26/2009
Photo: Redazione Ischiacity
Text: Silvia Buchner
Legge Galasso, Legge 47/1985, Legge 724/1994, Legge 326/2003, Piano Paesistico, Testo Unico per l’Edilizia, Codice Urbani, articolo 9 Legge Regionale 10/2004… Queste sigle e titoli appartengono solo ad una parte della ricca legislazione prodotta dallo Stato a vari livelli per governare il boom edilizio, uno dei fenomeni che più ha modificato il volto, nel senso proprio del suo aspetto, del nostro Paese, intendendo l’Italia naturalmente, ma anche e in particolar modo di Ischia. Che ha il 200% di abusi edilizi rispetto alla media della Campania (che è già molto elevata), sebbene l’isola sia interamente sottoposta a vincolo paesaggistico. Vale a dire che in teoria non si poteva aprire una finestra, né aggiungere un metro quadrato all’esistente. In teoria, perché di fatto negli ultimi 30 anni si è costruito di sana pianta e ampliato ovunque (giustamente, è stato osservato, quando si decide di compiere un abuso e quindi un atto illegale, dovendo correre il rischio invece che di 100 mq lo si fa di 400!), creando un patrimonio edilizio talora di qualità scadente, modificando strutture esistenti e intervenendo pesantemente sui paesaggi in maniera anarchica. Fra ‘stili architettonici’ eterogenei e che non hanno più alcun legame con quelli della tradizione e scheletri di edifici che la legge ha, giustamente, bloccato ma che sono lì, in attesa di un giudizio definitivo che nessuno vuol prendersi la responsabilità di dare e intanto offendono l’estetica dei luoghi. L’altra faccia della medaglia – perché ce n’è sempre una – è quella di un’isola cresciuta economicamente e demograficamente moltissimo, divenendo una delle prime località turistiche della Nazione e il suo, per forza di cose limitato, territorio da fonte di un’agricoltura quasi di pura sussistenza si è trasformato in una miniera d’oro. Infatti, tutto questo patrimonio edilizio vale moltissimo – in media 5000 euro a metro quadro. Quindi affittare una casa – o peggio ancora comprarla – con uno stipendio medio è proibitivo e, per contro, investire nel mattone sempre molto interessante. E se da una parte le seconde, terze, quarte case sono tante e una percentuale di esse rimane vuota, dall’altra c’è anche chi la casa non ce l’ha, spesso sono giovani, spesso vorrebbero ‘farsi una famiglia’ ma pagare una pigione è problematico e finisce che ci provano comunque a costruirla, e allora si parla di abusi di necessità. Abbiamo affrontato alcuni aspetti di questa situazione davvero complessa con l’avvocato Bruno Molinaro, che da anni se ne occupa sul piano legale e che fra il 1998 e il 2005 è stato assessore esterno all’ambiente ed all’urbanistica del comune di Barano.
MA CHI SONO I RESPONSABILI?
Che ruolo hanno le amministrazioni rispetto al problema dell’abusivismo edilizio?
Di primissimo piano essendo le autorità direttamente preposte alla tutela del bene ambientale e da anni hanno dimostrato di non essere in grado di gestire il fenomeno, non applicando le sanzioni previste dalla legge benché ciò rientri nei loro compiti. In realtà, fino a un po’ di anni fa era proprio il Sindaco l’autorità preposta alla vigilanza in quest’ambito ma, d’altra parte, poiché viene eletto dal popolo era difficile che fosse in grado di compiere atti tanto impopolari come abbattere un edificio. Così si è deciso di trasferire questo potere ai funzionari amministrativi dei Comuni.
Vale a dire agli uffici tecnici comunali?
Esatto. E anche loro non hanno dato bella prova. Ma anche quando il governo dei Comuni è stato dei commissari prefettizi, hai mai sentito che siano state eseguite demolizioni? Qual è il mandato dell’autorità giudiziaria? In realtà, già dal 1985, la legge le attribuisce il compito di ordinare la demolizione, che in concreto deve essere fatta eseguire dal pubblico ministero. Dal 1985 a oggi hai mai sentito che lo abbiano fatto?
Questo è il quadro ischitano: e altrove?
A Gela, in Sicilia, un procuratore della Repubblica ci ha provato, qualche demolizione c’è stata ma poi la cosa è finita là. Proprio per questo, quando sono stato assessore a Barano scegliemmo un’altra via, avvalendoci di una norma secondo cui in zone soggette a vincolo come la nostra il Comune, che è la prima autorità deputata ad intervenire contro questo tipo di reati, può ricorrere a una sorta di pronto intervento sanzionatorio, evitando il sequestro penale che, paradossalmente, dà un vantaggio a chi ha commesso l’abuso, perché a quel punto non si può più intervenire, essendo il bene passato nell’orbita dell’autorità giudiziaria. Noi ci limitavamo a far piantonare il cantiere dai vigili urbani per impedirne l’attività e poi procedevamo alla demolizione. All’inizio andò benissimo: i ricorsi al TAR furono rigettati, come anche quelli al Consiglio di Stato. Riuscimmo ad eseguirne 10, tra cui una su un grezzo di 140 mq al Cretaio.
E tuttavia…?
Fummo obbligati a fermarci perché negli altri cinque Comuni dell’isola continuava a regnare la latitanza delle istituzioni e si cominciò a parlare di un ‘codice baranese’, di ‘uno Stato nello Stato’, anche l’opposizione speculò. Il problema è che la demolizione è, sotto certi punti di vista, la distruzione di una ricchezza, se si tiene conto del denaro investito per realizzare l’edificio, per altro verso, non lo è in quanto sottrae al territorio qualità, risorse. Quindi non è facile decidere.
Facciamo un passo indietro: lei pensa che il fatto che la legge Galasso, storica legge di tutela del paesaggio, sia così intransigente abbia contribuito a creare questa situazione?
Sì, il proibizionismo ha sempre prodotto questo genere di effetti e la legge Galasso era estremamente proibizionista; oggi è superata dal codice Urbani, che comunque non consente granché. La legge Galasso ha esasperato il concetto di tutela in senso statico del bene-ambiente. Io ho sempre propugnato la teoria della tutela in senso dinamico, che significa riqualificazione, abbellimento dei luoghi.
Vediamo nei dettagli chi si sottrae, dal punto di vista istituzionale, al proprio dovere.
Il cittadino vuol fare i propri comodi, gli amministratori eletti dicono “noi non c’entriamo più” perché adesso sono i dirigenti comunali a dover applicare la legge, i dirigenti tuttavia non lo fanno. Ma è anche vero che non possiamo prendercela solo con gli amministratori, io credo che l’apparato dello Stato sia un condensato di illegalità. Pensa che si prevede anche lo scioglimento dei consigli comunali in caso di ripetute violazioni della legge, che si concretizzano anche in condotte omissive, cioè nel non applicare le misure sanzionatorie, come accade qui rispetto ai reati di abusivismo. Ebbene, nessun Comune è stato sciolto, sebbene i margini di discrezionalità siano molto ridotti, il problema è che lo Stato non sa dare un segnale forte. La Regione che ha il potere di sostituirsi alle amministrazioni locali in caso di inadempienza, latita anch’essa: per es. ha mandato due commissari a Forio per sostituire il tecnico comunale ma non hanno fatto nulla. L’art. 27 del Testo Unico sull’Edilizia prevede che decorso il tempo di 180 giorni, se il Comune non ha provveduto a demolire può farlo la Soprintendenza, attingendo ad un apposito fondo in denaro: qui non è mai accaduto. Sfido chiunque a individuare un settore della vita pubblica in cui la legge viene disattesa massicciamente come in quello dell’edilizia abusiva: le leggi che regolano questo problema sono come le grida manzoniane, sempre più severe e sempre meno applicate. Alla luce dell’esperienza, si tratta di un sistema fallimentare.
Esistono cavilli cui l’avvocato ricorre per bloccare l’ingranaggio della procedura legale?
Le nostre leggi sono perfette, le migliori d’Europa quanto a sanzioni, ma gli uomini che devono farle applicare non esistono, a tutti i livelli. Se lo facessero, l’avvocato potrebbe ben poco: noi a volte sfruttiamo l’inerzia dell’amministrazione. E’ vero, ci sono i tribunali amministrativi che tutelano il diritto del cittadino a difendersi, ma se le amministrazioni a livello comunale come regionale decidono di fare il proprio dovere non ci sono tribunali e avvocati che tengano, specialmente oggi che il TAR rigetta sistematicamente le sospensive, e se pure le accoglie lo fa per 60 giorni, poi tocca ai Comuni proseguire nell’iter contro l’abuso e invece non agiscono. Se chi in concreto ha in mano la tutela del pubblico interesse omette di eseguire alcuni adempimenti, che sono anche particolarmente semplici, è ovvio che l’ingranaggio s’inceppa, e quello che potrebbe apparire come un cavillo escogitato dall’avvocato, non è altro che un elemento di fortuna che quest’ultimo è riuscito a gestire. In materia edilizia il potere sanzionatorio è un dovere, non c’è discrezionalità, quindi l’avvocato al massimo può guadagnare tempo.
COSA FARE? CONDONO SEMPLIFICATO E TUTELA DINAMICA
Si ha un’idea di quanti abusi siano stati commessi a Ischia dopo il terzo condono, quello del 2004 che è l’ultimo e definitivo?
Nel 2004, all’indomani della scadenza dei termini del condono Berlusconi, siglammo un protocollo d’intesa fra Comuni e Soprintendenza, in cui si diceva che per gli abusi accertati dal primo gennaio 2005 si sarebbe dovuto procedere tutti insieme sulla linea dura: naturalmente questo cambiamento di rotta finora non c’è stato! Quantificherei gli abusi realizzati in questo lasso di tempo in oltre mille, 250-300 a Capri, e ce ne sono anche in Costiera. Tuttavia, mi sembra che da alcuni anni costruzioni abusive di una certa consistenza non se ne fanno più, l’abusivismo consiste in attività di completamento di costruzioni oggetto di domanda di condono, di piccoli ampliamenti. E circa il loro destino, va detto che se già ci sono problemi per l’applicabilità al territorio dell’isola del condono Berlusconi (più restrittivo dei precedenti), le case successive al 10 dicembre 2004 costituiscono davvero un problema spinoso. Oggi, realizzare un abuso in zona soggetta a vincolo non equivale a commettere un semplice reato contravvenzionale ma un delitto di alterazione paesaggistica, punito con condanna da 1 a 4 anni. A questo si associa la condanna per reato urbanistico e apposizione dei sigilli, in tal modo si superano i due anni, che è il limite oltre il quale non si può ottenere la sospensione della pena.
In questa situazione, cosa pensa che possa frenare se non bloccare il fenomeno?
L’esperienza, come ho detto, insegna che le demolizioni, che per giunta sono costosissime, non si fanno. Piuttosto la legge dovrebbe infliggere sanzioni in denaro molto pesanti, credo che servirebbe a scoraggiare gli abusi. Se, per es., a fronte di un abuso del valore di 300mila euro, la sanzione fosse di 400mila sicuramente ci si penserebbe su due volte prima di farlo. Vero è che si dice che la costruzione abusiva non ha alcun valore commerciale perché non può essere venduta né acquistata, tuttavia sono convinto che la sanzione pecuniaria sarebbe un buon deterrente. Un deterrente ancora più forte, tuttavia, sarebbe l’intrasmissibilità agli eredi del bene abusivo, ma il legislatore non ha mai voluto muoversi in questa direzione.
Per quale ragione?
Non lo so, se n’è prevista solo l’incommerciabilità.
E la sanzione pecuniaria?
Attualmente, la legge la prevede solo nel caso della difformità parziale, ma si tratta di un’ipotesi che non vale per le aree sottoposte a vincolo, come l’isola d’Ischia, dove al termine della procedura si contempla unicamente la demolizione.
Veniamo all’attualità e parliamo del cosiddetto ‘condono semplificato’. Proprio tu hai rilevato che l’articolo 9 della Legge Regionale sul condono (L.R. 10/2004) omette il richiamo all’art. 32, che riguarda la richiesta di parere di compatibilità paesaggistica alla Soprintendenza (lo nega sempre) e quindi, grazie a questo articolo, anche senza parere della Soprintendenza si può procedere a sanare gli abusi: come va l’applicazione da parte dei Comuni?
Partiamo dal fatto che questo iter molto semplice, che non contempla il parere della Soprintendenza, è previsto dalla stessa legge regionale, appunto. Si deve presentare dichiarazione sostitutiva, dimostrare certi requisiti, il tecnico comunale fa i suoi controlli, non si fa riferimento a nessuna valutazione paesistica, dopo di che si rilascia il titolo abilitativo edilizio in sanatoria. D’altra parte, la legge stessa dice che se si accerta che quest’ultimo è viziato deve essere rimosso. Quando l’applicabilità della legge è dibattuta, come in questo caso, chi decide è il giudice terzo, il giudice di merito, che finora con diverse sentenze ha riconosciuto la legittimità della procedura che ha una sua logica e, cosa importantissima, riguarda solo le illegalità edilizie che rientrano temporalmente nei primi due condoni (L. 47/85, abusi commessi fino al primo ottobre 1983 e L. 724/94, fino al 31 dicembre 1993), non in quello Berlusconi, del 2004. Si tratta di pratiche che risalgono anche a vent’anni fa e d’altra parte la Corte dei Conti persegue i Comuni che fanno scadere i diritti alle oblazioni senza riscuotere gli oneri di concessione, mentre applicando l’art. 9 vengono ricalcolati. A oggi, dopo Forio hanno iniziato ad applicare il ‘condono semplificato’ Casamicciola, Lacco, Procida, che ha rilasciato più di 100 concessioni, Barano ha incassato già più di 2 milioni di euro.
Quanti sono a Ischia i casi interessati dall’art. 9?
Sono circa 20mila condoni, ma fino ad oggi penso che sia stato concretamente applicato nell’isola a non più di mille casi.
L’articolo 9 è una scappatoia?
E’ una risposta di chi ha interpretato questa produzione normativa così farraginosa, una risposta che porta soldi nelle casse dei Comuni e consente di definire pratiche relative a case abitate da anni, inoltre l’indennità paesisitica che i Comuni introitano è destinata proprio alla riqualificazione del territorio in cui si sono realizzati gli abusi così sanati. Nelle concessioni rilasciate da Forio, secondo le direttive del ‘condono semplificato’, per esempio, si richiama il rispetto del regolamento dell’ornato pubblico (anche se devo dire che resta sempre il problema di farlo realmente applicare!). La Procura, che negli ultimi tempi sollecitata da qualcuno ha cercato di porre un freno all’applicazione dell’art. 9, è la medesima Procura che 3 anni fa, quando Forio rilasciò le prime concessioni, acquisì 50 fascicoli e dopo 6 mesi di indagini concluse che non era ravvisabile alcuna ipotesi di reato a carico dell’ing. Formisano che aveva firmato le concessioni e il gip ha recepito la richiesta di archiviazione. Mai come nel caso dell’art. 9 magistratura inquirente, di merito e TAR si sono trovate d’accordo nel confermare la legittimità della sua applicazione.
Non si può non fare un cenno all’ultima iniziativa di Domenico Savio per cercare di riportare nell’alveo della legalità gli abusi cosiddetti di necessità e per la quale lei ha preparato un’interpretazione autentica della legge.
La legge non contempla l’abuso di necessità. D’altra parte, il Piano Paesistico non consente la realizzazione nell’isola di opere di edilizia residenziale pubblica, cioè le case popolari e la Cassazione, in un certo periodo storico, ha interpretato una normativa che applicava l’amnistia (dpr 75/90), dicendo che le opere riconducibili ai limiti dell’edilizia popolare, con una superficie non superiore ai 120-30 mq, costituirebbero gli abusi popolari, appunto, di necessità.
Ma come si fa a distinguere gli abusi di necessità, in un’isola in cui ci sono molte seconde e terze case?
Questo è vero. Tuttavia, la mia proposta riguarda grezzi già esistenti, limitatamente a costruzioni che non superino appunto i 110-120 mq, in zone fortemente urbanizzate e che, in base alle norme del condono Berlusconi, sono destinati a restare illegali. Si tenta di risolvere realisticamente il problema, proponendo un’interpretazione autentica della legge del terzo condono, che è di dubbia interpretazione appunto e non un nuovo condono, che la Corte Costituzionale non accoglierebbe mai. Le direttive del terzo condono sono state fatte dalla destra che adesso è al governo, con questa iniziativa vorremmo far dire loro che le limitazioni in esso previste per le zone assoggettate a vincolo, valgono solo per gli edifici di particolare interesse, con vincolo detti ‘in individuo’ (per es. il Castello Aragonese, la Colombaia) e non anche per gli immobili in zone urbanizzate.
Al di là di queste proposte, esistono soluzioni realistiche per cercare di limitare i danni, visto che non sembra che quella delle demolizioni e del ripristino dei luoghi sia una via davvero percorribile?
La verità è che piccoli interventi dovrebbero essere consentiti: nei regolamenti urbanistici che ho curato per i Comuni, i RUEC, questi limitati interventi (ad es. la realizzazione di una piccola piscina) sono previsti. Il fatto è che poi alcune sentenze li ammettono, mentre altre dicono che comunque ci vuole il parere della Soprintendenza, che lo nega sempre. Bisognerebbe prevedere, inoltre, l’imprescrittibilità della sanzione pecuniaria: e non sarebbero leggi anticostituzionali perché in linea con l’art. 9 della Costituzione, che prevede la tutela del paesaggio. Poi, una volta interpretata la legge sul condono come maggiormente possibilista rispetto alla legalizzazione di ciò che è già esistente, si dovrebbero consentire per gli immobili su cui pende domanda di condono, fino a quando le procedure non siano definite, lavori di stretta riqualificazione della struttura e dei luoghi circostanti (ad es. un portico, il pergolato), in tal modo sparirebbero molte delle brutture che ci circondano e si muoverebbe anche l’economia. Le amministrazioni hanno la possibilità di fare ordinanze che consentano questo genere di lavori, fermo restando, se è il caso, la eseguibilità delle sanzioni una volta giunta al termine la pratica di condono. Penso poi che da subito si potrebbe iniziare a legalizzare partendo dalle cose più semplici. Abbattere quindi tutte le baracche e i capannoni in lamiera, eliminare le reti frangivento, non costa nulla e sarebbe un progresso nel recupero di porzioni di paesaggio deturpate da queste strutture di tipo provvisorio. Inoltre, nel regolamento per l’ornato pubblico che ho stilato e che ho sottoposto ai sei consigli comunali ho previsto una serie di direttive cui i cittadini, ma anche le stesse amministrazioni per la parte che compete loro, dovrebbero essere obbligati ad attenersi, riguardo all’organizzazione urbana, alla tutela della vegetazione, ai materiali edili, ai colori, alle finiture. Tutto sta a farlo davvero applicare e sono certo che sarebbe un grande passo in avanti per Ischia.