Il posto d’onore nella mostra dedicata dal museo di Capodimonte, diretto da Sylvain Bellenger, agli anni napoletani di Caravaggio doveva andare a lei, alle Sette opere di misericordia, l’opera più celebre fra quelle realizzate a Napoli del geniale artista. Ma così non è stato. Il guanto di sfida di una polemica che ha visto schierati su fronti contrapposti esperti, intellettuali, politici, personalità di calibro internazionale, lo ha lanciato Nicola Spinosa (che è stato a lungo Soprintendente per i beni artistici di Napoli e come tale ha curato gli allestimenti di Capodimonte) dicendosi assolutamente contrario a spostare il quadro dalla sua sede naturale, la cappella del Pio Monte. E poi si sono aggiunti, fra gli altri, lo storico dell’arte Tomaso Montanari e Salvatore Settis (contro), il soprintendente del Pio Monte Alessandro Pasca di Magliano e il sindaco De Magistris, ma pure Riccardo Muti (tutti a favore). Fino al definitivo diniego del Ministero dei Beni culturali e, di conseguenza, del ministro Bonisoli. Al di là del sapore di resa dei conti personale che è parso trasparire da talune prese di posizione, si ripropone una querelle sentita, in un paese che di opere d’arte ne possiede davvero tante. Qual è il ruolo che oggi può e deve giocare il patrimonio artistico e culturale? E’ giusto farne strumento di promozione e attrattore turistico e, quindi, mezzo per contribuire all’economia del Paese?
La querelle generatasi intorno alla richiesta di spostare il quadro di Caravaggio Le sette opere di Misericordia dalla cappella del Pio Monte a Forcella al museo di Capodimonte, non tiene conto – in modo del tutto sorprendente! – del solo motivo valido per il quale (e solo per esso) tale prestito andava approvato. Tale motivo è – naturalmente! – quello di avvantaggiare tutta Napoli di un maggiore dinamismo attrattivo turistico. Per me questo è assolutamente chiaro: i miei studi, il mio interesse personale, il mio lavoro, taluni incarichi ricoperti in passato, ma soprattutto l’essere un napoletano che da molti anni vive ad Ischia – località che lavora esclusivamente con il turismo, al punto che la definirei “Università naturale di Scienze di Economia Turistica” – mi hanno portato a diventare un esperto in materia. Sostengo anzi che, in realtà, nessun isolano, per quanto distratto, può sentirsene estraneo: tutti gli ischitani, infatti, a differenza dei napoletani, sanno esattamente cosa vuol dire fare turismo – mentre temo che questa mentalità manchi a troppi fra i commentatori che hanno dato corpo alla polemica intorno all’opera di Caravaggio.
E tornando alla nostra questione iniziale, quando utilizzo il termine “turistico” sottintendo un’ampia serie di implicazioni economiche che (in tempi di crisi dell’industria, ciniche pulsioni all’autonomia regionale, sistemica sottomissione camorristica, etc) sono la sola, disperatissima risorsa che permette a Napoli (e ad una certa parte del sud Italia) di organizzare un dignitoso sistema lavorativo (bed & breakfast, ristorazione, forniture servizi, trasporti, commercio, souvenir, etc.) utile alla sopravvivenza di migliaia e migliaia di famiglie.
Questo programma era assai chiaro al primo ministro Renzi e al successore Gentiloni che decisero, attraverso il Dicastero retto (con strategica lungimiranza) da Dario Franceschini di sostenere un’impattante politica di promozione degli ambiti di pertinenza governativa di “Arte e Cultura” messi in asse con quello del “Turismo”. In altre parole, si decise (giustamente) a tavolino di unire in un unico Ministero le competenze di Arte, Cultura e Turismo, creando un pacchetto di provvedimenti (art bonus, riforma delle Soprintendenze, dei parchi archeologici e dei Musei, del Cinema, degli Enti teatrali, delle Film Commission, etc.) che ha permesso in pochissimo tempo di favorire un corale risveglio (tanto in Italia quanto, soprattutto, all’estero) dell’interesse verso le città d’Arte italiane e più in dettaglio verso i tanti presìdi di Arte utilizzati per attrarre milioni di viaggiatori (importatori di preziosa valuta estera). Questo fenomeno ha indiscutibilmente ridato vitale ossigeno al piccolo e medio tessuto di attività economiche cittadine (ma anche di molte periferie) permettendo a centinaia di migliaia di italiani di lavorare, direttamente o per via indotta, grazie al rigenerato circuito turistico.
La trasformazione, ad esempio, del ruolo di Direttore di Museo in manager della struttura, ha permesso a persone come Bellenger, Giulierini, Osanna, Felicori (Capodimonte, MANN, Pompei, Caserta) etc, di intervenire fattivamente, e con indiscussi successi molto apprezzabili sul piano economico, all’interno delle strutture da essi dirette. A questo si univa il pacchetto (su menzionato) di misure di agevolazione volute dal Governo. Purtroppo con l’insediamento del nuovo Esecutivo, nel 2018, è stata progressivamente (ed a mio avviso improvvidamente) smantellata buona parte della struttura virtuosa costruita con intelligenza da Franceschini: si pensi che si è giunti a scorporare da Arte e Cultura l’ambito del turismo, che, invece, è stato “tristemente” accorpato all’agricoltura! C’è bisogno di dire altro?!…
Ecco allora che i musei si ritrovano in affanno e più che mai, nell’interesse di tutto il territorio, devono dar vita ad “attività culturali seduttive” capaci di cogliere l’interesse dei visitatori: il caso di Bellenger è emblematico… Egli si trova a dirigere la pinacoteca di Capodimonte che è tanto ricca e bella quanto, in proporzione diretta, elusa dai tour turistici. Prima dell’arrivo di Sylvain Bellenger erano davvero pochi i visitatori, il palazzo versava in condizioni di grande trascuratezza: allestimenti vecchi e datati, nessun tipo di possibile interazione digitale, illuminazione clamorosamente inefficace, mancanza di personale, con obbligo di chiudere ai visitatori interi reparti – vedi la sezione dedicata all’’800! – precarietà dei servizi igienici, trascuratezza della manutenzione, inadeguatezza del personale (guide, custodi, sorveglianza e perfino responsabili amministrativi), abbandono dell’immenso parco del Real Bosco, nessun utilizzo delle ricche depandances del sito e per ultimo – ma nient’affatto ultimo – il pessimo collegamento di Capodimonte con il resto della città. Infatti, fu preoccupazione del Direttore quella di stipulare un accordo con un’azienda specializzata per istituire delle navette che partissero dal centro per accompagnare i visitatori nel poco raggiungibile sito di Capodimonte. A tal proposito non mi risulta che il municipio di Napoli (che ne ha l’autorità esclusiva) abbia, da parte sua, fatto granché per migliorare significativamente il collegamento tra la collina dove poggia la pinacoteca e la Città. Ecco, quindi, spiegata l’irrinunciabile necessità di creare all’interno di Capodimonte eventi di tale portata e tale frequenza da vincere la riottosità della gente ad affrontare mille disagi per andare al sito. Tutto ciò premesso e scorrendo con attenzione l’elenco dei tanti palloni gonfiati che si sono precipitati a censurare l’iniziativa di allestire una mostra assai ricca su Caravaggio ho avuto la triste sensazione (ma per me è una certezza) che molti di loro abbiano attaccato Bellenger per motivi che nulla hanno in comune con la cultura, l’arte ed in particolare Caravaggio. In tanti hanno consumato vendette incrociate, passando sulla testa del Direttore, per colpire una parte politica, come l’ex ministro Franceschini, oppure per attaccare il mutato ruolo di direttore in manager (questa, se vi pare, si chiama invidia, gelosia, avidità), o ancora per regolare liti da tinello familiare (quando moglie e marito hanno urticanti posizioni antagoniste e ci va di mezzo un terzo incolpevole…), o per il solo vezzo di contrapporre la propria “opinione” ad autorevoli commentatori che la pensano diversamente (quando un docente o un critico o un direttore di testata si oppone ad un collega di parte contrapposta) e via dicendo. Tutti contro il “gallo” (Bellenger è francese e di questi tempi fa fico attaccare i “cuginetti continentali”), solo per regolare le proprie miserie umane. E mentre a gran voce questo coro di arpie chiede la testa del Direttore, il rischio (grosso!) per Napoli, e per la Campania e tutto il Sud, è che si ritorni a sottostimare l’importanza trainante dell’Arte e della Cultura intese come “locomotive di economia turistica”.
Text_Riccardo Sepe Visconti Photo_ archivio museo di Capodimonte
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