il ritorno a casa. Le “fascine” erano realizzate accuratamente a forma di cono, così da poter posizionare i frutti maturi in superficie e quelli acerbi nella parte sottostante. I “naselli” vengono utilizzati tutt’ora per disporvi i pomodori e i fichi e farli maturare al sole fino all’essiccazione. Durante la vinificazione, invece, il mosto si filtrava attraverso le strisce tese del salice, questo oggetto particolare si chiamava “cnocchia”. Il canestro viene tuttora associato ad uno scrigno che racchiude le cose più preziose che si portavano con sé da casa, nei campi, dove si restava a lavorare l’intera giornata: formaggi, il “buttiglione” di vino bianco, le “tiane” con il pasto principale, il pane casareccio, il tutto scrupolosamente coperto da un canovaccio, perché a quei tempi non si volevano mostrare i tesori che si possedevano, per paura di destare invidie ed essere oggetto del “mal’occhio” di chi si incontrava lungo il tragitto. La resistenza delle canne sembrava proteggere ciò che contenevano anche da questo tipo di “pericoli”, mentre la cornucopia – una cesta a forma di corno nella quale venivano messi fasci di grano e ramoscelli di ulivo, benedetti durante la cerimonia della domenica delle Palme – veniva appesa all’ingresso di ogni abitazione per attrarre fortuna e prosperità. Il “cufaniello”, invece, fatto con rami di mirto e ulivo, si utilizzava come filtro durante la vinificazione in tutte le cantine isolane. Tra le mensole della cucina di casa Di Meglio, troviamo anche un piccolo cofanetto largo circa 10 cm. e alto 8: vi si poneva il caglio con il latte appena munto, fino a che non si completava la stagionatura e i liquidi in eccesso non erano fuoriusciti, lasciando il formaggio: la suocera di Gennaro lo utilizzava per preparare le ricotte fresche di latte di capra destinate alla nipotina Brigida, intollerante al latte di mucca. Ma Gennaro, con l’inventiva tipica dell’artigiano, ha creato anche un altro contenitore molto utile e bello a vedersi, il “fungarolo”, un grande canestro di forma rotondeggiante con un coperchio, retto lateralmente da una tracolla in tessuto, perfetto per contenere i funghi raccolti nel bosco. Consente, infatti, di mantenere le mani libere durante le salite tortuose per i sentieri che vengono battuti alla ricerca del gustoso vegetale e, al tempo stesso, attraverso le fessure dell’intreccio del vimini ricadono a terra le spore dei funghi, assicurandone la ricrescita. Gennaro Di Meglio, con tutte le sue ceste, lo incontriamo alle più importanti feste patronali estive, da S. Restituta a Lacco Ameno a S. Vito a Forio e sicuramente il 24 giugno, festa del patrono di Buonopane, S. Giovanni, come segno tangibile di una cultura antica ancora assai amata.

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