Interview_ Silvia Buchner
Nell’anno in cui una cantina ischitana torna a ricevere un prestigioso riconoscimento, ICity incontra Marco Starace, sommelier di grande esperienza – professionista dal 1995, che a lungo ha partecipato all’organizzazione di Vinitaly per conto della Confcommercio insieme alla regione Campania e che ha coperto due mandati all’interno dell’Assemblea nazionale e come componente della Giunta esecutiva nazionale dell’AIS, Associazione Italiana Sommelier – per fare, all’indomani di Vinitaly, appuntamento di primissimo piano per il mondo del vino, il punto sulla vendemmia 2017 nell’isola. Con Starace, profondo conoscitore della realtà ischitana, sia dal punto di vista delle peculiarità del vino sia da quello delle specificità di un territorio insulare votato a questa produzione, siamo partiti dalle caratteristiche dei vini dell’ultima annata per arrivare al ruolo che può giocare l’isola con i suoi vini di nicchia (che incuriosiscono molto gli esperti del settore), fino a toccare il tema strategico delle politiche attuate e da attuare affinché le aziende si rafforzino – anche grazie al sostegno del pubblico, che in questo settore riveste un ruolo significativo.
Qual è il bilancio della vendemmia 2017 nella regione Campania?
In alcune zone, come l’Irpinia, la grandine ha provocato un calo del raccolto quantificato intorno al 30%; a Ischia la grandine non c’è stata ma a causa del caldo estivo abbiamo registrato una minor produzione che si è attestata intorno al 20%. Inoltre, gli incendi (in particolare in zona Montecorvo a Forio) hanno lambito alcune vigne e ciò ha contribuito al calo, a fronte di un livello di qualità che è rimasto decisamente buono, grazie al grado zuccherino elevato dovuto proprio alle alte temperature – e lo zucchero diventa alcool, contribuendo alla struttura del vino. Anche di quello da destinare all’invecchiamento. Chi coltiva vitigni di buona tannicità come l’aglianico, per esempio, ha avuto rossi di grossa struttura. Quando fa molto caldo, però, c’è poca acidità, quindi è sempre necessaria una quota di piedirosso, che è quello che conferisce freschezza ed acidità appunto al prodotto finale.
Come sono i vini ischitani?
Godono di ottima salute. La produzione è di qualità, perché la maggior parte è doc, mentre la fascia degli igt è molto ridotta come numero di etichette; inoltre non sono costosi per essere doc e sicuramente il fatto che l’isola accolga ogni anno milioni di visitatori consente al nostro vino di girare. La qualità è in crescita già da tempo e di questo meccanismo virtuoso si deve dare merito a Casa D’Ambra che ha fatto da apripista e da esempio e gli altri con una sana competizione hanno lavorato per migliorare sia in vigna che in cantina e ciò ha portato a un innalzamento generale della qualità. Inoltre, alcune aziende si sono diversificate nella proposta, hanno scelto di non copiare e anche questa è un’ottima cosa. Per esempio, Cenatiempo che si è spinto nel biologico e biodinamico, e poi ci sono le piccole vigne come quella di Francesco Iacono con il Bajola, aziende nuove come Crateca che hanno realizzato impianti moderni, investendo molto nella strutturazione della vigna ma anche nella cantina, con un’attenta cura nell’uso del freddo, per esempio. E poi il vino ischitano ha avuto un bel riconoscimento.
Parliamone. Che caratteristiche ha Vigna del Lume delle cantine Antonio Mazzella?
La guida Five Star ha premiato un’azienda che ha radici storiche ma tralci giovani, i figli Nicola e Vera Mazzella, che si impegnano investendo molte energie in quello che fanno. I vigneti si trovano in un luogo che esso stesso contribuisce con la sua bellezza a rendere buono il vino! Nella zona della baia di S. Pancrazio, a 150 mt dal mare che fa da termoregolatore, preservando gli aromi, mentre il calore che si riflette sulla superficie liquida fa sì che l’uva maturi bene, e quindi sia più ricca di zuccheri. Ciò, unito a una buona tecnica viticola fa sì che l’uva, soprattutto la biancolella, possa esprimersi al meglio. Diversamente dalla zona di Forio, per esempio, pure molto assolata, dove in alcune vigne se non c’è un attenta cura dei tempi della raccolta, si rischia che i vini risultino “cotti”, il che comporta un sapore più amarognolo, legato anche al terreno vulcanico.
E le altre cantine?
Pure il biancolella di Pietratorcia è uscito con un taglio diverso, più snello. Ha rimodernato la sua linea, anche per quanto riguarda il modo di lavorare il vino, quindi penso che questo sarà un anno foriero di successi per loro, ho assaggiato un prodotto al livello delle altre cantine. A Vinitaly ho visto curiosità verso il biancolella, che nel panorama campano popolato da greco, fiano, falanghina, è di nicchia, e gli stand ischitani erano molto frequentati da persone che volevano conoscere questo specifico vitigno. Soprattutto da laziali, in quanto a Ponza c’è una piccola produzione di biancolella, completamente diverso dal nostro, molto più grasso e meno acido.
Che ruolo gioca la viticoltura ischitana nel quadro di quella regionale?
Non ha senso rapportarci alla terraferma della Regione, saremo sempre perdenti; confrontandoci, invece, con le altre isole minori (Eolie, Tremiti, Corsica, isola del Giglio) saremmo vincenti. E questo discorso vale tanto più se si ragiona sui finanziamenti dell’UE: in Europa si ragiona partendo sempre dai numeri e noi rappresentiamo una realtà molto ridotta, se si pensa che abbiamo 102 ettari impiantati con vitigni doc (su un totale di circa 300 a vigneto), mentre in Irpinia per esempio il solo Mastroberardino è proprietario di 150 ettari. Quindi, se si deve stabilire un finanziamento per il recupero dei terrazzamenti, non possiamo essere noi un riferimento, le aziende grandi faranno sempre la parte del leone e gli investimenti europei arriveranno in Irpinia e nel Sannio, non qui. Se invece consideriamo le isole è diverso, lì siamo fra i primi; oggi però il trend è piuttosto di collocare quelli ischitani fra i vini “vulcanici”, tuttavia questi ultimi comprendono sì quelli del territorio dell’Etna ma anche il Soave, vitigno veneto, prodotto in un territorio coperto da migliaia di ettari di vigneto, quindi anche in questo caso non siamo competitivi. Dobbiamo, perciò, far leva esclusivamente sul fatto di essere vini prodotti nelle piccole isole, abbiamo le medesime problematicità e dovremmo muoverci insieme per portare proposte di legge a Bruxelles come per chiedere finanziamenti.
I produttori ischitani sono sensibili a queste tematiche?
Purtroppo non hanno una visione a lungo termine, si concentrano solo sul proprio lavoro, che è molto impegnativo, ma è la politica che muove tutto, producendo leggi e quindi regolamenti che i produttori poi sono obbligati a seguire e in questo momento ci sono regole che non garantiscono molto piccoli produttori come i nostri. L’introduzione delle fascette che identificano i vini a denominazione di origine ha comportato che tanta Falanghina del Sannio non sbarcasse più nell’isola per essere poi etichettata e venduta col nome di Ischia. E’ una sorta di autoregolamentazione voluta dal consorzio in cui si dice che il vino per avere la denominazione Ischia deve essere prodotto sul posto e l’uva coltivata qui. Ciò è positivo per il consumatore; inoltre avendo l’uva un costo di produzione uguale per tutti, i prezzi di vendita si sono livellati. Attenzione, la situazione precedente all’introduzione delle fascette non era una frode, perché la legge consentiva di importare uva e lavorarla nell’isola, ma ciò comportava di essere sul mercato con prezzi diversi, facendo una concorrenza non giusta. Alla fine, poi, ne è venuto di conseguenza di avere maggior cura del vigneto, garantendo anche il consumatore sulla qualità del prodotto.
Esistono margini per aprire nuove case vinicole a Ischia?
L’acquisizione di terreni, ormai spesso incolti, da parte delle case vinicole in attività è positiva perché salvaguarda il territorio; detto questo, far nascere aziende nuove non essendo ischitani a mio parere è difficile, perché il vino va raccontato da chi conosce la realtà del posto. E comunque la produzione ha dei costi, esistono tante realtà nazionali che rendono il mercato affollato e, contemporaneamente, il consumo è in discesa – a causa delle leggi restrittive sulla guida ma anche per moda (i ragazzi preferiscono bere miscelato al vino) – quindi il calo pro capite c’è stato; mentre è aumentato il consumo di qualità nei ristoranti e di solito si preferisce il vino prodotto sul territorio, qui si chiede il vino di Ischia e non lo Chardonnay.
E i ristoratori lo hanno capito?
Sì! Tanto che frequentano i corsi da sommelier, imparando così a raccontare il vino, non fermandosi solo all’etichetta e al prezzo.
Com’è stato Vinitaly in generale, anche dall’osservatorio privilegiato che hai grazie al tuo incarico all’interno di AIS nazionale?
E’ un evento dove si va per incontrarsi più che per fare affari, serve pure a verificare cosa fanno gli altri. Fino a qualche anno fa non essere al Vinitaly significava anche che l’azienda non andava bene economicamente. Oggi non è più così perché sono cresciuti tantissimo altri saloni come ProWein a Duesseldorf, Wine Festival a Milano e soprattutto ne sono nati altri piccoli che si tengono negli stessi giorni intorno a Verona e che richiamano molto (Vini Veri, VinNatur), tante aziende li preferiscono al Vinitaly, dove partecipare è molto costoso.
Lo consideri un fenomeno positivo?
Certo! Le novità sono sempre positive e poi queste situazioni più raccolte vengono scelte da chi non ama la confusione e vuole avere un contatto diretto con il produttore.
Le aziende ischitane dove scelgono di andare?
Al momento scelgono Vinitaly, e poi vanno dove è presente la Regione che acquista uno spazio e lo distribuisce fra le diverse case vinicole a prezzi abbordabili. Le aziende hanno bisogno del supporto pubblico: Vinitaly alla Regione costa circa 1 milione di euro, ha un padiglione di cui ridistribuisce gli spazi, crea eventi, insomma porta gente e questo è assolutamente necessario – diversamente i produttori non potrebbero partecipare. In futuro però le aziende attraverso i consorzi di tutela prenderanno e gestiranno gli spazi e le attività di promozione con i contributi statali del PSR (Ndr. Piano di Sviluppo Rurale, si tratta di finanziamenti europei). In Campania si andrà a formare un superconsorzio che comprenderà quello dei Campi Flegrei di cui fa parte Ischia e poi Salerno, Benevento, Irpinia e insieme proporranno la richiesta di un unico finanziamento per la promozione.
In questo quadro il pubblico che ruolo avrà?
Sarà sempre nella cabina di regia, ma darà alle aziende la possibilità di scegliere cosa fare, a quali fiere partecipare per promuoversi. Già oggi peraltro la Regione invita i consorzi a proporre eventi, a suggerire temi di cui trattare e a contribuire all’organizzazione – ma non sempre tutti sono contenti.
Quindi fai un bilancio positivo sulla Regione in questo ambito?
Sì, per anni hanno avuto forti risorse e le hanno investite, anche in fiere in cui magari i produttori non credevano e dove sono andati solo perché la Regione ce li ha portati e hanno potuto trovare mercati di riferimento, per esempio in Russia.