21/2008
Photo: Riccardo Sepe Visconti
Text: Silvia Buchner
Castagneti, fitte pinete e rigogliosa macchia mediterranea, vigneti e chilometri di suggestivi sentieri che li attraversano, colline fino ai 787 m del monte Epomeo da cui soffermarsi su panorami per molti inediti. Da questo numero Ischiacity vi porterà alla scoperta dell’altra faccia dell’isola.
E’ tipico dell’isola d’Ischia il fatto che molto facilmente e repentinamente si possa passare da luoghi estremamente animati, di persone e non solo, dai centri in cui si mescolano abitazioni moderne e storia plurisecolare, ad altri luoghi che regalano visuali e sensazioni affatto diverse. Basta imboccare la strada giusta (e intendiamo in senso proprio e non metaforico!) e si viene trasportati nel giro di pochi minuti innanzitutto nel silenzio e insieme in quella che oggi viene spesso definita come ‘l’altra faccia dell’isola’. Fatta di chilometri di stradine erte e tortuose, di fitte selve di macchia mediterranea, che possono diventare veri e propri boschi, ma che d’improvviso rivelano antichi vigneti, e punti panoramici da cui si dominano ampi tratti dell’isola stessa e del golfo di Napoli… Ebbene, abbiamo deciso di raccontare tutto questo attraverso le immagini (e parole, che potranno essere soprattutto una narrazione che le accompagna), documentando una serie di passeggiate attraverso le rocce e la terra, le piante e gli odori, i suoni e i colori delle zone che è più impegnativo raggiungere e che quindi hanno potuto preservare caratteristiche che altrove sono già mutate o scomparse.
Ischia con i suoi 46 chilometri quadrati circa di superficie si colloca al terzo posto fra le piccole isole italiane, è quindi piuttosto estesa e allontanandosi dal mare è subito movimentata da colline e piccole alture, vallette nascoste e pianori e burroni: vanno percorsi a piedi, muniti di scarpe comode, ancor meglio da trekking perché è inevitabile imbattersi in punti un po’ sdrucciolevoli e di una buona mappa con la sentieristica (noi abbiamo usato quella della Kompass) per tenere d’occhio il percorso stabilito. Quello che illustriamo in queste pagine lo ha scelto e lo ha fatto insieme a noi raccontandocene le peculiarità la signora Assunta Calise, accompagnatrice turistica e guida escursionistica diplomata con il Tiroler Bergsportverband di Innsbruck (e la dimestichezza dei popoli di lingua tedesca con l’esplorazione delle montagne e il trekking è ben nota) e membro dell’Associazione Italiana Guide Ambientali ed Escursionistiche (AIGAE).
Con un itinerario di circa 8 chilometri coperto in più o meno 3 ore (molto dipende dall’andatura, dalle soste…), si attraversa l’isola in senso Sud-Nord, partendo da Buonopane e arrivando nel comune di Casamicciola Terme. Alle estremità del percorso due tra le più famose fra le fonti di acqua dell’isola: infatti, poco prima di Buonopane, nel comune di Barano, s’incontra la deviazione per la sorgente di Nitrodi. Le sue acque sono celebri fin dall’epoca romana per le loro capacità terapeutiche, e addirittura alle ninfe che le custodivano i frequentatori della fonte dedicarono una serie di bassorilievi in ricordo e devozione per la salute recuperata (si possono vedere al museo Archeologico di Napoli e, in copie, al museo archeologico di Pithecusae, a Lacco Ameno). E hanno continuato a berle e a bagnarvisi gli ischitani, per le loro riconosciute proprietà cicatrizzanti e curative, soprattutto dei problemi della pelle. Più avanti racconteremo della fonte di Buceto, la più abbondante fra quelle di acqua dolce.
Si comincia a camminare dalla piazzetta di Buonopane: in verità il nome tradizionale, testimoniato da documenti risalenti ad epoca medievale e ancora diffuso fra i vecchi del posto era Morpane cioè ‘pane moro, scuro’, perché qui si produceva il pane con il grano coltivato nelle campagne circostanti. Venne abbandonato per il nome benaugurante di Buonopane (cosa che si è fatta anche altrove nell’isola, per esempio a Lacco che scelse di aggiungere ‘Ameno’ alla designazione originaria). Che una località così isolata fosse già nota e quindi popolata in epoca medievale non deve stupire, anzi: la sua lontananza dalla costa la rendeva, infatti, più sicura per gli abitanti in un momento di diffuso pericolo a causa delle incursioni saracene.
Dopo l’unica chiesa del paese, dedicata a S. Giovan Battista, si devia a destra e ci si inoltra per una strada ancora carrozzabile che attraversa vigne e bei frutteti. Presto si inizia a salire e subito si incontrano intensi scorci panoramici sui Maronti e Sant’Angelo mentre, verso l’interno, si scorgono in lontananza i ripidi burroni delle cave dell’Olmitello e di Cava Scura, anch’esse famose per custodire acque termali. Lasciate alle spalle le ultime case, si raggiunge la località Buttavento, dove nel punto più alto è stata collocata una statua della Madonna. Vale la pena di fermarsi e di far andare liberamente lo sguardo: dall’alto (siamo a circa 380 m sul livello del mare) tutto è al tempo stesso nuovo e più riconoscibile. Siamo sul versante a Oriente e dalla nostra destra possiamo distinguere Testaccio, il Vatoliere fino al Monte Vezzi e alle colline di Campagnano, oltre si vede il Castello Aragonese, mentre sulla nostra sinistra la visuale si chiude con il cocuzzolo del monte Trippodi, che sarà anche in seguito un punto di riferimento durante il cammino. Da lassù si domina tutta la costa: in primo piano le isola di Vivara e Procida che si vedono nella loro interezza, e poi in successione il litorale domizio, monte di Procida, Capo Miseno, Nisida.
Da questo punto in poi il cammino comincia però ad addentrarsi: si percorre la costa Sparaina con un sentiero che penetra nel fitto della macchia ed è reso tortuoso dalla presenza di grossi massi; qua e là tracce di basse ‘parracine’, i tradizionali muri a secco che sono le uniche testimonianze rimaste del fatto che un tempo, quando si viveva esclusivamente di agricoltura, la gente coltivava anche quassù. Dappertutto, adesso, crescono rigogliose le querce, arbusti e una grande varietà di piante che si alternano con il cambiare delle stagioni. In questo momento (siamo ad aprile) il suolo è ancora coperto di ciclamini violetti, le ginestre (di tre tipi, tradizionale, spinosa – attenzione le spine non si vedono ma si sentono – e quella detta ‘dei carbonai’) e il meliloto tingono la macchia di giallo brillante; si può riconoscere anche il biancospino con le sue delicate, eleganti infiorescenze, le ultime eriche (la cui rigogliosa fioritura invernale sta terminando) e il cisto femmina, che al contrario inizia la sua stagione, si aprono adesso infatti i primi fiori, bianchi con un bottone dorato al centro. La nostra guida ci insegna a riconoscere la rubia (‘rova’ in dialetto), che spunta fra le pietre con rami sottili: le sue radici pestate si usano per tingere di un bel rosso cupo le uova sode nel periodo di Pasqua. Qua e là anche orchidee selvatiche (è meglio limitarsi ad ammirarle senza raccoglierle) e i sottilissimi asparagi selvatici, che diventa sempre più difficile trovare perché molto ricercati, sono ottimi, infatti, appena saltati con un po’ di aglio fresco ed olio per condire gli spaghetti, ma sarebbe più giusto raccoglierne solo le estremità, in modo che la pianta possa svilupparsi nuovamente. Non mancano l’aglio selvatico, con i suoi fiori bianchi e quelli di un bel viola denso del cipollaccio, chiamato anche lampagione, che sotto terra ha appunto una cipolla che si può raccogliere e mangiare.
Il sentiero torna improvvisamente sulla strada che proviene da Buonopane e sale verso l’alto, siamo su via Candiano. Chiusa da bassi muri e scandita da larghi gradini lastricati con blocchi regolari, sicuramente ricalca una tracciato antico, probabilmente di secoli, che gli abitanti adoperavano abitualmente (quando ci si spostava quasi solo a piedi) per raggiungere il lato Nord dell’isola, Casamicciola appunto, come faremo noi, e Ischia, impiegando un tempo molto minore di quello necessario per percorrere la strada lungo la costa. Dobbiamo quindi immaginare i boschi che andremo ad attraversare molto più ‘frequentati’ di come appaiono adesso, quando sono appannaggio quasi esclusivo dei cacciatori, di chi ancora pratica il taglio del castagneto e in certi periodi dell’anno dei cercatori di funghi. D’ora in avanti, dopo aver lasciato sulla nostra sinistra la deviazione per un’altra importante strada, quella che conduce all’Epomeo, svoltando a destra ci immergiamo in una zona fitta di alberi: i castagni della Selva del Napolitano sono ancora spogli, ma quando avanzando la stagione calda si copriranno di verde la frescura qui sarà deliziosa. In passato i castagneti erano molto diffusi nell’isola (il più conosciuto è quello che costituisce il bosco della Falanga, sotto l’Epomeo), tutti sono stati piantati dall’uomo perché da questo legno venivano ricavati (e in parte si fa ancora) i pali che sostengono le viti. Ancora castagni anche intorno alla radura dei piani di San Paolo, perfetta per sostare. L’ombra della fitta vegetazione, i tavoli e i blocchi di pietra per sedersi invitano a fermarsi, per ascoltare il vento e gli uccelli, e per ammirare il crocifisso realizzato con pezzi di legno da Riccardo Precisano, scultore, che viene regolarmente in questi luoghi e se ne prende cura con amore. Nella prima settimana di giugno l’Associazione ‘Ndrezzata vi organizza, inoltre, La festa delle ginestre, che riunisce quassù tutta la popolazione e i turisti per salutare l’inizio dell’estate.
Importanti punti di riferimento, che ritroveremo anche più avanti, sono alcuni parallelepipedi in mattoni: nascondono pozzetti di ispezione delle sorgenti di Buceto, che arrivano fino a questa zona. I piani di San Paolo terminano infatti, verso nord, con un bivio: a sinistra si prosegue verso le zone collinari di Casamicciola, mentre a destra – ed è il percorso che seguiamo noi – inizia appunto la località di Buceto. Per un breve tratto si cammina sul fondo di una cava: è la cava Caduta, scavata nel terreno circostante tenero e addirittura in alcuni punti franoso, dalla forza dell’acqua piovana che la trasforma, in occasione delle precipitazioni, in un vero e proprio torrente, che convoglia verso il basso attraverso un percorso molto ripido la pioggia dalle alture circostanti. La vegetazione è rigogliosa, fittissima, particolarmente belle le già grandissime foglie delle piante di bardana che come le felci – ci dice Assunta, la nostra guida – fra qualche mese saranno alte quanto una persona; suggestivi anche i grandi tronchi caduti e coperti di muschi e licheni. La strada prosegue agevole e ben definita: non è più sul fondo della cava ma la costeggia, consentendo di ammirare l’intricata vegetazione che la riempie, mentre in lontananza compare nuovamente il mare, questa volta quello tra Casamicciola ed Ischia. Si raggiunge così il punto in cui da un semplice rubinetto si può attingere l’acqua di Buceto. Se Ischia è ricchissima di acque termali, viceversa le sorgenti fredde, di acqua da bere, sono poche e questa è la più rilevante: sgorga da diverse polle, tra i 250 e i 450 metri d’altezza, là dove le acque piovane infiltratesi nel terreno incontrano strati di argilla impermeabile che impedisce loro di disperdersi nelle profondità del suolo. Quindi nella seconda metà del ‘500 Orazio Tuttavilla, governatore dell’isola per conto degli Spagnoli, iniziò la costruzione di un acquedotto che, sfruttando la pendenza esistente, portasse l’acqua da queste colline giù fino al Borgo di Celsa, oggi Ischia Ponte, a quell’epoca il centro abitato più popoloso. L’impresa fu finanziata con il dazio che si pagava per esportare il vino prodotto nell’isola: la costruzione iniziò dalla sorgente e in pochi anni giunse fino alla località di Sant’Antuono. Poi però, per ragioni ignote, si fermò per circa un secolo, fu infatti solo alla fine del ‘600 che il vescovo di Ischia Girolamo Rocca stabilì di portarla a termine. Per farlo impose una nuova tassa, sulla farina, dalla quale non esentò neppure i religiosi e in tal modo l’acqua poté zampillare dalla fontana al centro del Borgo: quel che rimane dell’antico acquedotto altro non sono che le arcate dei Pilastri, che segnano oggi il confine tra il comune di Ischia e quello di Barano. Ma a Buceto attinse anche il re in persona, Ferdinando II di Borbone, attraverso il suo botanico di corte Giovanni Gussone, che nel 1853 fece incanalare parte di quell’acqua attraverso condotte realizzate appositamente. Lo scopo era di approvvigionare il Casino Reale (oggi Stabilimento termale militare), che sorgeva sulle sponde dell’attuale porto d’Ischia, e il giardino, in cui intendeva coltivare piante esotiche.
Dalla fonte di Buceto in poi la strada continua piuttosto in discesa, costeggiando le pendici del monte Toppo, fino a incrociare via Cretaio, percorribile con la macchina, quasi di fronte al bel maneggio Aragona Arabians, di Bartolo Messina. Per proseguire la passeggiata è necessario attraversare un breve tratto della strada fino a entrare nel bosco della Maddalena, la folta pineta che ricopre il monte Rotaro e che, già da diversi anni, è parco pubblico. In verità gli alberi risalgono ad epoca piuttosto recente, furono infatti piantati nel 1932 dalla Milizia Forestale fascista mentre la tipica macchia mediterranea si conserva all’interno del cratere del Rotaro, chiamato Fondo d’Oglio. In realtà, quello del Rotaro è un complesso vulcanico, infatti gli studiosi hanno potuto riconoscere tre differenti fasi di eruzione, avvenute tutte quando l’isola era abitata: la prima intorno al VII sec. a.C. e le altre 2 (Rotaro II e III) addirittura in età romana. A testimonianza della natura vulcanica di questa terra, in alcuni punti è possibile vedere, da fori fra le rocce, fuoriuscire il vapore delle fumarole e, se si è fortunati, individuare il Cyperus Polystachius una pianta molto rara, che ha bisogno di un clima di tipo tropicale, e che vive solo in prossimità di queste fumarole. In seguito alle mutazioni climatiche avvenute nel nostro continente è scomparsa ovunque, salvo che in luoghi come le fumarole, appunto, che le forniscono proprio il microclima caldo-umido indispensabile per vivere. Il parco offre numerosi punti panoramici dove fermarsi: particolarmente suggestivi quelli che affacciano sul Montagnone, l’altro vulcano sorto proprio accanto al Rotaro e sul tondo perfetto del porto d’Ischia (anch’esso un vulcano spento e poi riempito dal mare): una discesa molto ripida ma ben disegnata conduce fino alla strada statale, poco prima della località di Castiglione, dove si conclude la nostra escursione.