Friday, November 22, 2024

32/2012

Text: Riccardo Sepe Visconti
Dress Man: La Caprese più Uomo

 

Giornalista indipendente e un po’ vagabondo, irrimediabilmente disponibile alla battuta, prontissimo a tranciare giudizi irriverenti, preferisce vivere in perenne corsa senza occuparsi più di tanto di mettere radici in una redazione ancorché in un’altra. Sposato con Daniela e padre di Myrea, Giada e Luna, nata poche settimane fa, amico di tutti eppure libero da legami, inizia giovanissimo questo mestiere occupando di volta in volta un posto strategico in tutte le testate isolane che ha visitato: Il Golfo prima – dove a distanza di molti anni è tornato – Teleischia e, poi, la funambolesca avventura di Gente di Mare TV. Ha collaborato con decine di testate in terraferma, tra cui Canale 21 e Canale 8, ha lavorato come addetto stampa dell’Alilauro ed oggi, oltre alla collaborazione con il quotidiano locale, scrive per il Corriere del Mezzogiorno. Insieme al fido Giovanni Iacono (che con la sua telecamera lo segue dappertutto) ha ideato la web TV Isolaverde. Dallo sport al bynight, dalla politica alla cronaca bianca, Gaetano Ferrandino è tra le penne (e anche lingue) più duttili del giornalismo nostrano: di recente ha superato l’esame da professionista e oggi può coniugare a buon diritto il titolo raggiunto con un curriculum di impressionante attivismo. Raccontaci i tuoi primi passi nel mondo del giornalismo. Ho cominciato ad Ischia, l’estate successiva alla maturità classica: era il 1991, nonostante avessi sostenuto tre esami all’Università non riuscivo a stare sui libri e, non avendo voglia di studiare, ho cercato qualcosa che mi tenesse impegnato. Tramite l’allora vicedirettore Leonardo Commitante, ottenni un appuntamento con Domenico Di Meglio per un colloquio al Golfo. Inizialmente, scrivevo di tutto: quello che ricordo con estrema precisione fu la prima volta che il Direttore mi commissionò un pezzo sulle proteste dei commercianti di piazza Bagni a Casamicciola, che lamentavano il fatto che i lavori di rifacimento della piazza si stessero protraendo troppo, danneggiando le loro attività. Quando tornai dall’intervista – ero appena un ventenne – immaginai che il mio pezzo avrebbe scatenato un putiferio e invece di firmarlo volevo usare lo pseudonimo “Linus”. Domenico mi convocò e con i suoi modi espliciti mi chiese come mai non avessi firmato il pezzo: quando spiegai che temevo che la gente se la prendesse, lui mi mandò a quel paese e mi convinse a usare il mio nome. Nella fase iniziale mi occupavo un po’ di tutto, anche di sport. Lo sport, e il calcio in particolare, sono sempre stati la mia passione, anche successivamente nel corso della mia carriera giornalistica: la verità è che fin da piccolo leggevo molto i quotidiani sportivi ed ero affascinato dalle cronache delle partite scritte in uno stile romanzato più che tecnico. Che obiettivi ti sei dato, quando hai scelto questo mestiere? In passato, ho anteposto il piacere agli obiettivi lavorativi. Ho deciso tardi – a 32 anni – di voler fare il giornalista full time, prima affiancavo a questa altre attività, ad esempio ho lavorato per quattro anni in albergo perché mi consentiva di avere la liquidazione e il sussidio di disoccupazione. E me ne faccio una colpa, poiché a 20 anni non hai una famiglia, puoi investire su te stesso e cercare di cogliere tutte le opportunità che ti si parano davanti, mentre a 32 è diverso, devi mettere in conto più cose; anche se io ho sempre cercato di “cucirmi il vestito su misura”, dovendo ovviamente sempre renderlo redditizio. E mi ritengo fortunato, forte anche di una versatilità che mi ha consentito di fare questo lavoro sotto molteplici vesti. Sono stato giornalista, soprattutto tv, conducendo trasmissioni sportive sulla serie A, ma anche il talk show leggero, e ho fatto la diretta della Santa Messa: questa poliedricità – se rischia di farmi perdere una connotazione precisa – credo che per certi versi aiuti, perché sempre più le aziende quando richiedono una persona, anche per una collaborazione esterna, cercano di fare il “prendi 3 paghi 1”. Non sarà che la tua versatilità costituisce un vantaggio qui ad Ischia, mentre se operassi in una grande città ti verrebbe richiesta una maggiore competenza specialistica? E’ esattamente l’inverso: riuscire a lavorare in più ambiti del giornalismo mi ha aiutato a fare strada lontano da Ischia, mentre nell’isola addirittura non c’è la possibilità di esprimere questo tipo di capacità, perché prodotti ed iniziative editoriali variegati su cui potersi misurare nemmeno esistono. Allora, proviamo a fare un’analisi dello stato dell’arte della comunicazione giornalistica a Ischia: emittenza televisiva, web, mondo cartaceo, cominciando con la TV. Oggi portare avanti una televisione locale è un’impresa per la quale francamente ci si merita la medaglia d’oro al valore, perché l’avvento del digitale terrestre ha scombussolato tutto e l’utenza che c’era prima è venuta meno. Teleischia è un prodotto sufficientemente qualificato o no, copre le esigenze dell’informazione o è troppo parziale? Sarò sincero: la Tv, in particolar modo quella locale, negli ultimi anni l’ho seguita molto, molto poco. Comunque, credo sia un prodotto che, analizzati le professionalità, gli uomini e i mezzi che ci sono sull’isola, nonché i protagonisti – vale a dire coloro che le notizie le fanno, soprattutto i politici – va comunque promosso, se non altro perché esprime bene quello che è il territorio. Anzi, globalmente l’informazione che offre Ischia, nella sua totalità e varietà, consente di farsi un’idea di quello che succede e di essere costantemente aggiornati, c’è il quotidiano, la TV, il magazine d’eccellenza, la web tv: sotto questo aspetto, rispetto ad altre realtà siamo molto più avanti. Per la carta stampata abbiamo “Il Golfo”, che è il quotidiano “storico”, e due free press, “Il Corriere dell’Isola”, che di recente ha avuto una sorta di restyling, non solo di facciata ma anche di contenuti, e poi “Ischia 7”, il nuovo periodico di Massimo Zivelli, che è un po’ la voce del suo ideatore il quale ha forti referenti politici, per cui il suo foglio finisce per essere in particolare anche la voce del sindaco Giosi Ferrandino. Il Golfo esiste da 22 anni: quando resisti tanto significa che vali oppure, comunque, che non c’è stato nessuno in grado di fare meglio, e te lo dice uno che tanto tempo fa per un anno e mezzo andò in edicola con “Il quotidiano d’Ischia”. Accadde quando una costola della redazione si staccò dal Golfo, che in quel momento sembrava tenere un atteggiamento troppo aggressivo, troppo popolano, usando uno stile forse inappropriato per un quotidiano. Noi cercammo di fare un giornale totalmente all’opposto: elegante e sobrio, non mettendoci in contrapposizione ma cercando di realizzare un prodotto diverso. La verità – perché poi nella vita bisogna riconoscere i fallimenti (per quanto, se quell’operazione l’avessi fatta a 40 anni piuttosto che a 24 e affidandomi a persone capaci, le cose sarebbero andate diversamente) – è che la gente anche con le vendite dimostrò di preferire ciò che dava Il Golfo e non noi altri. E’ vero che la stampa – se vogliamo ancora credere alle favolette – deve avere il compito di educare ed indirizzare, ma c’è da dire anche che il giornale, così come la TV, è un’azienda privata a scopo di lucro e deve porsi il problema di dare al fruitore del prodotto ciò che vuole. Come pensi sia cambiato Il Golfo da Domenico Di Meglio a Pasquale Raicaldo, che attualmente coordina la testata? Il Golfo probabilmente non è cambiato, ma ha chiuso una fase nel momento in cui ci ha lasciati Domenico Di Meglio. E’ evidente che Domenico aveva, rispetto ad altri, delle capacità e delle doti innate, ma Il Golfo in quella fase storica ha risposto ad una logica che mi vedeva e mi vedrà sempre contrario, cioè la personalizzazione di qualsiasi attività editoriale, attraverso la sua identificazione con un soggetto, chiunque egli sia. Ci sono stati dei momenti, subito dopo la scomparsa di Domenico Di Meglio, in cui sentivo di una “corsa alla successione” come direttore de Il Golfo, e scherzando con un amico dicevo: “Adesso accetterei la direzione del Corriere Della Sera, dal quale mi caccerebbero dopo 10 giorni, ma che comunque mi farebbe curriculum, ma non accetterei la direzione del Golfo, neppure per 10mila euro al mese!”. Se è vero che ci fu quella corsa, e che quella poltrona solleticava tanti appetiti, mi fa pensare che molti miei colleghi ne capiscono poco di giornalismo e che non brillassero per intelligenza e capacità strategiche. Perché la gente continua a comprare Il Golfo? La gente continua a comprare Il Golfo perché, senza nulla togliere a tutti gli altri organi di informazione, è quello che garantisce una visione dei fatti tutto sommato, non voglio dire imparziale, ma completa e poi perché siamo un popolo di tradizionalisti. L’impostazione di Pasquale Raicaldo cerca di essere molto più imparziale e rispettosa di chi non la pensa come lui, non imponendo a tutti i costi il suo punto di vista. Sei d’accordo? Questo ci può stare. Se confrontiamo la linea attuale del Golfo con quella espressa da Domenico Di Meglio è normale che appaia così, ma non credo abbia senso un tale paragone. E’ una partita persa in partenza, non da Pasquale Raicaldo ma da chiunque, se il punto di riferimento è Domenico: la sua voce si imponeva sempre con forza ed autorevolezza, con uno stile che apparteneva solo a lui. Pensi ci sia lo spazio ad Ischia per un altro quotidiano? No! Non, però, nel senso che la posizione del Golfo sia inattaccabile: a Ischia non è possibile realizzare un altro quotidiano perché non c’è chi lo può e lo sa fare. Proviamo a dare un giudizio di qualità sui giornalisti ad Ischia, iscritti all’Ordine o meno, che si occupano di comunicazione e informazione. A Ischia la qualità dei singoli è elevata, faccio qualche nome, e mi scuso se salto qualcuno: Amedeo Romano è un ottimo anchorman televisivo, Massimo Zivelli scrive sul Mattino e lo fa bene, da quando Mauro Iovino si occupa dell’ANSA, ogni volta che è necessario dall’isola partono i “lanci di agenzia”; Gaetano Di Meglio rappresenta un tipo di informazione aggressiva, il suo blog è molto visitato, riesce ad essere sui fatti quasi in tempo reale; Riccardo Sepe Visconti è quello che ha creato il prodotto più accattivante degli ultimi anni che per me, paradossalmente, non è neppure Ischiacity ma I Bravi Maestri (Ndr. Il foglio politico ideato dal creatore di Ischiacity), un esperimento che mi piaceva parecchio. Ciro Cenatiempo e Giuseppe Mazzella stanno un gradino più su. Anche io, in passato, con Canale 21 ho fatto un buon lavoro: mi piace ricordare che è merito mio se la festa di S. Anna va in diretta ogni anno sulla CNN, e chi ha dato un po’ di lustro a questo evento è stato il sottoscritto. Quello che non mi piace della classe dei giornalisti isolani è che è l’unica al mondo e, di sicuro, la sola in Italia (e questo lo posso dire con dati circostanziali, perché credo di aver fatto il mio lavoro un po’ ovunque, da zingaro qual sono) a pensare a quello che fanno i colleghi, invece di badare a fare bene il proprio lavoro. Non ti senti un privilegiato grazie al lavoro che fai? No, non mi sento un privilegiato, anzi gli ultimi anni del mio percorso professionale dicono esattamente il contrario. Di sicuro se mi sono sentito un privilegiato da qualche parte – giuro su quanto ho di più caro – questa sensazione posso averla provata nella vicina Procida, che professionalmente e umanamente mi ha dato tanto pur essendo una realtà molto piccola, posso dire che mi sono sentito gratificato a Napoli, a Melito, a Giuliano, a Marano, a Villaricca, a Roma e anche a Milano, ma di sicuro a Ischia mai. Negli anni ’80 c’è stato un grande dibattito “metafilosofico” su che cos’è più importante per un uomo: ricchezza, sesso, soldi ed è emerso che la cosa che sta più a cuore è la riconoscibilità, che è quasi una forma di potere. Il giornalista è una figura assai riconoscibile, specie in un ambito piccolo come Ischia, a maggior ragione se è un giornalista che va in video per cui il volto e il nome sono noti. Questa ricaduta del tuo mestiere che valore ha per te? Ti rispondo raccontandoti un episodio. Quando lavoravo per Teleischia e la sera c’era il dibattito, il giorno dopo la gente per strada faceva capannello, era immancabile l’analisi, il commento su quello che era successo in trasmissione ma io – a differenza di molti miei colleghi che si beavano di queste situazioni – ero sempre molto schivo. A volte, mia moglie mi diceva che il modo con cui troncavo il discorso dopo i complimenti e le valutazioni sulla trasmissione del giorno prima, poteva essere interpretato addirittura come un desiderio di prendere le distanze. Non sarà che per te è un gioco e quindi ti rifiuti di dargli la giusta importanza, che pensi: “tutto sommato sono solo parole”? Per me la vita è un gioco. Non c’è dubbio che chi fa il nostro mestiere, anche se non si ritiene un privilegiato, pensa di avere un ruolo di una certa importanza. Io l’ho sempre preso molto alla leggera, questo mestiere mi dà da vivere, poi sono anche autore televisivo, presentatore, showman: avessi cominciato a 20 anni invece che a 30, probabilmente ora farei solo questo, invece che il giornalista. Dato che sei presentatore, colgo l’occasione di chiederti perché ti ostini a metterti quel cerchietto in testa. Sono estremamente narcisista, però bisogna distinguere bene il tipo: c’è quello che lavora costantemente pur di piacere al prossimo e c’è quello, più fortunato, che si bea del fatto di piacere a se stesso. Io piaccio a me stesso – a volte mi faccio anche paura – e questo mi basta. Riguardo al cerchietto, cercherò di inventarmi qualcosa di diverso nei prossimi mesi. Ti ho sempre definito un personaggio dal tratto picaresco: una sorta di marinaio perennemente in viaggio che va da un porto all’altro senza prendere né se stesso né gli altri troppo sul serio. Credo che una definizione così vicina a come io sono davvero, in 41 anni, avrebbe potuto darla solo mia madre. Mi ci rispecchio alla perfezione, specificando che questo mio modo di essere non è frutto di ostentazione: semplicemente mi piace vivere così.

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