Il filosofo “silurato” ha dalla sua la Città. O quanto meno una cospicua fetta dell’intellighenzia partenopea che, dallo scrittore Maurizio De Giovanni ad Aldo Masullo, non ha perso tempo a schierarsi dalla sua parte, a poche ore dal rimpasto di giunta di metà novembre con il quale il sindaco Luigi de Magistris ha, di fatto, rivoluzionato Palazzo San Giacomo. Non perde l’aplomb quasi proverbiale lui, Nino Daniele, classe 1953, anche oggi che non è più assessore alla Cultura e al Turismo del comune di Napoli. E del resto la Città sembra ancora inghiottirlo e stimolarlo, oggi più di ieri, quasi che nulla sia cambiato. Consigliere comunale a Napoli dal 1977 al 1993, consigliere regionale della Campania dal 1995 al 2005 e vice presidente della Giunta Regionale, dal 2005 al 2010 sindaco di Ercolano: la storia recente è legata al boom culturale della terza Città d’Italia, tra mostre di richiamo internazionale e flussi turistici in crescita quasi esponenziale. Non è bastato, però, perché la politica – parafrasando il celebre adagio – ha le sue ragioni che la ragione non conosce. E mentre sorseggia il suo caffè mattutino, tra gli irrinunciabili rituali di una quotidianità che resta quasi inalterata, Nino Daniele accetta di parlare di passato e futuro. Suo, ma soprattutto di Napoli. Senza peli sulla lingua, come al solito.
Crede veramente che la cultura sia stata un traino essenziale al rilancio turistico della città?
Lo è stata eccome. E del resto la sua grande forza attrattiva, il suo richiamo irresistibile sono soprattutto nel patrimonio culturale e storico, nel valore simbolico di una Città che ho più volte definito la più filosofica al mondo, in ragione del suo passato, ma che si presenta ricchissima e vitale anche nel suo presente. Napoli oggi mette in campo la sua grande tradizione nella musica, nel teatro e nella letteratura. Chi vi approda è pronto a un viaggio infinito nella civiltà e nei linguaggi del contemporaneo.
E cosa è cambiato nell’ultimo decennio?
Fino al 2011-2012 era avvolta da una sensazione di cupo avvilimento. Era frustrata e depressa. La sera vigeva il coprifuoco. Il decennio finisce con il New York Times che definisce Napoli la Città più cool al mondo. Non vi sembra un percorso eccezionale?
Al netto dell’aeroporto che costituisce sicuramente un’opera strutturale determinante per aumentare il flusso dei viaggiatori, quali altri fattori a suo giudizio hanno determinato il notevolissimo aumento di presenze che si è avuto negli ultimi anni?
Intendiamoci: non è l’aeroporto di Capodichino che attrae i viaggiatori, ma la Città – con il suo appeal – a farlo. Non voglio con questo minimizzare il ruolo importante dell’aeroporto, cresciuto anche e soprattutto grazie all’abile lungimiranza dei manager, e mi piace citare il ruolo fondamentale di Armando Brunini. Ma va chiarito il rapporto di causa ed effetto: se alcuni dei più grandi vettori internazionali hanno puntato su Napoli, aprendo collegamenti con città europee e proponendo nuove rotte, e non mi riferisco soltanto a Easyjet e Ryanair, vuol dire che è anzitutto cresciuta la domanda. L’offerta ha finito con l’assecondare la riscoperta di Napoli, che oggi è meta privilegiata dei giovani europei ed americani.
Non pensa che l’aver trascurato il censimento dei cosiddetti affittacamere da un lato abbia contribuito a creare un fenomeno di sommerso illegale e dall’altro impedisca di fatto una programmazione del fenomeno turistico?
Molti bed and breakfast per la verità sono attività regolarmente censite. Certo è che l’offerta di ospitalità arrivata dal basso, qui come altrove, ha profondamente modificato il settore. Oggi il mercato alloggiativo consta di migliaia di stanze a disposizione dei turisti, e si paga la mancanza di normative chiare in merito. I controlli fiscali sono complicati, spesso la tassa di soggiorno non viene versata. Ma noi non abbiamo trascurato il fenomeno, anzi. Ci siamo inventati l’idea del codice identificativo obbligatorio per le strutture destinate all’ospitalità, un’idea diventata legge per la quale il comune di Napoli, insieme a una serie di associazioni, si è battuto senza indugi. Certo, la misura va resa pienamente operativa, ma direi che la strada intrapresa è quella giusta.
Resta comunque il problema dell’identità: il centro storico si impoverisce, perdendo residenti e botteghe storiche e piegandosi alla logica dell’invasione del turismo di massa.
Ecco, questo è un rischio decisamente preoccupante, legato alle direttive liberiste del nostro Paese. Altrove, e penso a Barcellona, il problema – che è una delle conseguenze negative della globalizzazione – viene affrontato con strategie chiare in grado di scongiurare l’emigrazione dei residenti dai centri storici, dove un appartamento che diventa B&B è naturalmente più redditizio per i titolari.
Diciamolo senza giri di parole, nella Giunta de Magistris lei ha senza dubbio rappresentato la figura più credibile di raccordo fra il mondo della cultura e quello dell’entourage del Sindaco. Per rivestire il ruolo di assessore alla cultura occorre quanto meno averla e non vi è dubbio che questa qualità le appartiene. A parer nostro per dare concretezza alla politica stessa del Municipio e metterlo al passo con la febbrile effervescenza della Città occorrono competenze reali. Mi dica la verità, esistono figure in Giunta in grado di rivestire questo ruolo con competenza?
Io credo che ogni competenza vada messa alla prova dei fatti e ritengo che vada dato il giusto tempo perché le persone lavorino, prima di essere giudicate. In generale, rifuggo la logica del giudizio a priori, come dovrebbe fare chiunque sia intellettualmente onesto. Per quel che riguarda il mio lavoro, mi riconosco il merito di aver aperto gli spazi della cultura cittadina a tutti: migliaia di giovani si sono prodotti in mostre e performance, dando prova della vitalità del nostro territorio. A loro, a tutti loro, ho dato una possibilità. Un’azione dal basso che si è associata a quella dall’alto, rappresentata da grandi mostre che a Napoli non si vedevano da anni. Naturalmente, non ho fatto nulla da solo: perché tutto funzioni, c’è sempre bisogno di una collaborazione tra istituzioni ed enti e di uno staff efficiente. Però posso dirmi soddisfatto, ancor di più se penso che ho lavorato senza budget. Bisognava fare sistema, a Napoli: non era impossibile, e l’ho dimostrato. E tra le tante cose porto con me quel post di Paolo Giulierini, il direttore del MANN, che mi ha commosso, definendomi il “suo” assessore.
Si ha la sensazione che la sua estromissione dalla Giunta sia frutto di un calcolo elettoralistico. In altre parole si è preferito escludere la figura di un tecnico che non ha alcun portato elettorale per favorire l’ingresso di una figura politica necessaria a bilanciare gli equilibri traballanti della Giunta stessa… E’ così?
Sono valutazioni del Sindaco, ed è giusto che abbia deciso lui. Io ho fatto il mio lavoro, apprezzato da tanti e soprattutto dal popolo. Per fortuna avevo realizzato molte cose anche prima di essere nominato assessore, e tante ne farò ancora. La mia vita non è quella dell’assessore.
Tra le motivazioni addotte dal Sindaco rispetto alla riassegnazione della delega alla cultura, si è sentito un giudizio negativo verso un eccesso di tradizionalismo e la mancanza di apertura al mondo dei giovani. Critiche che lei ha tempestivamente rispedito al mittente. Perché?
Premesso che si può fare sempre meglio, e mi auguro che si faccia meglio di quanto abbia fatto io, credo che le centinaia di testimonianze di affetto e apprezzamento che mi sono giunte e mi giungono da Scampia e Pianura, San Giovanni e Forcella, e da ogni angolo della città siano una risposta. Sui giovani, ho già detto. Penso di aver svolto un lavoro non semplice in condizioni proibitive, ottenendo dalla Città l’aiuto che avevo chiesto. Sono consapevole delle mie insufficienze, per il resto lascio il giudizio al dibattito pubblico.
Napoli per popolazione è la terza città d’Italia ma per cultura è assai probabile che sia fra le prime al mondo. Nel 2020 come pensa che possa dimostrarsi all’altezza di questo “primato”?
Molte cose per il 2020 sono già ampiamente programmate. Napoli può dimostrarsi all’altezza del suo primato, come abbiamo dimostrato. La apprezzano milioni di persone, la strada è tracciata.
Senza sottolineare che si tratta pur sempre di cultura popolare, davvero ha ritenuto che la funzione di via Caracciolo dovesse essere quella di ospitare in (molto!) serrata sequenza Bufala Fest, Pizza Fest, Baccalà Re? Non rischia questa di diventare l’identità più evidente di Napoli e a tal proposito non era stata individuata l’area di Fuorigrotta/mostra d’Oltremare per la realizzazione di grandi eventi commerciali?
Va fatta una distinzione. In una prima fase, a questo tipi di eventi era importante dare il palcoscenico più importante della città, il Lungomare. E del resto la tradizione è una cosa importante, purché la si declini e la si narri nel modo giusto. Poi la Città va avanti e cresce e magari certe cose vanno riproposte in modo diverso. Quanto alla Mostra d’Oltremare, vanno valutati i problemi di infrastrutture e collegamenti, e a me non piacciono i discorsi sommari. Vede, ora sto lavorando perché la maschera di Pulcinella diventi patrimonio immateriale dell’umanità. Ed è fuori dallo stereotipo che molti tasselli di Napoli acquisiscono una forza antropologica rilevante, condensando storie di grande profondità che sfuggono alla retorica e al qualunquismo.
Noi di ICity siamo molto sensibili ai temi legati alla ristorazione. Dunque le chiediamo se crede che l’amministrazione non abbia messo davvero a frutto un riconoscimento di spessore mondiale come quello dell’arte dei pizzaioli patrimonio immateriale dell’Unesco.
Dissento. Quella dell’arte dei pizzaioli patrimonio immateriale dell’Unesco è stata un’operazione mondiale, alla quale il Comune – che è stato soggetto attivo – ha contribuito con tante altre realtà. Il riconoscimento ha innescato un processo virtuoso di valorizzazione: la pizza è un fatto comunitario, lo street food senza mediazioni, la riscoperta delle nostre radici con rimandi persino al simposio greco. Prima Napoli veniva raccontata in modo unilaterale nei suoi aspetti caratterizzanti, da Gomorra alla pizza. Oggi, ed è la novità di questi anni, non la si può più raccontare in modo unilaterale. Perché, per dirla con Pino Daniele, Napoli è mille culure.
Lei ha anticipato che nell’immediato futuro pur restando la sua un’anima di sinistra non aderirà né a Dema né al PD ed è appunto alla sua sensibilità ideologica che chiedo quanto il rischio della dissoluzione dei governi di sinistra (mi riferisco non solo a quello centrale ma anche alle difficoltà di quelli regionali e locali) possa riconsegnare le Amministrazioni a quella destra che in Italia si è dimostrata incolta ed insensibile, al punto di accorpare (governo Salvini-Di Maio) la cultura all’agricoltura?
Parto dalla fine. L’accorpamento della cultura all’agricoltura è sconclusionato. Quanto al rischio della dissoluzione dei governi di sinistra, c’è e ne ho paura. Perché se la sinistra continuerà a ridursi alla strenua difesa del castelletto del singolo, sarà destinata a perdere: è del resto proprio questa la causa scientifica della sconfitta e della sua dissoluzione, una storia di scissioni e settarismi. Andrebbero invece affrontate sfide nuove, in una nuova causa comune governata dalle idee: è quel che penso, è quel che sosterrò.
L’installazione dei 100 lupi di Liu Rowang di piazza Municipio è frutto del suo assessorato. Possiamo leggerlo in filigrana come la metafora del gruppo politico che ha consumato il primo pasto a spese di Nino Daniele?
Li hanno definiti i lupi di Nino Daniele e del resto l’arte è sempre una provocazione. Quella metafora ci può stare e – Massimo Troisi docet – non posso che accettarla.
Interview_ Pasquale Raicaldo Photo_ Riccardo Sepe Visconti, Archivio Mann, Web
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