27/2010
Photo: Romolo Tavani
Photo: Romolo Tavani, Raffaella Scotti Natura in mutamento, in movimento, i Pizzi Bianchi. All’opposto dell’idea più comune di montagna, quella di una realtà solida, che cambia lentamente, questo luogo straordinario dell’isola d’Ischia si trasforma da una stagione all’altra, complici la roccia che la compone e l’acqua. Come spesso accade per le cose speciali, raggiungere i Pizzi Bianchi non è facile. Tanto che questa escursione si è composta di due parti: nella passeggiata ci ha accompagnato la guida escursionistica Assunta Calise, mentre la discesa nelle forre, vale a dire nelle profonde gole che costituiscono i Pizzi, l’abbiamo eseguita grazie ad un gruppo di rocciatori ed esperti di speleologia, come vedremo più avanti. In entrambi i casi, per raggiungere la località si parte dalla piazzetta di Noia, frazioncina con panorama aereo del comune di Serrara Fontana, per prendere un viottolo in discesa, ingannevolmente facile… In realtà, è molto scivoloso, tanto che è assolutamente necessario indossare scarpe adatte, possibilmente da trekking, per camminare con tranquillità (e comunque si deve stare bene attenti a dove si mettono i piedi!). Si procede, infatti, per un paio di chilometri, scendendo rapidamente dalle alture verso il mare, lungo uno dei valloni che con regolarità innervano il versante sud dell’isola d’Ischia. Qui li chiamano ‘cave’, sono stati scavati nei millenni dall’acqua piovana che si è insinuata nel materiale roccioso tenerissimo che ricopre queste colline, modellandole in un paesaggio molto caratteristico. I profondi valloni – di Cava Scura, che è la meta della passeggiata, e quelli contigui di Nitrodi e dell’Olmitello – sono separati da pareti alte e scoscese, spesso coperte da un impenetrabile, rigogliosissimo bosco di lecci, querce e macchia mediterranea, in altri casi completamente nude. Affacciandosi sull’orlo delle cave si trattiene il fiato, lo sguardo calamitato dai burroni – sul cui fondo spicca la traccia lasciata dall’acqua provenienti che scorre, scavando e scavando la sua strada verso il mare – e dagli alberi magnifici che questo microclima fa crescere altissimi; al termine ultimo della corsa, la costa con la spiaggia dei Maronti fino a S. Angelo e il mare aperto. All’improvviso, però, i tunnel di vegetazione cessano: la roccia nuda, chiara, compare sul fondo della cava. Invece del bosco, un paesaggio di pinnacoli, guglie, montagnole sagomate in profondità da scanalature parallele, innervate da sottili lame, gobbe, pareti verticali che sembrano tagliate con un coltello, per quanto le linee sono nette, e che si alternano a forme capricciose, fantastiche. Mancano le piante: salvo per qualche cespuglio, tutto è dominato dal riverbero abbacinante sulla roccia della luce del sole. Ai nostri piedi, dentro il vallone di Cava Scura che si perde con le sue sinuosità dirigendosi verso il mare, quelli che popolarmente si chiamano i Pizzi Bianchi o Pizzi di don Andrea. Sono una serie di calanchi, cioè di formazioni provocate dallo scorrere incessante, da millenni, dell’acqua attraverso un materiale in cui incontra poca resistenza e che quindi consuma e modifica a piacimento, un lavorìo senza fine, in un processo di generazione e disgregazione. L’acqua scava, infatti, innumerevoli solchi, facendosi strada nella roccia cedevole e creando al suo interno tortuosi cunicoli, quasi delle grotte, dando vita a forre e strettissimi passaggi alti molti metri, a dislivelli di quota che si possono superare solo con attrezzature speleologiche, come illustrano bene le immagini. D’altra parte, è sempre l’acqua – con l’apporto ulteriore del vento – che consuma le tenere superfici che essa stessa ha generato, incide le alte pareti, erode i pinnacoli: un meccanismo inarrestabile che riporta al suolo la roccia perché venga nuovamente tagliata dalla forza dello scorrimento della pioggia. Un discorso a parte meritano le colonne di roccia che danno il nome ai Pizzi Bianchi. Su ciascuna di essi c’è (o c’era, essendo intanto caduti) una pietra più dura o un cespuglio: è proprio questa presenza estranea, di consistenza differente dal materiale friabile della roccia sottostante, che ha consentito a queste formazioni verticali di generarsi. Infatti, la pietra, in alcuni casi grande in altri un semplice sasso (ma il risultato finale, in scala, è il medesimo) o il cespuglio hanno protetto la roccia nella parte che era subito al di sotto di essi, mentre tutto intorno essa ha continuato a essere consumata, dando vita alle torri e guglie che popolano questo scorcio di vallone. Quando la copertura cade, inizia l’erosione del pinnacolo che finirà per essere consumato anch’esso. Da qualche mese è possibile non solo contemplare questo paesaggio unico dall’alto ma anche entrare nelle viscere dei Pizzi Bianchi: un’esperienza che può essere fatta in piena sicurezza grazie al percorso tracciato dai giovani dell’Associazione Campana di trekking Vento di Natura, fondata da Antonio Gebbia, naturalista e proprietario dell’Indiana Park, il percorso attrezzato fra gli alberi nato qualche anno fa della pineta di Fiaiano. Appassionato di escursioni, Antonio ha esplorato tutto il sistema delle alture dell’isola d’Ischia, ha eseguito la discesa in tutte le cave e lo scorso inverno ha esplorato anche i Pizzi Bianchi. La prima volta, in verità non è riuscito a compiere il percorso fino al termine del vallone, a causa dei dislivelli di cui abbiamo detto, che vanno dai sette fino ai diciotto metri. Ma non si è arreso, ha risalito Cava Scura partendo dal basso, percorrendo alcuni tratti anche in arrampicata libera, cioè senza l’aiuto di corde. Si è così reso conto che predisponendo nel modo giusto il luogo era possibile renderlo accessibile quasi a tutti. Insieme ai suoi colleghi, ha ‘armato’ la forra, come si dice in linguaggio speleologico, attraverso l’inserimento nella roccia a 50 centimetri di profondità di ancoraggi, cioè di barre filettate in acciaio inox saldate alla pietra stessa con l’uso di resine (simili al cemento usato dai dentisti), per creare un tutt’uno di roccia, metallo e collante. Agli ancoraggi si agganciano le corde per calarsi: muniti infatti, di corde, moschettoni, caschetti e tutta l’attrezzatura necessaria, Antonio e Domenico Gebbia con Simone De Sanctis, Mario Agnese, Raffaella Scotti da quest’anno accompagnano i visitatori in gruppi, attraverso i Pizzi Bianchi e fino ai Maronti, dove la cava termina, in un’escursione che dura 5-6 ore. Ogni passo all’interno del canyon è stato studiato per consentire di effettuare il percorso a chiunque sia di costituzione fisica normale. Proprio per la particolarità delle condizioni naturali che hanno dato vita ai Pizzi Bianchi, è sufficiente il passare di un inverno con le sue piogge – metri e metri cubi di acqua al secondo che scendono dalle colline che sono a monte e precipitano attraverso le forre come in un corridoio pieno di curve – per svellere i chiodi e portare via corde e scale indispensabili a effettuare la discesa, ma anche per creare nuovi salti di quota che prima non c’erano e pozze d’acqua che è necessario superare, spiega Antonio. “La nostra presenza e la nostra attività, quindi, oltre a rendere fruibile un luogo unico che altrimenti sarebbe accessibile solo a pochissimi, fornisce anche un controllo costante delle condizioni ambientali di un geosito di importanza Comunitaria, riconosciuto cioè dalla Comunità Europea, qual è appunto la località dei Pizzi Bianchi”. Oggi grazie a questo gruppo di esperti, si può entrare dentro un fenomeno naturale eccezionale, toccare con mano cosa riesce a generare la forza di miliardi di gocce d’acqua che si muovono insieme, compiere una specie di ‘viaggio al centro della terra’ ischitano, in un luogo poco toccato dall’uomo, con una sua quota di mistero e di ‘dramma’, infatti i ragazzi di Vento di Natura più di una volta si sono trovati a salvare, portandoli con sé per rendergli la libertà, serpenti caduti dall’alto negli anfratti bui e freddi dei Pizzi Bianchi e che lì sarebbero morti, non trovando nutrimento adatto e non riuscendo a risalire lungo le pareti lisce e altissime. Al termine dell’escursione si torna alla luce in un luogo eccezionale quanto quello appena attraversato, Cava Scura, dove si possono vedere le celle scavate nella roccia in epoca romana (!), e fare la sauna come nell’antichità, in ambienti di pietra, dietro un semplice lenzuolo (è dedicato a Cava Scura l’articolo di Peppino Brandi, in questo stesso numero di Ischiacity). Per la guida escursionistica Assunta Calise, che organizza passeggiate nelle più belle località dell’isola d’Ischia: info al 329.5355723 Per l’escursione all’interno dei Pizzi Bianchi: telefonare a 349.7561195 o rivolgersi all’infopoint di Indiana Park a Fiaiano Text: Antonino Italiano I Pizzi Bianchi offrono la visione di un campo di piramidi, coni e cilindri, alti anche dieci metri, sormontati da un masso o da un cappellaccio di terreno più consistente: si tratta, infatti, di forme di terreno che l’azione erosiva di acque selvagge ha sviluppato prevalentemente in verticale. E’ caratteristico di questi monumenti naturali il candore che li connota, insieme a tutta la roccia madre circostante, costituita da materiale originato dall’alterazione fisico-chimica di preesistenti rocce vulcaniche tufacee. In generale, i materiali costituenti isole vulcaniche non sono avari di colore. Basta fare il giro delle Eolie o delle Pontine o riferirsi al tufo giallo napoletano o allo stesso tufo verde dell’Epomeo per riconoscere tonalità variabili dal nero al viola, dal giallo al bruno, dal grigio al bianco. Nel caso in esame, stupisce la non casuale collocazione dei Pizzi all’interno di un perimetro limitato ma riconoscibile, appunto, dalla colorazione bianca. L’acqua corrente, quella delle normali piogge, costituisce l’agente principale di modellamento della bianca formazione tufitica. Ruscellando sul terreno, i filetti fluidi erodono e trasportano via piccole particelle approfondendo la quota del pavimento e aumentando, indirettamente, l’altezza dei coni. L’evoluzione prevedibile di questo processo sarà un aumento dell’altezza dei Pizzi fino a quando il lavorio dell’acqua non inciderà uno strato di consistenza più solida, sottostante alla formazione biancastra. E’ evidente che, col passar del tempo, l’equilibrio dei pinnacoli diventa sempre più precario non solo per l’aumento dell’altezza ma anche per la presenza di forme erosive dell’acqua che si propagano in senso orizzontale. Queste ultime, chiamate dai geologi marmitte, sono una sorta di “scultura” prodotta dalla corrente che, dotata di notevole energia, ‘cattura’ sul suo cammino ciottoli e altri materiali detritici e, facendo in pratica dei mulinelli, li usa come scalpelli sulle rocce secondo traiettorie circolari. Questo fenomeno erosivo ha modellato il materiale tenero dei Pizzi Bianchi generando caratteristiche cavità dalle pareti sinuose, che sono ben visibili. Resta da capire il meccanismo genetico della “pasta” costituente queste formazioni geologiche uniche. Per spiegare il fenomeno bisogna fare un salto indietro nel tempo in cui l’isola d’Ischia, allo stato embrionale, scalava la profondità marina per mostrarsi in superficie con l’importante carico di fango (argilla), limo, sabbia a ciottoli che normalmente ricopre gli abissi. Questi materiali scarsamente cementati, mentre l’isola emergeva, perdevano di equilibro finendo di nuovo sotto il livello del mare. Successive fasi di risalita dell’isola mettevano ancora una volta i pacchi di terreno, ormai ampiamente rimaneggiati, alla mercè dell’azione degli elementi esogeni (acqua, vento, temperatura, attacchi chimici). A questo punto e solo alla fine di processi abbastanza complessi la natura ha potuto disegnare e scolpire i Pizzi Bianchi.