Text_ Mario Rispoli*
Photo_ Riccardo Sepe Visconti Enzo Buono
Il Prodotto Interno Lordo da turismo in Italia è stimato al 7% del totale. Meno che in quasi tutti i paesi avanzati. Il PIL del turismo nel Mezzogiorno è ancora più basso. La cosa è bizzarra. Il Mezzogiorno d’Italia è il luogo dove è nata la civiltà occidentale. Per secoli meta di intellettuali che qui venivano per studiare le vestigia greche, romane, rinascimentali e barocche. Qui si sono fatte le prove generali dello stato moderno con gli illuministi della prima ora. Qui hanno trovato ispirazione artisti, scrittori, pittori e uomini di scienza. Qui non si può piantare un chiodo che si sbatte contro qualche reperto (a piazza Municipio, a Napoli, la metropolitana attraverserà lo scavo archeologico più grande d’Europa). Qui il mare è bellissimo e le montagne della Sila fanno un baffo alle Dolomiti. Ebbene, in questo luogo baciato dalla fortuna, il turismo – fatta eccezione per alcune località – rappresenta la parte marginale di un marginalissimo 7 percento nazionale. Forse che non ci si sia pensato per tempo che in un luogo molto lontano dagli scambi commerciali con l’Europa sarebbe stato più conveniente puntare sulla valorizzazione del territorio, cioè sul turismo? Niente affatto. Lo IASM (Istituto autonomo sviluppo Mezzogiorno) dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, ha messo in campo quanto di più avanzato in fatto di sviluppo durevole (come si dice oggi), cioè in fatto di economie che “utilizzino le risorse mantenendole integre per le generazioni future”. L’idea di fondo era che il turismo nel Mezzogiorno potesse essere il volano di un’economia avanzata in grado di coniugare sviluppo, occupazione e qualità della vita. Di qui studi, ricerche, progetti: gli itinerari turistico-culturali del Mezzogiorno, i consorzi tra operatori turistici, i paesi albergo, i laboratori per la qualità del vivere. Persino i bronzi di Riace quando vennero tirati fuori dalle acque ne rimasero impressionati. Ma il bel paese di fine secolo pensava che lo sviluppo industriale non si sarebbe mai fermato, che il turismo fosse “il petrolio dei poveri” e che l’Italia non sarebbe mai diventata povera. Quanto ai ricercatori dello IASM, venivano trattati con la sufficienza riservata ai visionari che, come i bambini, stanno nei banchi senza arrivare con i piedi per terra. Buoni al massimo per i convegni sul turismo. Convegni regolarmente frequentati da imprenditori molto attenti a pianificare la cementificazione delle coste calabra, campana, pugliese. Poi è arrivata la globalizzazione, le industrie hanno iniziato a delocalizzare e a noi sono rimaste le macerie di un territorio da ripulire dalle scorie di un’industria che non c’era più (e che non ci pensa neanche a ritornare in patria), con buona pace degli operai e di tutte quelle persone che, come i soldati del Risorgimento, avevano pensato alla loro fabbrica come alla patria. “Sono finiti i tempi delle vacche grasse”, annunciò il ministro del turismo di turno. Da allora la paura. La paura della “società liquida” di Bauman, dove il vecchio non c’è più, non si sa quale sarà il nuovo ma si sa per certo che fa paura. Dove non ci sono più “i posti in fabbrica” e dove non si sa come fare per crearne dei nuovi. Anche a Torino: la capitale dell’industria, dove generazioni di meridionali si sono spostati armi e bagagli perché, nonostante i progetti degli itinerari turistici, dei consorzi e dei paesi albergo, il Sud rimaneva tanto bello quanto disperato. Oggi tra i bar della periferia cresciuta in fretta attorno a Mirafiori, i nipoti di quegli operai favoleggiano dei bei tempi andati, di quando c’era il lavoro e pure la cassa integrazione. Brutta storia quella dell’industria a Torino. Bruttissima quella del nostro paese andato a sbattere contro la globalizzazione.
Ma, diceva Einstein, “le crisi non vengono” solo “per nuocere” (il ‘solo’ è un’aggiunta nostra). E’ nelle crisi che nascono le idee migliori. E’ nelle crisi che il vecchio muore e il nuovo sopravvive, diventa forte. La storia delle piccole e medie imprese italiane dopo la crisi del 2008, conferma il pensiero di Einstein. Quelle più innovative, internazionalizzate, sono rimaste in vita, le altre sono morte. E’ da dopo la crisi del 2008 (che non è ancora finita) che il turismo è stato riabilitato da “petrolio dei poveri” a chiave di sviluppo durevole. Niente di nuovo da cinquant’anni a questa parte – annunci dei ministri compresi – se non per il fatto che in un’Europa senza fabbriche il petrolio è diventato il turismo. Ora la questione è: chi glielo dice a quelli dello IASM? Chi gli va a riferire nell’ordine:
• che l’Unione Europea individua nel turismo il “motore economico dello sviluppo durevole”;
• che il turismo è ritenuta l’attività principale dei paesi avanzati e particolarmente delle aree del Mezzogiorno;
• che l’ONU ha dichiarato il 2017 Anno internazionale del turismo sostenibile.
• E soprattutto che nel Mezzogiorno allo stato dell’arte o si fa turismo o si muore.
In attesa del valoroso, ci scusiamo ma è il momento dei numeri. Su circa 380 milioni di presenze turistiche (Ndr. Le presenze turistiche contano il numero di notti trascorse dai turisti in una struttura alberghiera o extralberghiera) in Italia solo il 20% (76 milioni) vengono registrate nelle località meridionali. Le cose peggiorano se si considerano le presenze straniere che raggiungono circa 20 milioni, il 13% di 160 milioni di presenze straniere complessive. Il Mezzogiorno fattura circa 4 miliardi di euro dei circa 32 spesi in Italia dai turisti stranieri. Il Lazio, la Lombardia e il Veneto, singolarmente, fatturano più dell’intero Mezzogiorno. Tutte superano i 5 miliardi di euro. Questo a fronte di un’estensione delle coste che – per il Mezzogiorno – rappresenta i ¾ delle coste dell’intero paese, di un patrimonio ambientale e artistico di eccellenza, come detto, e di un clima favorevole. Nel Mezzogiorno la Campania gioca comunque un ruolo rilevante fatturando circa 1.5 miliardi, seguita dalla Sicilia con poco più di un miliardo. Presenze turistiche: la provincia di Napoli registra 9 milioni di presenze. La sorpassano solo Venezia (33,5 milioni), Roma (circa 26 milioni), e Milano (11 milioni). In particolare, nel litorale flegreo le dismissioni dell’Ilva, Pirelli, Olivetti, Sofer, hanno evidenziato la “debolezza” del mito dell’industria nel Mezzogiorno. Alle dismissioni industriali si è aggiunto il trasferimento a Giugliano della Base militare Nato di Bagnoli JFC Naples con conseguenze evidenti nelle statistiche delle attività collegate al turismo dell’epoca. I militari e i loro familiari rappresentavano, infatti, una risorsa economica molto importante per Pozzuoli.
I Campi Flegrei costituiscono un patrimonio di scienza, storia, archeologia e ambiente unico al mondo, l’Anfiteatro Flavio, il Tempio Duomo, il Serapeo, l’Antro della Sibilla, la Piscina Mirabilis, Cuma, Baia raccontano una storia che rimanda ai fasti dell’Impero. Valori inestimabili ma che necessitano di un’azione di sistema perché possano effettivamente trasformarsi in uno strumento di economia sostenibile, che crei cioè benessere diffuso e alti livelli di qualità del vivere. L’esempio di Pompei (oltre 3 milioni di visitatori nel 2016) conferma che i beni culturali, iscritti in un programma di valorizzazione del contesto ambientale, sono strategici per lo sviluppo.
Pozzuoli In questa logica di valorizzazione delle risorse artistiche, ambientali e sociali, va colta la forza espressa dagli interventi del masterplan di riqualificazione dell’ex area Sofer di P. Eisenman prevista per Pozzuoli. Si tratta, come è noto, di un progetto di riqualificazione che punta sul potenziamento dei settori chiave per l’economia e la vita della città: il turismo, il commercio, il tempo libero, il benessere del singolo e lo sport. Questo attraverso la realizzazione tra l’altro, di un’area verde lungo la linea di costa, con spazi dove fermarsi, attività di ristorazione, sportive, piazze, e tutto ciò che sia utile a ridare una dimensione di convivialità ad una città e al suo lungomare. In ultima analisi, a migliorarne la qualità della vita. Il progetto va nella direzione giusta per restituire a Pozzuoli il ruolo che le è stato scippato alla fine del secolo scorso con una serie di interventi dissennati che hanno ridotto uno dei più grandi centri della romanità a scalo marittimo, luogo di transito per migliaia di auto e veicoli pesanti ad altissimo impatto ambientale. Ma Pozzuoli non merita questo. Merita un’attenzione diversa e interventi coraggiosi volti innanzitutto a decongestionare il centro dal traffico veicolare del porto e all’incremento del trasporto su ferro. Pozzuoli e il suo porto hanno potenzialità infinite sul piano della ristorazione, dell’intrattenimento, della balneazione. Lo stesso viaggio per le isole deve diventare un momento emozionale, nel rispetto di uno scenario che non ha simili. Linee veloci, economiche, certo, ma anche mini crociere lungo la costa e alla città sommersa di Baia e verso le isole di Ischia, Procida e Capri. Il Rione Terra oggi è un enorme cantiere che dovrebbe implementare l’offerta di ricettivo di oltre 600 posti letto. Ma il trend delle presenze negli alberghi già attivi a partire dal 2008 è in costante crescita e ci sono margini per ulteriori incrementi. Necessarie, quindi, saranno la creazione di B&B e la riconversione degli alloggi del personale NATO. C’è poi il terzo anfiteatro romano d’Italia (in termini di capienza), che da solo potrebbe diventare volano di sviluppo della città ma anche della Campania. Ci sono gli incubatori e acceleratori di imprese messi a punto da Città della Scienza di Bagnoli. Vanno a rilento è vero, ma sono importanti per la creazione delle nuove aziende che nasceranno quando il piano di sviluppo della città sarà a regime, quando tutte le potenzialità saranno espresse.
In ultima analisi: Pozzuoli e i Campi Flegrei rappresentano il territorio ideale per un turismo sostenibile che consenta alti livelli di occupazione, benessere e qualità della vita. I presupposti ci sono tutti: storia, ambiente, clima, intelligenza, passione, progetti. Un turismo che oggi non è più solo un’opportunità ma una necessità, tenendo conto che il turismo è l’unica industria che non può delocalizzare la produzione come hanno fatto la Fiat a Torino e l’Italsider di Bagnoli. Il turismo va consumato sul posto: a meno di non ripiegare sul virtuale, nessuno infatti potrà mai godere dell’anfiteatro Flavio, della Piscina Mirabilis, provare il brivido di trovarsi sul ciglio del regno dei morti, nel cuore pulsante dell’Impero, a un tiro di schioppo da Aenaria e dai pithecusani che hanno inventato il vino. Nessuno potrà vivere tutto questo senza esserci di persona. Come presenti sono stati Goethe, Stendhal, Plinio, Augusto, forse Ulisse. Ieri come oggi, tutti turisti. E sempre con grande soddisfazione.
* Responsabile Statistiche per A.A.C.S.T. Ischia e Coordinatore della Commissione Valorizzazione Turistica dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli