04/2005
Photo: Riccardo Sepe Visconti
Text: Maria D´Ascia
Dal 16 luglio al 30 agosto alla Galleria Ielasi “Stanze” di Lorenzo Mattotti: quadri, serigrafie, disegni.
M.D´A.: Se creare opere d´arte risolve un bisogno interiore di rappresentazione, esporle, quale urgenza comunicativa soddisfa? Insomma, cosa vuoi dire, e a chi, che meriti tanto sforzo organizzativo?
M.I.: Espongo soprattutto per me stesso: alla base delle mostre che organizzo c´è sempre un rapporto d´amicizia. Ho conosciuto Lorenzo Mattotti, siamo diventati amici, e così è nata la mostra… anzi, le mostre, questa è la seconda che faccio. Si è creato un feeling con lui e la sua famiglia. Quando li ho invitati a Ischia in occasione della prima esposizione, sono rimasti entusiasti dell´isola. Questa volta invece si sono stabiliti a Procida, dove ospitano amici francesi e americani che li hanno raggiunti per il vernissage. Quello che mi interessa è il rapporto tra gallerista e artista, non l´artista famoso in sé e per sé. Quando ero bambino, la nostra casa era frequentata da personaggi straordinari: Cremonini, Enrico d´Assia, Hans Werner Hentze, Sebastian Matta, Auden, artisti famosi, ma soprattutto amici dei miei genitori. È così che ho sviluppato l´interesse per gli artisti, prima ancora che per l´arte. Preferisco quelli con uno spessore umano, impegnati nel sociale. Lorenzo Mattotti è uno di loro.
M.D´A.: Allievo di Munoz, l´argentino cui hai dedicato una mostra nel 2003, Mattotti è un eclettico autore di fumetti che vive e lavora a Parigi. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo: all´estero è considerato uno dei più grandi illustratori contemporanei. Un tratto elegante ed incisivo dà forma e prospettiva a tutta la multiforme materia della sua arte, fatta anche di pittura, animazione e moda. Continua tu…
M.I.: Hai detto tutto, non saprei cosa aggiungere… Diciamo che Mattotti ha una famiglia straordinaria: la moglie Rina è una donna eccezionale, e i due figli sono dei genietti, che suonano l´uno il violino, l´altro il violoncello. E aggiungiamo che i francesi lo adorano: in Italia è un artista molto conosciuto, ma in Francia è addirittura un mito.
M.D´A.: La Francia ha un debole per le avanguardie…
M.I.: Sicuramente… Ma soprattutto, insieme al Belgio, è la patria del fumetto. E poi è un luogo in cui il successo effimero non esiste. Esiste il successo e basta. E se lo hai meritato, ti arriderà per sempre. Al contrario in Italia il successo è ´a buon mercatò, ma di breve durata.
M.D´A.: Il colore: Mattotti ne fa un uso personale, inconfondibile, di grande impatto emotivo, ma “Stanze” è anche in bianco e nero…
M.I.: Sì: c´è il bianco e nero, e c´è il colore di alcuni acquerelli e di due acrilici. Effettivamente Mattotti esprime la sua passione proprio attraverso il colore.
M.D´A.: L´opera di Mattotti è fatta di storie personali, di cronaca politica e sociale, di costume, di racconti classici d´avventura, di passione ecologista e pacifista. Quanto conta il ´contenutò? L´arte impegnata esiste o è un concetto vintage?
M.I.: L´arte impegnata esiste se l´artista è impegnato. Se sei un uomo insulso la tua arte sarà insulsa. Ognuno rappresenta quello che ha dentro.
M.D´A.: Del fumetto, singolare forma espressiva, Mattotti sperimenta fin dagli esordi nuove soluzioni di stile e di linguaggio. Parlaci della matita morbida, sinuosa ma impermanente, che racconta carezze baci e abbracci degli innamorati de La chambre, il libro di disegni del 2004, oggetto della tua esposizione…
M.I.: Questa è una storia bellissima… Sono stato tra le prime persone a vedere i disegni de La chambre, Mattotti mi mostrò un carnet entusiasmante. Sfogliandolo, mi ricordai di quand´ero studente universitario: nella mia stanza non c´erano letti, solo un tappeto bianco, su cui si ammucchiavano libri e cuscini. Lì si studiava, si dormiva, si amava… Mentre parlavo, Lorenzo sorrideva: anche la sua stanza da studente era così: gli innamorati de La chambre appartenevano ad un passato comune! La matita, dicevi… non è facile disegnare così… c´è qualcosa di magico. Incredibilmente poi, Mattotti disegna con la mano sinistra benché scriva con la destra!
M.D´A.: Mattotti si dice affascinato dalla ricchezza di possibilità della “bande dessinée”, arte della narrazione per immagini che consente di fare poesia, dramma, cronaca. Quando e come è nata la passione per il fumetto di Massimo Ielasi?
M.I.: Da ragazzo leggevo Topolino, Il grande Black, Capitan Miki, poi il fumetto non mi ha più appassionato. Qualche anno fa conosco un ragazzo innamorato di Munoz e Mattotti che mi esorta a conoscerli, ad esporli. Si offre di combinarmi un appuntamento con Mattotti ma non ci riesce, e poiché a Parigi Lorenzo abita a soli 50 metri dal mio albergo, telefono e vado. Non lo conosco, non so cosa dire; lui pensa “ma questo chi è, cosa vuole”: c´è un certo disagio. Con condiscendenza mi mostra dei vecchi cataloghi, e poi quello a cui sta lavorando, il “Docteur Jekill & Mister Hyde”, una delle cose più belle che abbia mai visto! Mi dice che gli attribuiscono varie influenze, e che sono tutti fuori strada. Mi cimento anch´io, e gli dico: “Lei mi ricorda Spilliaert”. Il mio interlocutore si illumina, prende dalla libreria tre volumi su questo sconosciuto pittore belga, e da quel momento ci diamo del tu. Così è nata la nostra amicizia.
M.D´A.: Il fumetto d´autore amplia i confini espressivi del fumetto popolare o è un prodotto d´élite?
M.I.: Il fumetto d´autore oggi è la forma espressiva per eccellenza. La pittura non riesce più ad essere testimone del proprio tempo e viene sostituita dal fumetto, che mette insieme contenuto e divulgazione. Inoltre non è più riservato ai giovanissimi, ha grandi estimatori nelle persone adulte di 40, 50, 60, 70, 80 anni!
M.D´A.: Che rapporto hanno con l´arte le nuove generazioni? Un gallerista lungimirante dovrebbe investire nei più giovani…
M.I.: È fondamentale. Tra i giovani artisti isolani ce ne sono alcuni straordinari, che si perderanno se restano confinati a Ischia. Dovrebbero scappare da qui, andare nei luoghi in cui si fa la storia dell´arte in questo momento… San Francisco, New York, Berlino, Barcellona, Parigi, Londra. E frequentare le grandi fiere artistiche… Bologna, Torino, Basilea. Se questi ragazzi lasciassero l´isola potrebbero coltivare il loro talento. Non è detto che diventerebbero famosi, ma se vogliono una possibilità devono avere contatti con gallerie e artisti importanti. Volendo fare dei nomi… Marco Cortese, Pietro Di Meglio, Maxi Iacono, sono ragazzi interessanti. Ma espongono troppo raramente, solo in occasione di Expressioni, la collettiva giovanile. Penso che sia sbagliato.
M.D´A.: I giovani frequentano le mostre?
M.I.: Il pubblico delle mie mostre non supera i 40 anni. Io punto soprattutto sui giovani. Proporre Warhol a una persona anziana è una cosa difficilissima. Tutti quelli per i quali l´arte non è l´arte moderna, quelli per i quali l´arte è l´800 o l´Impressionismo, se vengono ad una mostra di Warhol si scandalizzano. C´è stato un tipo, un giornalista, che mi ha chiesto se era una mostra di transessuali! Queste reazioni non mi fanno né caldo né freddo, ma sono sintomatiche di un modo di pensare. I giovani invece sono molto più attenti, più intelligenti e soprattutto aperti a tutte le sperimentazioni.
M.D´A.: Da bambino cosa sognavi di fare da grande…il pittore, il gallerista, il dentista…
M.I.: Il pediatra. Se mio fratello Roberto avesse fatto il dentista – come stava facendo – io sarei diventato un pediatra. E probabilmente mi sarei trasferito a Baltimora, presso lo studio di un amico di mio padre. Invece sono dentista, e mi piace lo stesso. Anche se è una professione stressante, che in molti non possono esercitare dopo i 50-55 anni. E poi sono un gallerista, perché oggi a Ischia non c´è nessuno che lo faccia ad un certo livello: una galleria ha bisogno soprattutto di buona programmazione e di avvicendamento coerente degli artisti. Quando ero ragazzo, lungo il corso, c´era la galleria di Gigione Pilato che esponeva opere di De Chirico, Guttuso, Bacon. Per quei tempi, si era negli anni ´60, un evento eccezionale! Oggi quando incontro Gigione, un personaggio che adoro, mi rivedo in quello che faceva lui, e che per questo mi considera suo allievo.
M.D´A.: Due gallerie a Ischia Ponte: uno dei posti più belli dell´isola, d´Italia, del mondo. Ma dove ti piacerebbe traslocarne una? No, non me lo dire, lo so… a Parigi!
M.I.: A Parigi sicuramente… Ma se oggi avessi 20 anni, aprirei una galleria o a New York o a San Francisco. E tra 10 anni ne aprirei un´altra a Tokyo, a Sydney, o a Pechino.
M.D´A.: Ma poiché non hai 20 anni…
M.I.: Continuo a fare quello che faccio, e a pensare a cosa fare “da grande”. Mi piacerebbe ampliare la galleria, perché l´ambiente è bello, ma per realizzare certe cose occorre più spazio. Avrei la disponibilità di una grande mostra di Cartier-Bresson… purtroppo devo rinunciare. Tuttavia sono fiero della mia galleria: un famoso gallerista mi ha detto che, con le mostre che organizzo, se fosse a Milano, sarebbe tra le prime 5-6 della città!
M.D´A.: L´ipotesi di ospitare nella tua galleria artisti sconosciuti ti fa accapponare la pelle?
M.I.: Assolutamente no: Bolivar, Raffaele Iacono, Antonio Macrì sono artisti straordinari, ma poco conosciuti fuori dall´isola; Marco Cappello, Rita e Michele D´Ambra sono degli illustri sconosciuti. Mi piacerebbe ospitare anche Marco Cortese, Pietro Di Meglio, Maxi Iacono… ma purtroppo faccio tutto da solo… non è facile.
M.D´A.: Aspetti con trepidazione l´esito di una mostra?
M.I.: No: quello che preferisco è l´allestimento. Una volta aperta al pubblico, non mi curo più della mostra… tutta la sua magia scompare. Ma appena vedo qualcosa d´interessante, mi rimetto all´opera!
M.D´A.: Quanto sono sensibili gli ischitani al richiamo, per te irresistibile, dell´arte? Qual è il pubblico modello della Galleria Ielasi?
M.I.: Ischia ha la fortuna di avere dei giovani straordinari, molto sensibili al loro passato. Se i genitori hanno abbandonato le loro dimore originarie, i figli fanno di tutto pur di rientrarne in possesso. Sono molto attenti a quello che accade nel mondo dell´arte, della fotografia: il computer li ha connessi a realtà che gli erano precluse, facendogli conoscere artisti con cui non potrebbero altrimenti venire in contatto. Se faccio la mostra di Warhol, magari i ragazzi si chiedono chi sia: si collegano a internet… scoprono chi è, cosa ha fatto… e la sera dell´inaugurazione riempiono la galleria!
M.D´A.: Cosa cerchi nell´arte e cosa hai trovato da quando te ne occupi?
M.I.: La tranquillità. Io mi diverto così, la galleria è il mio rifugio. Un pò come la mia casa, dove c´è la mia splendida famiglia.
M.D´A.: Il collezionista è prigioniero del desiderio…
M.I.: No, quello è l´amatore. Non è la stessa cosa: il collezionista mira sempre a pezzi particolari, l´amatore invece si porta a casa anche pezzi senza importanza, purché gli piacciano o abbiano un valore affettivo. Mio padre era un amatore: a casa sua ci sono quadri di artisti famosi come di sconosciuti, e se gliene chiedevi ragione ti raccontava la storia per filo e per segno. L´altro giorno mia sorella mi ha regalato un disegno di Vicki Verga, un artista degli anni ´50 che stava sempre a casa nostra: un autoritratto fatto sulla carta intestata di mio padre, in cui il nostro amico si raffigurava con il viso gonfio mentre – preda del mal di denti – lo aspettava al suo studio. Una cosa senza valore, ma che mio padre ha conservato con affetto.
M.D´A.: Cosa ti aspetti dal domani… Qual è il tuo stato d´animo attuale?
M.I.: Sono aperto a tutto. Poi… quello che viene viene!
Immagini tratte da La stanza di Lorenzo Mattotti.