n.07/2006
Photo: Barbara Mussi
Text: Barbara Mussi
Dopo aver trattato due specie particolari come delfino comune (Delphinus delphis) e capodoglio (Physeter macrocephalus), vorrei tuffarmi nell’abbondanza del delfino più frequente nel Mediterraneo, la stenella striata (Stenella coeruleoalba) appunto.
Stenella è il mio delfino preferito, un animale tanto bello quanto sociale, campione di acrobazie e salti, l’immagine ideale degli abitanti del mare. È un cetaceo di due metri circa, caratterizzato da una striscia laterale che segna i fianchi della sua livrea e da colori blu argento, i colori dell’alto mare. È infatti un delfino pelagico, che ama le acque profonde (nell’Adriatico settentrionale è assente…); è diffuso in tutti gli oceani e il genere Stenella conta oggi cinque specie, abbastanza simili tra loro, ma separate geograficamente e con piccole differenze morfologiche. Le stime di popolazione mondiale di stenella striata valutano che circa due milioni di questi delfini nuotano ancora negli oceani; in Mediterraneo come sempre i numeri si riducono, pur superando i 100.000 individui. È quindi ancora abbondante, come può esserlo un animale ai nostri tempi, perché oggi anche un animale marino deve competere con l’uomo per conservare il proprio spazio vitale e le pressioni antropiche sono, come sempre, in aumento.
Nonostante quest’abbondanza le popolazioni potrebbero non essere consistenti, infatti tra il 1990 e il 1992 le stenelle del Mediterraneo sono state colpite da una pesante moria provocata da una banale infezione da Morbillivirus. Il morbillo è una malattia virale generalmente benigna, che solo in pochi casi può dar luogo a complicazioni, ma le morti sono state centinaia e centinaia a causa della mancanza di adeguate difese immunitarie nei delfini, immunodeficienza derivante dalle massicce dosi di inquinanti che si registrano nelle nostre acque.
Ad Ischia studiamo un branco di stenelle striate composto da circa 200 individui, caratterizzati dalla colorazione rosa del ventre e residenti, al contrario delle stenelle pelagiche (che incontriamo a sud, molto al largo) e che hanno il ventre color panna.
Le stenelle di Ischia frequentano un ambiente molto vasto, si possono incontrare quasi dappertutto, ma tuttavia, come tutte le altre specie di cetacei, finiscono per concentrarsi nel canyon di Cuma per le attività fondamentali della riproduzione e dell’alimentazione.
Stenella striata è una specie opportunista, significa cioè che non ha specializzazioni particolari, ma è invece molto adattabile all’ambiente che la circonda; questo si riflette soprattutto nell’alimentazione, infatti questi delfini si cibano sia di pesce di superficie come sardine e acciughe, sia di animali di profondità come calamari e totani.
L’adattabilità ne aumenta le possibilità di sopravvivenza, rendendola oggi la specie più comune del Mediterraneo.
Stenella è soprattutto un animale sociale e, vivendo in ambiente prevalentemente pelagico, l’aggregazione con i propri simili è divenuta un’esigenza vitale. Kennet Norris, il padre della cetologia, descriveva proprio le stenelle come animali perfetti all’interno del gruppo, viceversa imperfetti e a rischio di sopravvivenza se isolati dai propri simili.
La socialità come sopravvivenza quindi, per difendersi dai predatori, per collaborare nella ricerca del cibo e nella caccia, per creare un ambiente sicuro dove allevare i piccoli e per aumentare le possibilità di riproduzione. I gruppi di stenella arrivano a formare aggregazioni di migliaia di individui, che pure si muovono ed agiscono come uno solo: il grande branco oceanico. È, infatti, attraverso l’osservazione di questa specie che più si ammira il perfetto coordinamento di movimento dei delfini, che sono in grado di fare tutto, dal nuoto al salto, con assoluta sincronia.
La sincronia, che avviene con gli stessi meccanismi che attuano le ballerine di fila (quelle brave) quando si esibiscono in un can can, nei cetacei è facilitata dalla posizione laterale degli occhi che permette una visione quasi a 360 gradi ed insieme dai forti contrasti della colorazione delle loro livree, e forse aiutata da sensori di pressione che permettono di percepire le variazioni dovute al movimento dei compagni.
La sincronia, insieme alla velocità dei movimenti sono forti meccanismi difensivi basati sulla frequenza di scintillamento (flicker frequency), cioè sulla rapidità con cui la retina dell’occhio può aggiornare l’immagine, e generalmente più un animale si muove rapidamente nell’ambiente più la frequenza di scintillamento è alta. Gli squali hanno una frequenza di scintillamento di circa 45 cicli al secondo, i delfini arrivano a 70, i falchi superano i 100. Quando si supera il limite si ha un effetto fusione, quello che il cinema utilizza per dare l’impressione del movimento (per gli esseri umani è sufficiente 24/sec). Contemporaneamente, superando il limite, l’occhio non è più in grado di distinguere i singoli fotogrammi e quindi un predatore non è più in grado di mettere a fuoco correttamente il bersaglio.
Quindi le stenelle, come le acciughe e gli storni, si muovono rapidamente e in perfetta sincronia per eludere ogni possibile attacco e fare del branco il proprio involucro protettivo. È singolare, per dei mammiferi evoluti, che la forte individualità che li caratterizza venga spesso cancellata in favore del branco, che sembra agire come un grande cervello, di cui i delfini sono i singoli sensori.
Tuttavia per questi animali il gruppo è tutto, la tana, la culla, e il mondo intero si svolge all’interno di esso. I piccoli delfini vengono protetti, crescono e possono giocare indisturbati, mentre gli anziani e gli individui ammalati trovano rifugio e riparo dalla barriera della comunità che si frappone tra il nucleo e l’esterno.
È interessante notare come tutto ciò avvenga in un mondo senza confini, infatti i delfini come le stenelle non cacciano sul fondo, si muovono solo negli strati superiori dei mari e non conoscono limite o confine se non quello sottile della superficie, che separa l’acqua dall’aria. Proprio tutto questo vuoto, che in noi creerebbe subito crisi di panico, è tutta la loro esperienza esterna; da questo infinito blu, si rifugiano nel caldo abbraccio dei loro simili, che li conforta e li protegge.
Sapevate che nei delfini esiste la “fase delle carezze”? Serve a consolidare i vincoli tra i membri del gruppo ed è basata sul contatto fisico e sul sesso. Sesso che in questa fase avviene tra maschi e femmine, sia come coito che come masturbazione, non disdegna l’omosessualità e non ha alcun scopo riproduttivo, cosa, quest’ultima, molto rara nel mondo animale e che accomuna la nostra specie ai cetacei.
Un tempo anche gli esseri umani abbisognavano fortemente della protezione del branco: la famiglia, la tribù, ed in seguito la comunità erano indispensabili alla realizzazione delle nostre vite.
Oggi con una forte crescita dell’attività intellettuale a discapito della fisicità, abbiamo una magnifica comunità virtuale, ma scarseggiamo a carezze…