Text_ Chiara Nocchetti Photo_ ICity Agency
CIRO SCOGNAMILLO CON IL SUO FIOCCO HA SEDOTTO TUTTI, DIVENTANDO IN BREVE TEMPO UNO DEI PASTRY CHEF PIÙ INTERESSANTI D’ITALIA.
Ciro ha 44 anni.
Ha tre figli, due nipotine, una moglie e un cane gigante pieno di peli.
Cinque anni fa ha inventato un dolce che gli ha cambiato la vita.
Fiocco di neve, lo ha chiamato.
Un nome buffo per una terra che la neve non tocca mai.
In un pomeriggio pieno di sole, seduti ad un tavolino nel cuore del Borgo dei Vergini, mi ha raccontato una favola incredibile.
Mi ha raccontato come possa, un dolcino grande appena come il palmo di una mano, cambiare una vita intera.
Ciro è nato nel Rione Sanità tra il forno del pane e l’odore dei taralli.
Mi ha detto che della sua infanzia ricorda i profumi, la farina, gli impasti, le mani calde accanto al forno, la sveglia nel cuore della notte.
Il papà ha un panificio storico, fanno i taralli più buoni del quartiere, mi dice.
La scuola è una cosa che non serve, un ostacolo che separa dal lavoro, dai profumi, dal calore.
Si impara presto quando si è piccoli, si è veloci e non si conosce stanchezza.
Mi dice di essere curioso, impaziente.
È una parola che sento spesso, quando ascolto la mia gente.
Curiosità, impazienza.
Come una febbre, un fuoco che ti fa ripetere che non deve, non può essere tutto qui.
Che c’è un altro, un altrove.
E Ciro me lo ripete spesso, lui questo fuoco lo ha sentito.
Comincia con il domandare al papà di fare dei dolci nel periodo di Natale.
Non si può, non lo facciamo mai, nessuno li comprerebbe, si sente ripetere.
È una terra antica, il Rione Sanità, che impiega tempo ad adattarsi, a misurarsi, a modellare le forme.
Serve sempre un po’ di coraggio, all’inizio.
E così Ciro chiama uno zio che lavora come pasticcere a Ponza sei mesi l’anno.
Gli chiede di insegnargli qualche trucco, i rudimenti del mestiere.
Poco dopo, una mattina di sedici anni fa, decide di aprire una piccola pasticceria a pochi passi dal panificio di famiglia, esattamente nel cuore del Rione Sanità.
Abbassa lo sguardo e gioca con la sigaretta, la passa veloce fra le mani.
Sembra ricordare con chiarezza, forse troppa, l’inquietudine dei primi anni.
Mi dice che cominciano in due ma che i clienti non arrivano.
È un quartiere chiuso, i turisti non lo conoscono e i napoletani ne stanno alla larga.
Nessuno ci mette piede e i dolci non si vendono.
Si parla di chiudere, di arrendersi, di tornare a fare il pane e il pane soltanto.
Ciro mi dice che passa molto tempo in laboratorio, gioca con gli ingredienti, assaggia, immagina.
Sei anni dopo l’apertura, un giorno piovoso, ecco una nuova idea.
Un dolce piccolo, soffice, come una minuscola brioche che sta nel palmo di una mano.
E all’interno una crema segreta, non mi svela nulla ma sento la panna e la ricotta sulla lingua mentre lo assaggio.
Il risultato è un fiocco di neve, un piccolo morso dolce e profumato che sporca il naso con lo zucchero a velo e ti fa sorridere mentre mangi.
Ma nessuno li conosce, questi fiocchi di neve.
Inizia a regalarli, a farli assaggiare in giro.
Ma nel quartiere non c’è aria nuova e lui è molto stanco.
Un giorno un signore entra nel negozio.
Si presenta, viene da un altro quartiere.
Gli dice che dopo qualche mese, nella mostra d’Oltremare a Napoli, ci sarebbe stata una grande festa con più di 20mila persone per i ragazzi disabili.
È il presidente di una associazione per i diritti dei ragazzi disabili, Tutti a scuola Onlus, si chiama.
Gli chiede se gli va di portare qualche fiocco di neve in regalo, di donarli ai bambini.
Ciro si commuove, dice subito di sì e non sa perché, aggiunge.
Io, che conosco il signore entrato quel giorno in negozio, so esattamente il perché.
Due mesi dopo la festa l’intera Città parla di questi incredibili dolcini che regalano un secondo di paradiso.
Ciro scoppia a ridere, mi racconta di aver sfornato diecimila fiocchi di neve al giorno per un anno e di essere incredulo, immobile, davanti a questo improvviso passaparola.
All’improvviso, a Napoli, tutti vogliono assaggiare il suo fiocco di neve.
E per assaggiarlo bisogna arrivare al Rione Sanità, tra i vicoli, tra la gente.
E intanto il Rione cresce, attira turisti, si riscoprono siti archeologici abbandonati, qualcosa si muove.
Quattro anni fa i commercianti della zona formano una rete, collaborano insieme, facciamo squadra, aggiunge Ciro.
I due dipendenti in pochi mesi diventano 26, il laboratorio cresce, si parla di una nuova sede nel centro di Napoli.
Un giorno, all’improvviso, una raffica di proiettili colpisce la vetrina.
Troppo successo e troppo in fretta, sembrano voler dire.
Fai attenzione, Ciro.
E Ciro si spaventa.
Parla con gli amici, con la famiglia, con il parroco e con la polizia.
Per quattro mesi si chiude in casa e pensa.
Resto, vado via, continuo, smetto?
Mille dubbi, mille domande tutte insieme.
È sul divano, guarda la fotografia di uno dei proiettili che trapassando la vetrina si è incastrato in un babà.
E ha un’idea.
Corre in laboratorio.
Due ore dopo nasce “il proiettile”, un babà ricoperto di cioccolato a forma di bossolo di pistola.
Trasformare il dolore in tenacia, la paura in passione, l’amaro in dolce.
E così, dopo quattro mesi, arriva un nuovo dolce e un nuovo progetto.
Il negozio cresce, si apre la nuova sede, oggi mi parla di un grande laboratorio di cinquecento metri quadrati che sarà pronto fra qualche mese ai piedi delle Catacombe di San Gennaro.
Crescere, non mollare, qui non ha il suono della alternativa.
È l’unica possibilità.
La sola via d’uscita.
Passano i mesi, arriva perfino la televisione.
Ciro partecipa ad un programma di Real Time, una sfida tra pasticceri.
Vince il primo premio con una torta tutta nuova dedicata a Napoli.
Bavarese al limoncello con cremoso di mozzarella e croccante alla mela.
Mentre racconta me la fa assaggiare, sono belli e buoni i suoi dolci e mi faccio strada tra una folla che fissa la vetrina luccicante e mi sento fortunata.
Fortunata perché testimone di una crescita che parte dalle cose piccole che qui sono sfide titaniche.
Una crescita non capillare ma ormai radicata, strutturata in questa terra in rinascita dove è il cibo, l’arte, la musica, a restituire valore alla gente.
Ciro ha spento la sigaretta.
Mi guarda.
Gli chiedo cosa vuole fare, dove vuole essere.
Mi indica un punto imprecisato qualche palazzo più avanti.
Tra la mia gente, dice.
Tra la mia gente con il mio coraggio.
E con l’odore del forno, del pane e dello zucchero.
Tra la mia gente.
A casa mia.
Ed io capisco esattamente cosa intende.
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