Friday, November 22, 2024

n.07/2006

 

Photo: Maria Cristina Gambi
Text: Maria Cristina Gambi

 

Questa idea del mare 6
“Vuelvo al Sur”… cioè “ritorno al Sud” è il titolo di una bella e struggente milonga argentina interpretata dal grande cantante brasiliano Caetano Veloso. La prima strofa dice: “vuelvo al Sur, come se vuelve siempre al amor” e credo che non necessiti di traduzione. L’ho citata perché anche io ogni tanto…ritorno al Sud come si torna sempre prima o poi in quache posto che si ha nel cuore e che rappresenta una parte della propria concezione di casa. Il Sud nel mio caso è il sud estremo del mondo, l’Antartide.
Mentre vi sto scrivendo, sono a bordo della nave da ricerca dell’Armada Spagnola (cioè la marina militare) “Hesperides” e abbiamo da poco passato il circolo polare antartico (66 gradi, 33′ S) all’altezza del Mare di Bellinghausen, a sud-ovest della penisola Antartica. Sono stata invitata a partecipare a questa campagna antartica di ecologia marina, denominata “Bentart 2006”, da Ana Ramos, una collega di Malaga con cui ci conosciamo da numerosi anni, che come me è coinvolta nella ricerca in mare in Antartide, e che è appunto il capo-spedizione di Bentart 2006. Per me questo invito rappresenta la quinta spedizione nel ‘continente bianco’. Ho effettuato la prima nel 1989 con il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide italiano (PNRA), nel Mare di Ross dove l’Italia ha la sua unica base antartica a Baia Terra Nova (così denominata da Robert Falcon Scott, che la scoprì a bordo della sua nave “Terra Nova”). A questa prima esperienza è seguita una seconda spedizione nel 1995 sempre nel Mare di Ross con il PNRA; nel 1996 e nel 1998 infine ho partecipato a due spedizioni nel Mare di Weddell su invito dei colleghi tedeschi dell’Alfred Wegener Institut di Bremerhaven. Erano quindi 7 anni che, nonostante altre opportunità che si erano verificate, non riuscivo a… ritornare al Sud per vari motivi, professionali e personali, e questa volta ho accettato volentieri l’invito e quindi eccomi di nuovo… al Sud!
Gli obiettivi di questa campagna di biologia marina, come di ogni altra campagna antartica, sono sempre molteplici e complessi, perché si cerca di soddisfare il maggior numero di esigenze scientifiche utilizzando al massimo ed al meglio la stessa complessa e costosa logistica che si ha a disposizione e durante il tempo limitato della spedizione stessa. Questa campagna è tuttavia piuttosto speciale poiché concentrata sullo studio della sola componente del benthos antartico (cioè quell’insieme di organismi che vive a stretto contatto con il fondo marino), da cui il nome di Bentart 2006. Inoltre, la campagna si svolge in una zona piuttosto remota dell’Antartide e relativamente poco studiata, quale il Mare di Bellighausen. Le finalità sono il campionamento, con diversi mezzi di prelievo, quali draga, box corer, slitta epibentica e nasse, del benthos di questa zona dell’Antartide per valutarne la biodiversità e descriverne la distribuzione, la biogeografia e la struttura.
Ciò al fine anche di comparare i dati con altre zone dell’Antartide e contribuire alla conoscenza faunistica ed ecologica di una delle aree del nostro pianeta ancora ampiamente sconosciute.
Ma perché si va in Antartide? A fare cosa? E perché questa parte del nostro pianeta ha esercitato ed esercita un fascino così forte su molti (io sono tra questi sicuramente!)?
Sono state scritte pagine bellissime e numerosi libri e saggi partendo da queste domande, ma tenterò lo stesso di sintetizzare al massimo alcune delle risposte.
L’Antartide rappresenta ancora oggi una delle zone più inaccessibili e remote del nostro pianeta. L’isolamento, l’ambiente ostile ed estremo hanno impedito fino alla fine dell’800 la sua esplorazione sistematica e completa e il suo studio. Oggi, l’accesso all’Antartide e l’attività che vi si svolge sono sicuramente più facili di prima e sono regolati dal Trattato Antartico stipulato nel 1961 e rinnovato nel 1991 per altri 50 anni. Fanno parte del Trattato le nazioni che hanno attività scientifica in Antartide (attualmente circa 28) e l’Italia è entrata come membro nel 1988 dopo soli tre anni di attività scientifica (iniziata nel 1985). Il Trattato non riconosce alcuna rivendicazione territoriale in Antartide a cui si accede senza che nessuno ti chieda…il passaporto! Le attività previste sono esclusivamente di ricerca, gli scopi militari e lo sfruttamento delle risorse di tipo minerario o biologico sono preclusi a qualsiasi nazione. Da qualche anno, tuttavia il Trattato prevede la regolamentazione dell’accesso turistico al Continente, aspetto da non sottovalutare in un futuro molto prossimo.
È chiaro, quindi, come l’Antartide rappresenti per gli scienziati un grande laboratorio naturale, in cui gli ambienti sia a terra che a mare sono ancora in larga misura in condizioni ecologiche primeve. Con il Trattato, l’Antartide offre inoltre anche l’opportunità di una grande sfida politica e diplomatica internazionale di cooperazione e autoregolamentazione comune.
A causa delle condizioni ambientali eccezionali e del bassissimo impatto antropico, è possibile studiare in Antartide fenomeni particolari che non si possono osservare in altre parti del nostro pianeta, o almeno non con la stessa efficacia e valenza conoscitiva e scientifica. Mi riferisco a fenomeni di geofisica e soprattutto di astrofisica (radiazione di fondo) e fisica dell’atmosfera. Tutti ricorderanno, in proposito, il problema del buco dell’ozono che è stato possibile mettere in evidenza solo dopo l’entrata in funzione delle stazioni metereologiche in varie zone dell’Antartide. Dal punto di vista biologico l’Antaride rappresenta una vera e propria sfida per la vita! La flora e la fauna, scarsissime a terra per le condizioni davvero limite che si verificano soprattutto in inverno, rivelano invece nelle acque che circondano il Continente bianco una varietà inaspettata e una ricchezza, in termini di abbondanza e biomassa, davvero unica rispetto a tutti gli altri oceani del mondo. Le acque antartiche, per quanto fredde, hanno temperature che non si abbassano oltre i -2 gradi anche in inverno (al di sotto l’acqua semplicemente gela) e le grandi correnti oceaniche che circondano il continente provocano rimescolamenti di masse d’acqua che rimettono in circolo enormi quantità di nutrienti innescando un processo a cascata nella rete trofica di mare aperto e nelle aree costiere che favorisce lo sviluppo di enormi quantità di organismi adattati a queste condizioni. I grandi banchi di krill (organismo chiave nella rete trofica antartica) sono l’esempio più importante in quanto rappresentano il cibo elettivo di numerose foche, dei pinguini ed altri uccelli marini, nonché di alcuni pesci e cetacei. Lo studio della diversità di queste forme di vita, della loro evoluzione ed adattamento all’ambiente rappresenta quindi uno dei campi di ricerca più interessanti, a mio avviso, per un biologo marino.
Il perché quindi l’Antartide possa affascinare un ricercatore è abbastanza facile da comprendere e giustificare, ma non c’è solo questo aspetto. Se si leggono i resoconti dei grandi esploratori e viaggiatori antartici, quali Scott, Shackelton, Nansen o Cherry-Garrard e Byrd, ci si rende conto che il fascino esercitato da questi luoghi estremi tocca una corda molto profonda dell’animo umano; Shackleton stesso a commento della sua incredibile avventura e sopravvivenza sul pack disse: “Ci siamo affacciati sull’abisso delle nostre anime e vi abbiamo guardato dentro!”.
Perché la conquista del Polo Sud ha rappresentato una sfida al limite delle possibilità umane ed ha assunto un’aura di eroismo, abnegazione e coraggio mai raggiunta da nessun’altra delle imprese umane, anche, e forse soprattutto, quando purtroppo si è risolta in una tragedia immensa come la morte di Scott e dei suoi 4 compagni, di ritorno dal Polo Sud. Ma veniamo al presente ed alla mia spedizione. Devo dire che ero piuttosto emozionata quando ho incontrato tutti gli altri partecipanti della campagna all’aereoporto di Madrid, da cui partivamo alla volta Ushuaia nella Terra del Fuoco argentina, punto di imbarco con la nave “Hesperides”, che ci aspettava nel porto e con cui siamo salpati il 2 gennaio nei tempi previsti.
Il tanto famigerato Capo Horn (incubo di tutti i naviganti a queste latitudini) e lo Stretto di Drake (il passaggio che separa la punta del sud America dalla penisola Antartica) ci hanno … risparmiato ed abbiamo fatto una traversata tranquilla, senza nemmeno un cubetto di ghiaccio e solo con l’immancabile onda lunga oceanica. Con queste condizioni, in due giorni di navigazione siamo arrivati già in Antartide!
La nostra pima meta erano le isole di Deception e di Livingstone, dell’arcipelago delle South Shetlands, dove alcuni dei nostri colleghi dovevano effettuare alcuni campionamenti mirati al loro programma di ecologia chimica e dovevano poi sbarcare per trattenersi presso la base spagnola “Gabriel de Castilla” sita all’interno di Deception. Non ho parole per descrivere l’isola di Deception se non che è uno dei posti più straordinari del mondo che abbia visto. È un’enorme caldera vulcanica inondata e con un’apertura all’esterno di soli 80 metri di larghezza (tipo un porto d’Ischia a dimensioni giganti!).
Al’interno della caldera c’è una vecchia base baleniera abbandonata e le basi spagnola ed argentina; le rocce vulcaniche hanno riflessi di vari colori, dal blu cobalto al rosso e la caldera è ancora oggi costellata da diverse bocche laterali del vulcano principale, alcune ancora attive (l’ultima eruzione seria risale al 1969), in alcune aree sono presenti fumarole ed acque calde in piccole spiagge di grossi ciottoli e ghiaia vulcanica nerissima. L’apertura è spettacolare per la presenza di bastioni rocciosi molto ripidi (li chiamano le spalle di Poseidone!) e in uno dei lati di ingresso alla caldera c’è una piccola pinguinaia di pinguini Chinstrap (Pygoscelis antarctica). All’interno della caldera le acque sono sempre calme e si ha l’impressione di essere in un lago, anche se il loro colore è piuttosto limaccioso per la presenza di numerosi ghiacciai e per le condizioni di ridotto idrodinamismo. Insomma, un posto di una bellezza primeva e di grande fascino, non a caso l’intera zona rappresenta una’Area antartica specialmente protetta (ASPA).
Terminati questi primi campionamenti e lasciati alcuni nostri compagni alla base spagnola, avevamo ancora un impegno ‘istituzionale’ da assolvere prima di entrare nel vivo del nostro programma, cioè la visita a bordo del comandante delle forze armate spagnole e di parte della commissione scientifica polare spagnola. La delegazione, di 8 persone, è stata accolta presso l’isola di King George, dove esiste uno dei pochi aeroporti del continente antartico, ed ha passato 4 giorni con noi e l’equipaggio, visitando la nave ed effettuando una serie di escursioni ad altre basi spagnole della zona, nei canali di Gerlache e Neumayer e nella Baia Paradiso. L’Antartide ci ha regalato 4 giorni di sole e di mare calmo straordinari di cui abbiamo tutti goduto, potendo effettuare anche alcune escursioni a terra a King George a visitare pinguinaie e colonie di elefanti marini.
Ora la nostra meta è finalmente il Mare di Bellinghausen dove si svolgerà la maggior parte dei campionamenti previsti dal programma Bentart 2006. C’è un programma piuttosto intenso, abbiamo organizzato diverse ‘squadre’ di lavoro, ciascuna dedicata ad un particolare attrezzo e abbiamo stabilito una sequenza di operazioni in modo che il lavoro sul ponte e in laboratorio si effettui 24 ore su 24 con gruppi alternati e turni di persone diverse. Ognuno deve fare la sua parte ed attenersi agli orari ed esigenze della squadra a cui appartiene: questo tipo di organizzazione è l’unico modo di guadagnare al massimo in termini scientifici dal tempo e dai mezzi a disposizione. Campioneremo, ghiaccio marino (pack) permettendo, lungo alcune radiali stabilite sulla carta e con andamento perpendicolare alla costa e verso il largo fino ad una profondità massima di 2000 metri. Ciò al fine di studiare i cambiamenti delle comunità del fondo in rapporto alla profondità e a tutti i fattori ad essa collegati. L’utilizzo dei diversi attrezzi di prelievo, che campionano selettivamente componenti differenti del benthos, permetterà, con l’integrazione dei dati, di ricostruire la struttura complessiva delle comunità dei fondali. Il programma è molto ambizioso, ma a bordo c’è una grande voglia di lavorare e una buona organizzazione di gruppo che sono la premessa migliore e daranno sicuramente i loro frutti.
L’importante in questo momento è comunque che io….sono al Sud!

* Laboratorio di Ecologia del Benthos – Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli