19/2008
Photo: Riccardo Sepe Visconti
Text: Riccardo Sepe Visconti
Assunta Calise è una donna estremamente semplice, coerente, concreta, solida (per quanto abbia un aspetto esile).
Il suo è un volto segnato dal lavoro e forse da una certa tensione interiore, quella tensione che dà la forza agli esseri umani, le sue mani sono nodose. È una donna forte, talvolta perfino ruvida: una madre che sa ciò che deve essere fatto per condurre la famiglia.
Nella nostra storia Assunta ha un ruolo fondamentale, perché senza di lei Rosita non sarebbe oggi una ballerina. Ma poiché Assunta è una persona schiva, parlando con lei della figlia la si sente spesso ripetere che il merito di tutta la vicenda è del suo compagno di vita, il marito Tonino, padre di Rosita. In effetti, in famiglia, se lei è la persona determinata, severa, instancabile, lui è la parte creativa e sognatrice della coppia, l’uomo dei progetti e delle passioni.
Insieme si completano molto ed insieme hanno fatto piccole grandi cose. Che possono essere fatte solo da famiglie molto speciali.
Assunta oggi fa la guida per i sentieri naturali, perché è una donna che ama moltissimo la natura.
Non ho ancora passeggiato insieme a lei, ma mi dicono che sia molto brava: conosce i posti, la loro storia, le piante, i benefici e i pericoli. Ed è, probabilmente, proprio questa conoscenza così netta di ciò che è buono, e questa capacità di discernerlo precisamente da ciò che non è buono, che ha avuto un ruolo fondamentale nella scelta (apparentemente molto sacrificata) di Assunta.
Parlandole, ho capito che questa donna è stata sempre profondamente schierata dalla parte della sua famiglia, e nel rapporto con la figlia Rosita la madre non ha mai avuto dubbi sulle decisioni da prendere per il suo bene e, forse, per la sua felicità.
Non è poco per un genitore, anzi credo sia quello che tutti noi avremmo preteso dai nostri “vecchi”: comprensione, rispetto, aiuto, protezione, incitamento, dedizione.
Non me la figuro una donna dolce, perlomeno non leziosa o sdolcinata, però l’ho percepita come una donna estremamente sensibile verso le cose che davvero contano nella vita.
Assunta Calise
Da ciò che mi hanno riferito, anche tuo figlio Robin è un ‘campioncino’ di arti marziali, come Rosita lo è nella danza. Come nascono i talenti in questa casa?
Non ho una spiegazione. Ho due figli e sono diversi uno dall’altra. Rosita va dritta per la sua strada, come un ‘cavallo’, con un paraocchi a destra e uno a sinistra. Robin è tutto il contrario. Ad esempio, Rosita quando legge un libro lo fa dalla prima all’ultima parola, non se ne lascia sfuggire nemmeno una, perché sa che se lo facesse potrebbero chiederle proprio quella che magari ha tralasciato (in passato le è capitato). Robin invece ci mette meno attenzione. Chiude i libri ed è convinto di sapere tutto, anche se magari non è proprio così. Ogni tanto consiglio a Rosita di fare come lui, perché Robin dopo aver sbagliato per tre volte qualcosa, grida soddisfatto di ‘essere un genio’. Si prende un po’ meno sul serio. Lui devo metterlo in riga, Rosita al contrario di suo fratello dice sempre di sì. Sono diversi, ma in comune hanno che se credono in qualcosa la portano avanti. Secondo me non basta essere bravi, bisogna crederci e bisogna anche insistere, non si raggiungono risultati limitandosi a dire che si è bravi. Non è così semplice, bisogna lavorare sodo. Rosita ha lavorato sodo ed i risultati sembrano anche pochi, e lei è una che lavora. Alcune sue compagne hanno smesso perché si sono arrese alle difficoltà. Bisogna essere anche tenaci.
Questo ti rende orgogliosa?
Non è che mi rende orgogliosa. Vedo che bisogna lottare: ci sono alcuni a cui viene tutto facile, mentre nella nostra famiglia per ottenere risultati bisogna lottare.
Quello che vuoi dire è che per quanto Rosita sia brava non è ancora riuscita a raggiungere i risultati che tu vorresti?
Non che io vorrei. Che lei vorrebbe. Lei vorrebbe che il lavoro con la danza fosse più costante, in alcuni momenti era lì a domandarsi cosa stesse facendo…
E le tue risposte quali erano?
Di non arrendersi subito. Di aspettare, vedere cosa succedesse. Lei ha avuto sempre il nostro sostegno, sa che può contare su questo.
Ed il motivo è che credi nella danza o che credi in lei?
Beh, io di danza non ci capisco nulla… Rosita ha iniziato a fare danza come tante altre bambine. Poi ha dovuto fare una scelta e noi abbiamo assecondato la scelta di una bambina. E l’abbiamo fatto perché abbiamo visto la sua tenacia. Sin da piccola non si arrendeva così facilmente. Le scuole di Ischia hanno un ambito ristretto, a Milano, invece, la gente era agguerrita. A 12 anni già avevano questa capacità di calpestarti per poter andare avanti, che Rosita non aveva. Lei ripeteva in continuazione che le piaceva la danza, che voleva fare quello e si è ritrovata in un mondo in cui per diventare una ballerina bisognava cacciare le unghie e la grinta.
Qualcuno non vi ha dato degli irresponsabili a mandare Rosita a Milano? Non vi siete sentiti attaccati?
Sì, ci hanno detto di tutto…
E le tue risposte quali erano? Le risposte a te stessa, soprattutto, prima che agli altri…
La gente si chiedeva come mai fossi stata così folle da svegliarmi una mattina e portare mia figlia a Milano a fare danza… In realtà c’è stato un ‘incrocio’ di tante coincidenze. Oggi Rosita ha 24 anni, allora ne aveva la metà. Tutto è successo 12 anni fa. Lei faceva danza e studiava, contemporaneamente, anche pianoforte. Ha iniziato tutto come un gioco che poi ad un certo punto si è trasformato in qualcosa di serio. In entrambe le discipline dava ottimi risultati. A quel punto, però, doveva scegliere. Ma lei non voleva, voleva continuare con entrambe le sue passioni. Ci siamo chiesti chi potesse darci una mano a capire e tutti rispondevano che il tempo ci avrebbe dato la risposta. Dicevano ‘poi si vedrà’, ma con la danza se non hai le basi quel ‘poi’ non arriva… Fu la sua insegnante, Teresa Coppa, a consigliarmi di domandare alla Scala. Lì facevano le audizioni e mi consigliò di rivolgermi agli esperti del settore per poter avere da loro una valutazione tecnica. Chiamai e mi dissero che in realtà non davano questo tipo di giudizi, ma che comunque una settimana dopo ci sarebbero state le audizioni. Mi dissero che mi avrebbero mandato dei moduli da riempire e da far pervenire loro nell’arco di una settimana, insieme alla documentazione necessaria. Se Rosita superava l’audizione significava che aveva le qualità necessarie per diventare una ballerina. Ero convinta che in una settimana i documenti non sarebbero mai arrivati a destinazione, (già oggi le Poste ci mettono tanto, figuriamoci 12 anni fa…). Invece, la sorte ha voluto che in due giorni arrivasse la lettera della Scala. Altri due giorni per far loro pervenire la documentazione che mi avevano chiesto, ed è stata chiamata. E lì, mio marito ed io, ci siamo chiesti “E mo’ che facciamo?”.
I primi pensieri che ti sono venuti…
Per prima cosa abbiamo pensato: “Le facciamo fare l’audizione, se viene presa vuol dire che è tecnicamente portata”. Ci siamo detti che magari poteva andare a Napoli, al San Carlo. Poi lei è andata lì con il papà, ha superato la visita medica, che è la prima cosa, ha passato la prima prova tecnica e poi l’hanno ammessa al ‘mese di prova’. Erano 25 di loro, e ne avrebbero prese solo 15. Anche lì c’eravamo detti che le avremmo fatto fare il ‘mese di prova’ e ce ne saremmo tornati. Ma lei insisteva nel ripetere che lì facevano la danza che piaceva a lei, che lì lavoravano bene, che lì imparava la danza. Ci indicava, come esempio, le sue compagne più grandi. Noi non ci rendevamo conto di quanto fosse difficile arrivare a fare otto anni alla Scala. Era inimmaginabile da parte nostra. Durante quel mese cominciammo a domandarci cosa fare, se affidarla a qualcuno, mandarla in un collegio, oppure se non fosse stato il caso di tornare indietro. Ci siamo fatti un mucchio di domande, di certo matti non siamo. Lei, solo 12 anni, ci disse “lasciatemi qui da sola, che me la vedo io”. Dopo infinite discussioni, mio marito ed io decidemmo che qualora fosse stata presa l’avremmo aiutata a rimanere lì. Dei commenti degli altri non c’importava nulla. Ne dicevano tante sul nostro conto, alcuni erano convinti che ci fossimo separati, oppure dicevano che eravamo due incoscienti, che avevo costretto mio marito a rimanere a casa mentre io me ne andavo in città, o che addirittura era lui che mandava sua moglie lontano per restare libero. Non avrei mai pensato che sarei andata a vivere altrove, prima di allora non l’avevo mai desiderato.
E ti sei trovata bene?
Benissimo. Alla fine l’esperienza che abbiamo fatto per amore di Rosita è servita a tutta la famiglia. A me ha insegnato a vivere da sola. Il treno era la nostra casa, andavamo su e giù in continuazione, le vacanze non esistevano. Ogni tanto Tonino si prendeva tre giorni per venire da noi a Milano, tre giorni che passavano in un niente. Però, lo rifarei.
Possono due genitori sacrificarsi a tal punto per una figlia?
Se credono in quello che fanno, sì. Noi siamo partiti perché ci siamo detti che non è giusto tarpare le ali a qualcuno.
Non si tratta di annullare la propria vita per dare spazio a quella dei figli?
No, perché può essere un momento di crescita per tutti. Perché i sacrifici non li hanno fatti solo Assunta e Tonino. Spesso lui diceva che tornava a casa e la trovava vuota. Devo ringraziare mia cognata Irene, che abita di sotto, che gli ha sempre fatto trovare in tavola un pasto caldo. La collaborazione dei nostri familiari è stata fondamentale.
E a te a Milano chi ci pensava?
Beh, a Milano io avevo Rosita. Tonino non aveva nessuno. Quando è nato il più piccolo, la mia angoscia era che crescesse senza poter vedere suo padre, perché naturalmente anche lui era con me a Milano. Quando prendevamo il treno si aggrappava al finestrino e chiamava, gridando, il papà. Questo attaccamento di Robin ha fatto scomparire ogni mia paura, ogni ansia precedente. Non voglio assolutamente vederlo come un sacrificio…
Allora cos’è?
E’ amore per i figli, per la famiglia, per qualcosa che uno fa all’interno della famiglia. Anche Rosita ha dovuto ridimensionare il livello di vita a cui era abituata (avevamo un negozio che stava andando molto bene). Ha dovuto sacrificarsi anche lei. Però eravamo spinti a farlo perché c’era la voglia di realizzare questa ‘bella cosa’. Tonino, più di tutti, ci dava coraggio e ci diceva che potevamo farcela. Quando Rosita è andata a Milano, alle selezioni si piazzò settima. E in seguito è andata avanti senza essere la figlia di nessuno, senza raccomandazioni. Ce l’ha fatta da sola, con le sue forze. Il fatto che qualcuno potesse andare avanti perché bravo e non perché raccomandato è stato la molla che ci ha spinto.
Di sicuro le raccomandazioni nella danza non mancano, ma credo che qualcosa, per andare avanti, devi saperla pur fare…
Sì, delle preferenze ci sono e ci sono anche alla Scala. Ad esempio dicevano che Rosita era troppo ‘scura’ e la si notava troppo. Avevano ragione. Tante volte erano vestite tutte nello stesso modo ed io la riconoscevo dal colore delle braccia. La scambiavano per una venuta dal Marocco.
Hai mai litigato ferocemente con qualcuno a causa di Rosita?
Con gli estranei non litigo, li evito. (ride)
Cosa vorresti esattamente per Rosita?
Ora è grande, è adulta, toccano a lei le sue scelte.
Capisco, ma come madre per tua figlia….
Che prosegua con quello che ha incominciato. Che continui a fare danza. Questo mi renderebbe felice, perché in fondo non è solo un mio desiderio, è anche il suo. Io non ci capisco molto di danza, vado a vedere gli spettacoli e mi piacciono moltissimo, quando guardi i vari gruppi di ballo che si esibiscono capisci subito chi è capace e chi no, non devi essere per forza un esperto del settore. Io spero che continui per questa strada e se dovesse arrendersi non fa nulla, anche se lei è molto determinata. Tuttavia, ogni tanto si lascia ‘deviare’, ma quando i ragazzi crescono, acquistando la loro indipendenza commettono degli errori, è naturale. Tempo fa io le sottoponevo una lista di audizioni che avrebbe potuto fare e lei tendeva a scartarne una piuttosto che un’altra. Alla fine le dissi che a questo punto doveva vedersela da sola. Poi notai che ad un’audizione a cui mi aveva detto di no ci aveva ripensato e ci era andata. L’aveva deciso solo in seguito e in quel momento ho capito che è meglio che non m’intrometta.
Da quanto non le dai più consigli sulle audizioni?
Da un bel po’. Da quando ho capito che qualsiasi cosa le consiglio lei decide per conto suo. Ogni tanto leggo di un’audizione che può sembrare interessante e le domando cosa ne pensa e lei risponde “poi vedo”…In fondo, anche se a volte tendo a dimenticarlo, è adulta abbastanza.
Secondo te è difficile la carriera che ha intrapreso Rosita?
Sì, lo è. Il mondo di oggi ai ragazzi – ma non solo – offre poche possibilità. Adesso finalmente lavora a Catania, non guadagna molto ma almeno lavora. In passato ha fatto molte cose gratis, per beneficenza, e grazie a quei lavori gratis ha avuto l’opportunità di lavorare anche ben pagata. Bisogna andare, aver voglia di fare.
Meglio questo lavoro di ballerina, magari mal pagata però seguendo se non altro la sua passione, oppure un lavoro che magari non soddisfa le sue aspirazioni ma almeno le dà una maggiore stabilità per il futuro?
Meglio un lavoro che ti dia delle soddisfazioni. Un lavoro che ti rende felice anche se è mal pagato, perché fai quello che senti di fare.
Conoscendo Rosita in questi giorni, ho capito che voi due un po’ vi beccavate. Allora, una madre che ci tiene tanto alla felicità della figlia e contemporaneamente si pizzicano un po’ tra di loro, non è una sorta di contraddizione? Perché da quello che hai detto finora sembra che è ‘tutto per lei’…
Assolutamente no, non può esser ‘tutto per lei’, altrimenti uno non vive più. Non può piacermi tutto di lei e viceversa… Ci becchiamo perché siamo tutte e due testarde. Credo sia normale ‘pizzicarsi’ ogni tanto. Le famiglie in cui nessuno litiga mai, tu le conosci? Non credo che esistano. Come si fa a non litigare mai con il proprio marito o con i propri figli, è impossibile, a meno che uno si mette a comandare e l’altro ubbidisce. I contrasti cominciano quando una vede certe cose in maniera diversa da come le vede l’altra.
Tra te e Tonino, come vi siete gestiti l’educazione di Rosita?
Io sono un po’ tosta, un po’ come lei. Credo che la parte artistica che ha dentro l’abbia ereditata da Tonino, che è sempre stato molto fantasioso. Io invece ho la coerenza, seguo una linea e vado ‘dritto’, certe volte sto un po’ troppo ‘sulla linea’ ed è una cosa negativa. Tonino è molto più permissivo. Rosita ha preso un po’ da entrambi, è precisa nelle cose in cui deve esserlo, però ogni tanto ‘sgarra’ come il papà.
Ci sono stati momenti di sconforto in questa avventura?
Sì, quando volevano bocciarla, da piccola, perché non era sufficientemente alta. Tu prima parlavi di ‘annullarsi’ per un figlio. Io non l’ho vissuta così, ma come un’esperienza, perché io a Milano ho trovato un lavoro, non potevo fare altro che la baby sitter, ma era un bel lavoro, mi piaceva. Non mi sono annullata, perché lì sono stata bene, anche se mancava un pezzetto della famiglia eravamo uniti lo stesso, perché comunque ci spostavamo di continuo da Milano a Ischia, d’estate poi stavamo qui.
Momenti di disaccordo nella gestione dell’educazione, tra te e tuo marito?
Lui è sempre più flessibile, io troppo ‘dura’, ma va bene così.
Sei d’accordo per il pezzo che le faremo su Ischiacity o non conoscevi il giornale?
Io non conoscevo il giornale, l’ho sfogliato qualche volta, ma così… Desideravamo che Rosita diventasse un po’ più ‘visibile’. Perciò per noi è una buona cosa, anche per fare un’esperienza diversa. Rosita all’inizio era scettica perché non conosceva il giornale, poi l’ha letto e le è piaciuto molto. Si è divertita tanto a fare il servizio fotografico per voi. Tornava a casa rilassata e felice.
Antonio D’Aiello
Tonino D’Aiello, il papà di Rosita, è un veterano dei vigili urbani in servizio nel comune di Forio: è un vigile rigoroso, che fa sul serio il proprio lavoro “preferisco di gran lunga stare per strada che in ufficio”, e naturalmente conosce tutti e tutti lo conoscono. E’ un uomo gentile, è chiaro che deve superare una certa riservatezza per parlare della vicenda piuttosto eccezionale che è capitata alla sua famiglia. Tredici anni fa, Rosita, “un nome spagnoleggiante, perfetto per questa bimba che già alla nascita aveva la pelle ambrata come una donna del Sud”, frequenta l’Accademia dei Ragazzi di Teresa Coppa, dove studia sia pianoforte che danza, e la maestra si rende conto che è veramente portata per questa seconda disciplina. Da quel momento gli eventi si susseguono tumultuosamente: un primo viaggio a Milano – papà e Rosita da soli – “non ero neppure capace di farle l’indispensabile chignon, che le bambine dovevano avere per il provino, ricordo che mi aiutò una mamma…” e, anche in seguito, nel racconto del signor Tonino, tornano i rapporti allacciati con altri genitori, soprattutto se pure loro erano arrivati fin lì da molto lontano, lasciando a casa magari un marito o una moglie e altri figli. “Rosita era idonea: in realtà a quel punto noi avremmo voluto farle frequentare la scuola di ballo del San Carlo di Napoli, infinitamente più vicina. Gli altri genitori, gli insegnanti ci prendevano per folli: vi è capitata questa fortuna, hanno scelto proprio vostra figlia…!”. E poi Rosita voleva andare proprio lì, sapeva di voler trascorrere i prossimi 8 anni fra ore di studio e prove giornaliere (da affiancare alla scuola media prima e superiore poi), e le dure selezioni. Superarle non dipende solo da quanto si studia, “possono mandarti via anche al penultimo anno, se per esempio, il corpo della ragazzina, crescendo, non ha più i requisiti richiesti per la danza classica: troppo seno, troppo sedere, ma anche una statura non adeguata e sei fuori… Non a caso, l’unica volta che ho visto Rosita tentennare, avere paura, in quegli anni, è stato quando sembrava che non fosse abbastanza alta. Noi eravamo già pronti con un’alternativa quando, per fortuna, le cose sono andate bene”.
Ma torniamo indietro: come avete deciso, lei e sua moglie, di mandare così lontano la vostra unica figlia così piccola? “Ci ha fatto decidere sicuramente il fatto di vedere Rosita tanto determinata, e a quel punto abbiamo dovuto necessariamente prendere delle decisioni importanti”. Il corso della vita della giovane coppia formata da Tonino D’Aiello, vigile urbano, e Assunta Calise, proprietaria di una cartoleria ben avviata al centro di Panza, subisce una rivoluzione: anche il mese di prova presso la scuola della Scala va bene, a quel punto Rosita deve trasferirsi a Milano. Va con lei naturalmente la mamma, prima appoggiandosi ad una famiglia di conoscenti, poi affittando un monolocale; il negozio viene affidato ad un’impiegata e il papà resta a fare il suo lavoro a Forio. “Non potevo e non volevo trasferirmi a Milano, anche se ho imparato ad apprezzare quella città, in fondo mi piace, ma ero appena passato da stagionale ad un contratto annuale, e poi il mio guadagno sicuro era importante. Lavoravo moltissimo e in ufficio mi hanno aiutato, facendo in modo che ogni 15 giorni cumulassi 3 giorni di riposo e allora le raggiungevo a Milano. Dopo il necessario periodo di adattamento era anche piacevole, andavamo in gita fuori città, a Gardaland, era come una piccola vacanza ogni volta. D’altra parte, abbiamo speso tanti di quei soldi in telefono, conosciamo tutte le offerte possibili e immaginabili… E poi tornare la sera e trovare la casa vuota, doversi preparare da mangiare, non è stato facile, ma mi hanno aiutato anche le mie sorelle. In realtà il ruolo più difficile, stare lì da sola con la bambina, l’ha interpretato mia moglie, ed è anche riuscita a trovarsi un lavoro. Mia moglie è una donna veramente forte, solida, penso che questi tratti della personalità Rosita li abbia presi da lei; da me piuttosto ha ereditato la vena artistica, da ragazzo mi piaceva cantare – il mio idolo è Adriano Celentano e naturalmente non ho mancato di andare in via Gluck, a Milano – amo il cabaret, dipingo anche, e vedere mia figlia diventare un artista mi ha fatto realizzare un po’ anche i miei di sogni…”. La prima volta di Rosita in palcoscenico il signor Tonino la ricorda benissimo: eravamo nel loggione, un’emozione enorme, non avevamo mai visto un teatro così”, sfavillante di ori, luci, arte. “La bambina era al terzo anno, credo fosse il “Falstaff” e lei aveva una particina, ma in realtà non riuscimmo neppure a riconoscerla con precisione, perché erano tutte truccate benissimo. E poi mi ha emozionato vederla duettare con Tosca, sono stato contento di sedere a teatro durante gli spettacoli accanto a personaggi famosi: al di là dei sacrifici quest’avventura ci ha sicuramente arricchiti come famiglia”. Raccontata così sembra facile, o meglio, è una storia di cui si conosce già il finale. Nel 2008, sappiamo che la famiglia D’Aiello – Rosita, Tonino, Assunta e il piccolo Robin, nato quando erano a Milano da 2 anni – ha vinto la sua sfida, lei oggi è una giovane donna che va per il mondo, inseguendo ancora i suoi sogni che però in parte hanno già preso corpo, e ne nascono continuamente di nuovi. Ma le cose non sono sempre state semplici: “quando Rosita ci ha raccontato di problemi, dispetti o qualcosa di peggio subìti da parte delle compagne, l’abbiamo ascoltata ma abbiamo anche sempre cercato di sdrammatizzare, e d’altra parte lei in realtà non ha mai perso la sicurezza in se stessa e nei suoi obiettivi, e certo vederla così ci ha aiutato molto”. Oltre al momento di ‘paura’ perché Rosita non era molto alta, Tonino ricorda anche quando lei tornava in Scala dalle vacanze ischitane “abbronzantissima, e questo non corrispondeva esattamente al canone della ballerina ideale, bianca come la porcellana” .
Oggi, il legame di Rosita con la sua famiglia è sempre fortissimo: “lei torna 3-4 volte l’anno, e per qualche giorno, dopo che è andata via sento un peso, ma ormai siamo abituati”. E poi c’è Robin: “frequentando la palestra di kick boxing a Panza, abbiamo scoperto di avere un altro piccolo campione in casa. Oggi, a 12 anni, è stato campione nazionale nella categoria ‘sotto i 28 chili di peso’, l’ho accompagnato ai mondiali in Croazia. Nelle trasferte mi alterno con mia moglie, ma vado più spesso io, sa è più consono ad un uomo della danza…!”.
Chissà se avessero avuto un terzo figlio come sarebbe diventato: è inevitabile dirglielo e forse anche invidiare a Tonino e a sua moglie Assunta il loro segreto.