Thursday, November 21, 2024

Albert Einstein disse: “Vorrei conoscere i pensieri di Dio”. Noi, più modestamente, ci accontentiamo di conoscere quelli di

don Antonio Loffredo.

“Hai parlato con don Antonio”?!… Eppoi: “E don Antonio che dice”?… Sono queste le domande che mi sono sentito fare dal presidente della 3 Municipalità, Ivo Poggiani, dal preside Varriale, dal consigliere Giovinetti, dalla scrittrice Nocchetti e più o meno da tutti coloro ai quali ho chiesto consigli per aprire una scuola (gratuita) di giornalismo nel cuore del quartiere Sanità. Vi starete domandando: “E cosa c’entra, perché lo viene a scrivere proprio in questo spazio?!… ”. Ovvio, per dare il senso della centralità di don Antonio Loffredo in tutte le scelte che toccano il Rione Sanità.

Dunque è normale che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scelga di incontrarsi con lui – al centro del suo (di don Antonio, non di Mattarella) quartiere – proprio in un giorno in cui fosse libero da impegni istituzionali (Mattarella, non don Antonio) – ed è normale che accorrano da lui (in alterne processioni, e solo per citare i casi più recenti) il presidente della Camera Fico, il governatore De Luca, il sindaco De Magistris con la delfina Clemente, il ministro Spadafora, il capo della polizia Gabrielli, i re di Spagna ed il presidente del Portogallo, il cardinale arcivescovo di Napoli, Sepe (non è mio parente, purtroppo), i questori della Città, prima De Jesu poi Giuliano, gli attori Salemme, Proietti, Ferilli, il regista Martone, il filosofo scrittore Erri De Luca, il potentissimo decano dei giornalisti Mieli, gli effervescenti direttori di musei Bellenger e Giulierini, i (ancora più potenti di Mieli) presidenti di milionarie fondazioni Borgomeo e Albanese, un esercito più folto delle cavallette di docenti universitari, giornalisti, imprenditori, studiosi, letterati, artisti, politici, attivisti sociali, uniti ad un’infinità di personaggi che – ciascuno nel proprio settore – occupano posti di prima fila nella scala gerarchica del successo.

Tutti a chiedersi: “Don Antonio che pensa”?

Il motivo è semplice: Antonio Loffredo è una persona speciale. Molto speciale. Nel senso etimologico della parola: fa specie a sé.

È uno di quegli uomini che nascono ogni 100 anni, e come ho già avuto modo di dire in altre occasioni, non è un caso che Antonio Loffredo non sia un figlio della Sanità ma ne sia divenuto il padre, nel senso che egli non è nato in questo quartiere (sebbene non ne sia stato sideralmente distante) e le sue prime esperienze di “trincea” le ha fatte in veste di cappellano a Poggioreale. Immagino che sia in questo contesto che Loffredo abbia forgiato la sua grande(issima) capacità di misurarsi con la sofferenza. A parer mio Antonio Loffredo usa la severità come strumento di soccorso: non agisce in modo pietoso – sulle rovine umane causate dall’emarginazione – preferisce piuttosto intervenire in modo efficace! E questo, credo, sia il più grande dono che – immancabilmente – riesce a distribuire a coloro che gli stanno vicino (e non solo a loro).

Don Antonio è soprattutto un personaggio efficace: un grande trasformatore di destini, non solo umani ma anche della storia. E non sto affatto esagerando!

Ecco perché in tanti vanno da lui, ecco perché la Città (non solo il quartiere Sanità) gli deve molto(issimo), ecco perché appare accessoria, quasi evanescente, la proiezione (in Basilica) dell’ultima fatica di Mario Martone – su soggetto del grande De Filippo, “Il sindaco del Rione Sanità” – quando di fatto tutti sanno che il vero “Sindaco del Rione” è lui.

Certo, non a tutti piace ciò che Loffredo pensa, non tutti condividono i suoi modi (molto sbrigativi e a tratti autoritari) e soprattutto non tutti hanno interesse che il Quartiere Sanità rialzi la testa. E non è solo una logica riflessione legata al grande contrasto che Loffredo (con la sua immanente Fondazione San Gennaro e l’onnipresente ed efficientissima Paranza – diretta da Enzo Porzio) arreca agli interessi della camorra, no, purtroppo l’antagonismo che spesso gli si oppone trae origine dalla più bassa delle pulsioni umane: la gelosia che si accompagna all’invidia. Gelosia per la sua forza d’animo, per la sua caparbietà, per l’abilità, per il successo… Ma preferisco lasciare sospesa quest’ultima affermazione (tanto il lettore può farsi da sé un’idea verosimile di quanto possa accadere intorno ad una simile rivoluzione) per tornare a parlare del convegno che recentemente si è svolto durante tre giorni di eventi (e celebrazioni) distribuiti tra la Basilica della Sanità e quella di San Gennaro extra moenia: una serie interessante di incontri con esperti di recupero e trasformazione di territori, ambiti sociali e siti storici che nel venire valorizzati hanno generato importanti ricadute economiche ed occupazionali. La panacea per i troppi mali della Città (che non ha, di fatto, più alcuna vocazione industriale e che appare fortemente indebolita sul piano commerciale e perfino della piccola impresa – dati Camera di Commercio)!

E lo scrive uno che, come me, ha qualche esperienza nel campo dell’economia turistica (penso, riassumendo in modo assai schematico, che il turismo – se declinato in modo corretto – può generare, nel breve e medio periodo, risorse economiche importanti e miglioramenti ambientali di un territorio).

A parer mio la “ciccia” di questi incontri ruotava intorno a due (imprescindibili concetti): il Vaticano la smetta di interferire con l’opera di recupero dei siti ipogei delle catacombe (di San Gennaro e San Gaudioso) fatta dalla Fondazione San Gennaro e dai ragazzi della Paranza e lasci che la gestione – brillante e virtuosa – continui a fiorire nell’interesse della Comunità di tutto il Rione, quindi Ravasi e compagni se ne facciano una ragione e desistano dall’avida richiesta di riscuotere la metà di ogni nichelino incassato; si lasci lavorare, costruire ed espandere questo gruppo di persone che – attraverso una visione lucida e molto pragmatica – sta cambiando volto ad un territorio (e alla sua popolazione), fino ad oggi crudelmente ghettizzati.

Per rendere più tuonante il messaggio (spedito opportunamente a “chi di dovere”) si è assemblato con perizia chirurgica il parterre degli interventi e hanno preso (tra i tanti) la parola: il presidente della Fondazione Con il Sud, Carlo Borgomeo (che con il suo discorso è stato inequivocabile!); il fin troppo prudente cardinale Crescenzio Sepe; il  monumentale (è il caso di dirlo) archeologo Andrea Carandini, presidente del FAI; l’ex soprintendente dei beni archeologici Luciano Garella seguito dall’attuale soprintendente Luigi La Rocca; e gli studiosi dirigenti di Dipartimenti universitari della Federico II e della Vanvitelli, rispettivamente Stefano Consiglio e Francesco Izzo (che hanno potuto dettagliare i dati di crescita esponenziale dovuti all’attività dei “Loffredo’s boys”).

Come ai vecchi bei tempi della corte borbonica la tre giorni di convegno s’è conclusa in Basilica alla presenza del popolo e degli alti dignitari della Città (Sindaco, delfina, presidente di municipalità, ministro, questore, alti gradi dell’esercito, giornalisti profumati di incenso… e non, professori e prelati, liberi pensatori… e non, etc.), dove sulle note (perfettamente eseguite) dell’Orchestra Sanitansamble hanno potuto tutti constatare che se saranno dalla sua parte (smettendo di fare sgambetti) il Rione, che ne è il cuore, e con esso tutta la Città di Napoli potranno puntare a togliersi gli schiaffi dalla faccia e a dimostrare che Napoli resta una delle più vitali Città del Mondo!

Text_ Riccardo Sepe Visconti Photo_ Riccardo Sepe Visconti e Web

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