Friday, November 22, 2024

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Silvia Buchner

 

Lucia Monti è una di quelle persone che ti fanno riconciliare con le istituzioni, che ti fanno tornare a credere che esistono funzionari pubblici motivati, determinati, competenti, che ti fanno riacquistare fiducia nel sistema che ha portato questa signora forte e appassionata a dirigere da undici anni una scuola che accoglie attualmente 800 ragazzi fra gli 11 e i 13 anni e un centinaio di docenti, cui sono affidati nella fase delicata del passaggio fra l’età infantile (quella delle elementari, in cui il rapporto con maestre e maestri è molto affettivo) e l’adolescenza. Incontrando la preside della scuola Media G. Scotti di Ischia, si avverte subito la consapevolezza che ha del proprio ruolo: essere a capo di un ingranaggio complesso qual è una scuola vuol dire prendere decisioni che toccano campi molto diversi, burocratico-amministrativo, finanziario, sindacale e soprattutto della programmazione dell’attività didattica (dalla composizione delle classi alla gestione del tempo prolungato al rapporto con le famiglie), quindi coordinare docenti e personale verso un obiettivo che è di particolare delicatezza. La ‘materia prima’, infatti, con cui ogni giorno, lei e i suoi professori lavorano sono giovanissime menti e personalità e cuori che si stanno formando, che si avviano verso scelte che potrebbero essere determinanti per il loro futuro di adulti. Ecco, da ogni parola e concetto espressi dalla preside Monti emerge che lei ha sempre ben presente tutto questo, quando entra ogni mattina nella sua scuola, cui dedica la sua intelligenza ma anche le sue notevoli doti umane. La lunga esperienza che ha, come insegnante e poi come dirigente scolastico, non le hanno fatto perdere, infatti, l’esigenza personale di studiare e aggiornarsi e, cosa ancor più importante, di porsi sempre in ascolto di tutti i suoi interlocutori, che siano colleghi, professori, genitori, studenti. Il che non vuol dire derogare dalla necessità di prendere decisioni, come il suo ruolo richiede, ma le consente di farlo cercando di guardare i problemi da più visuali, invece di limitarsi alla propria. Con Lucia Monti abbiamo voluto parlare, a partire dall’osservatorio rappresentato da una delle più rilevanti realtà scolastiche di Ischia, di come sono questi ragazzi divisi fra il mondo piccolo e protetto dell’isola e il flusso incessante di stimoli e informazioni che viene da fuori: un incontro potenzialmente destinato ad arricchire ma che inevitabilmente produce anche contraddizioni. La Scotti è una scuola che accoglie alunni che vengono da tutti i Comuni dell’isola: quali sono i principali problemi che deve affrontare come preside della più grande scuola media dell’isola? La scuola deve creare un clima di accoglienza che favorisca l’apprendimento, gli alunni devono sentirsi a proprio agio, provare il piacere di imparare. Dobbiamo, quindi, lavorare con particolare attenzione nella fase di composizione delle classi, in modo che i ragazzi stranieri vengano distribuiti in maniera equilibrata; lo stesso discorso vale per i disabili che sono aumentati, come sono aumentati i casi di disturbi specifici dell’apprendimento come disgrafia, dislessia, discalculia e anche questi alunni vanno distribuiti in modo che non stiano troppo concentrati in alcune classi. Quotidianamente, inoltre, affrontiamo problemi dovuti al fatto che i professori non hanno più ore a disposizione e quindi, in caso di assenza di colleghi, i ragazzi delle classi scoperte devono essere spostati in altre classi o mandati a casa e queste sono situazioni sicuramente negative per l’efficienza della scuola. Nell’attuale sistema di istruzione, che ruolo ha il triennio della scuola media? Tengo molto a sottolineare che la nostra è una scuola di formazione, noi valutiamo in primo luogo il grado di maturazione dei ragazzi. So bene che i docenti delle superiori dicono che la media non prepara abbastanza, ma io credo che la nostra sia una scuola diversa, considero più importante il metodo, cioè possedere gli strumenti efficaci per accostarsi alla conoscenza: questi ragazzi devono imparare ad imparare. In effetti, si legge spesso che il triennio delle medie è il tallone d’Achille della scuola italiana mentre, per esempio, le elementari sono di buon livello: lei cosa pensa di queste critiche? Più che di livello buono o cattivo, parlerei di crisi di identità della scuola che investe ogni ordine e grado del nostro sistema di istruzione, e che credo si possa risolvere solo intervenendo su tutte le componenti che formano la comunità educante: dirigenti, personale A.T.A., docenti, alunni, famiglie ed istituzioni. Per quanto riguarda, gli insegnanti, per esempio, non sempre sono preparati al meglio: sarebbe necessario un serio tirocinio con professori più esperti che facciano da tutor ai giovani e si dovrebbe, soprattutto, tenere conto delle capacità psicoattitudinali di chi aspira a insegnare, nel senso che non tutti sono ‘tagliati’ per questo lavoro. Anzi, proprio i ragazzi di oggi hanno bisogno di docenti che sappiano come trasmettere la conoscenza perché, diversamente da noi che eravamo abituati all’ascolto, all’attenzione, loro arrivano a scuola già iperattivi e al contempo hanno una personalità più definita, sono più autonomi nel pensiero, hanno a disposizione mezzi che consentono di imparare più rapidamente. I loro tempi non sono i nostri, perché hanno stimolazioni di gran lunga maggiori di quelle che abbiamo avuto noi ed è la scuola che deve adeguarsi a questo forte cambiamento che ha investito le attuali generazioni di preadolescenti. E non dimentichiamo le famiglie, i nostri interlocutori primari, insieme ai ragazzi. I genitori non sempre sono preparati a questo compito, a seguire l’evoluzione dei loro figli e chiedono aiuto anche a me. La scuola può sostituire la famiglia nel compito educativo? No, ciascuno deve fare la sua parte, e non è nostro compito insegnare ai genitori il loro ruolo. Anche perché i ragazzi arrivano qui avendo alle spalle circa dieci anni di vita, nei quali le famiglie dovrebbero aver già insegnato loro valori che siano fermi, per poter affrontare non solo la scuola ma la vita in generale. Terza media è sinonimo di scelta della scuola superiore che si frequenterà nei successivi 5 anni. La scuola media ha un ruolo nel guidare i ragazzi in questa fase? Cosa pensa della scuola superiore nell’isola d’Ischia? Certo, tecnicamente si chiama orientamento ed è un punto dolente. Ho voluto che i docenti facessero un corso apposito per apprendere come indirizzare gli studenti e le famiglie, penso infatti che più che illustrare ai ragazzi i diversi corsi di studio, si dovrebbe andare a fondo sulle loro motivazioni interiori, tirarle fuori. Ma l’isola ha un forte limite, costituito dal fatto che qui l’offerta di scuole superiori non è vasta. Mancano alcuni indirizzi e credo che si dovrebbe supplire a questa carenza, in particolare sarebbe importante introdurre un liceo artistico, un istituto tecnico industriale, una scuola professionale per le attività artigianali, che in terraferma preparano ottimi professionisti. Mentre lei osservando la situazione della scuola superiore isolana dall’interno, lamenta l’assenza di istituti professionali, oggi c’è una forte tendenza da parte delle famiglie a far proseguire gli studi dopo il diploma superiore. Le mie parole sono dettate dall’aver constatato che non tutti sono portati per andare all’Università, semplicemente perché spesso i ragazzi non hanno voglia di continuare a studiare. D’altra parte, la dispersione universitaria è altissima, e in molti casi non per mancanza di capacità ma perché i giovani non riescono ad adattarsi al nuovo contesto. I ragazzi isolani che vengono catapultati a 19 anni in una realtà cittadina accade che si sentano come pesci fuor d’acqua, non sono abituati ad affrontare la vita altrove, a fare da soli. Questa incapacità ad essere autonomi viene amplificata dalla vita di provincia che fanno a Ischia, è completamente diversa per molti aspetti da quella che devono affrontare quando iniziano l’Università. I giovani, quindi, dovrebbero conoscere gradualmente le realtà esterne all’isola, invece di piombarvi dentro all’improvviso. Lei delinea dei ragazzi dalla personalità nel complesso fragile. Sì, non hanno certezze, anche perché noi adulti non sappiamo trasmetterle. Bisogna avere ben chiaro che gli artefici della formazione dei giovani siamo noi adulti, i nostri figli sono il frutto delle nostre scelte. Vedo nelle famiglie la paura di affrontare il domani, siamo disfattisti, negativi, cinici e comunichiamo tutto ciò, invece di infondere certezze, per cui spesso i nostri ragazzi hanno disistima di sé. Quanto ha toccato anche l’isola la diffusione di alcool e droga fra i più giovani? Alcool e droga dilagano a Ischia. Gli studenti della mia scuola, quindi ragazzini fra gli undici e i tredici anni, mi dicono che nei locali che frequentano si beve. Sicuramente, manca il controllo delle autorità preposte, perché a quell’età per legge non si potrebbero bere alcolici, e naturalmente quando alle spalle ci sono famiglie già disagiate è più facile che i giovani vengano adescati. Che rapporto hanno i giovanissimi con il sesso? Dal punto di vista fisiologico, sono sicuramente generazioni molto precoci (per esempio le ragazze arrivano avendo già completato lo sviluppo e con il ciclo mestruale), ma sono assai impreparate sul piano emotivo e disinformate. I preadolescenti hanno paura di parlare dell’argomento ma naturalmente sono attratti dal sesso e attraverso internet cercano immagini a sfondo sessuale: di conseguenza vanno preparati perché non si creino idee errate su questi delicati argomenti. Quindi, anche se non è una materia iscritta nei programmi, alcuni docenti della nostra scuola hanno provato a fare un po’ di educazione sessuale. In base alla sua esperienza, che tipo di famiglia è quella ischitana? Ancora tradizionale? Nel complesso sì, qui (come del resto a livello nazionale) la famiglia allargata non ha preso ancora piede, tuttavia le separazioni sono cresciute e purtroppo si ha l’idea che siano sinonimo di lite: ho assistito personalmente a scene terribili di strumentalizzazione dei figli che si inseriscono nella lotta fra i genitori e imparano dai loro comportamenti a essere cinici e falsi. Invece, non dovrebbero mai pagare lo scotto della separazione: l’amore per loro e la loro educazione devono occupare sempre il primo posto. Ma in generale la famiglia rimane un ‘nido caldo e sicuro’ per questi ragazzi? Sì, ci sono molte famiglie che dimostrano attenzione per l’educazione, anche scolastica, ma sono sicuramente disorientate. Cosa le disorienta maggiormente? Soprattutto il rapporto intergenerazionale e i conflitti che nascono spesso all’improvviso, nel senso che vedono i figli cambiare da un giorno all’altro, trasformarsi da bambini che li ascoltano in ragazzi che usano un linguaggio aggressivo e sfuggono al controllo, e naturalmente non riescono a gestire un cambiamento che li sconcerta molto. Lei come si spiega questo fenomeno? I ragazzi sono contagiati dall’assistere a comportamenti del genere che ormai sono diffusi, e se non si interviene immediatamente ponendo un freno deciso, si perde il controllo della situazione. Che consiglio dà ai genitori per prevenire situazioni di questo tipo? Entrambi i genitori devono essere coerenti nei comportamenti, i messaggi mandati ai figli devono essere univoci e fa parte del ruolo di genitore porre regole ben chiare e chiederne sempre il rispetto, senza mai derogare. E’ capitato anche a me come madre di lasciar correre per stanchezza ma me ne sono pentita, perché i figli lo notano subito e approfittano di questa incoerenza e temporanea debolezza. Quando i ragazzi riconoscono l’incapacità a svolgere bene il proprio ruolo, da parte del docente ma anche dei loro stessi genitori, ne approfittano. Questi ragazzi come vedono gli adulti? La mancanza di rispetto verso i genitori si riverbera in una più generale mancanza di considerazione verso il mondo adulto? Rispetto chiama rispetto. Noi che lavoriamo direttamente a contatto con i più giovani, dobbiamo avere un forte amore per quello che facciamo e i ragazzi questa determinazione e passione per il loro lavoro da parte degli adulti devono sentirla. Inoltre, l’adulto deve essere il primo a tenere un comportamento corretto ed educato, perché i ragazzi percepiscono subito falsità, menzogna, cinismo e incapacità. Non bisogna farsi vedere deboli, anzi si dovrebbe riuscire a dare un’idea definita di noi stessi, ma so che è difficile mettere in pratica ciò che dico! Inoltre, non si deve mai mentire, l’adulto non deve comunicare il principio del “fa come dico io, ma non fare come faccio io”, non dobbiamo comportarci in maniera difforme dai modelli che cerchiamo di comunicare. Ma la scuola riveste ancora un ruolo strategico nella formazione delle nuove generazioni? La scuola deve perdere quel carattere di autoreferenzialità che ancora la contraddistingue e cercare di più il dialogo con famiglie, enti locali, associazioni territoriali. Inoltre, tutte le scuole devono lavorare molto in rete, con l’obiettivo di creare un itinerario di apprendimento che parta dall’asilo e si completi al superiore, perché soltanto con un sistema integrato si può riuscire ad essere davvero costruttivi. Le famiglie sono disorientate soprattutto dai conflitti che nascono con i figli, che si trasformano all’improvviso in adolescenti aggressivi, che sfuggono al controllo. I ragazzi percepiscono falsità, menzogna, cinismo e incapacità nei comportamenti degli adulti: quindi non dobbiamo comportarci mai in maniera difforme dai modelli che vogliamo comunicare.