Friday, November 22, 2024

Psyche- STRAORDINARIAMENTE

n.02/2005

Photo: Archivio Ischiacity
Text: Emilia Cece

 

Emilia Cece, psichiatra, psicoanalista membro della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, docente dell´Istituto Freudiano di Roma, consulente presso il Centro Sigma (Consultorio di Psicoanalisi Applicata di Napoli) risponde su questa rubrica alle domande dei lettori. Per scriverle, clicca qui.

Quando l´inconscio guida e governa le nostre azioni? Alcune problematiche rispondono ad un senso nascosto che è il binario della nostra esistenza. In questa rubrica di posta possono essere affrontati fatti che si ripetono automaticamente nella vita di ognuno, desideri nascosti e sogni insistenti che talvolta si traducono in sofferenze protratte, angosce, depressioni, panico o veri e propri malesseri psico-somatici.

Simone: Dottoressa da qualche tempo mi succede di avere problemi con i numeri, mi spiego: non solo ho difficoltà a memorizzare qualsiasi numero telefonico, ma mi è difficile anche leggerlo e perfino comporlo. Sempre più spesso nel formularlo inverto le cifre, e questo mi capita più o meno da un anno. La cosa mi spaventa perché ho superato i 40 anni e temo possa essere un segnale di allarme…
Emilia: Simone, i disturbi della memoria, tranne casi assolutamente particolari, vale a dire le amnesie selettive temporanee, non riguardano la sfera inconscia. Le amnesie selettive transitorie, sono quelle dimenticanze momentanee di nomi o di eventi, che nella catena associativa risultano essere contigui ad affetti spiacevoli. In letteratura sono descritte, ad esempio dimenticanze di nomi o di paesi che, etimologicamente possono ricordare, per associazione di idee, eventi luttuosi (famosa la dimenticanza di Freud del nome di Signorelli). Le dimenticanze costanti e progressive di numeri, nomi propri, indirizzi, in particolare, riguardano una particolare componente della memoria che è la memoria di fissazione. È fisiologico dopo i 40 anni un peggioramento di queste performances, ma se il danno è consistente, direi che sarebbe opportuno consultare piuttosto un neurologo, che è competente per i disturbi di origine organica e può darle delle indicazioni di tipo medico o preventivo.

Riccardo: Dottoressa le scrive il direttore di Ischiacity per chiederle un parere: da adolescente scoprii che ascoltare il rumore dell´asciugacapelli in funzione mi rilassava, quel ronzio quasi ipnotico mi dava una sensazione di benessere. La cosa l´ho spiegata dicendomi che da piccolo (molto piccolo!) probabilmente accadeva che nel farmi pipì addosso di notte e nel piangere per questo, il rumore dell´asciugacapelli coincideva con le luci che si accendevano nella stanza, la balia che mi lavava, coccolava e, appunto, asciugava con il phon. Oggi a 42 anni ho ancora bisogno di questo rumore per concentrarmi nella lettura, ed in tutte le attività lavorative che necessitano concentrazione e silenzio ( dopo un pò, in effetti la monotonia di questo rumore crea una sorta di “silenzio”!), anzi nei momenti di stress le “sedute di ascolto” diventano sempre più lunghe. Tra l´altro ho scoperto un fatto curioso e cioè di non essere il solo ad “ascoltare” l´asciugacapelli, poiché una mia amica m´ha raccontato che il figlio fa la stessa cosa. Mi dica che non sto impazzendo, per favore…
Emilia: Riccardo, devo dire che non è la prima volta che mi trovo di fronte a questa passione elettrica, siamo in epoca Cyber, dopotutto. l´asciugacapelli che provoca un ronzio costante, più o meno discreto, associato all´idea del calore, può certamente essere, una presenza rassicurante, sebbene artificiosa, che attiva ricordi gradevoli.Nel caso specifico, aggiungerei che il soffio caldo, è la reminiscenza di quella carezza sulla pelle che da piccolo era associata al piacere primitivo genitale ( fare la pipì nel letto e le coccole). Nulla di strano, quindi, se non la necessità di ritrovare con impellenza, quando è alto lo stress, quest´attimo di tenerezza attraverso una protesi ( l´apparecchio elettrico). In altri casi, che appartengono alla mia esperienza clinica, veniva invece messo in rilievo il rumore, utilizzato per coprire il silenzio, vissuto con angoscia. L´angoscia del silenzio, fa sempre supporre un disagio con sè stessi, perché il silenzio, è il momento in cui emerge il nostro stesso pensiero, come una voce interna che può essere molto fastidiosa ed angosciante. La lettera mi dà così l´opportunità di evidenziare come, in psicoanalisi, ogni sintomo non è mai paragonabile ad un altro, anche se si somigliano molto. Ognuno può riconoscersi nel sintomo altrui, ma a ben vedere, scavando è sempre opportuno scovare le differenze. Nessuno è paragonabile ad un altro, ed ognuno può raccontare solo di se stesso.

Claudia: Sono una donna di quarant´anni, sposata, tre figli, un lavoro abbastanza impegnativo e di responsabilità. Credo di poter dire di essere da sempre pessimista di carattere e forse per familiarità di essere un soggetto tendenzialmente depresso, anche se nessun medico mi ha mai diagnosticato questa malattia, né ho mai assunto farmaci per questo “malessere”. Negli ultimi tre o quattro anni però il mio stato d´animo è diventato via via sempre più nero: soffro di insonnia, sono molto irritabile e molto ansiosa, ho frequenti crisi di pianto, vivo in stato di ansia perenne, spesso sono intrattabile e, questo è il problema più grave, ho ripetuti desideri di fuga: mi piacerebbe scomparire dalla faccia della terra ed in certi momenti di grande difficoltà emotiva desidero essere morta. Tutto questo mi crea enormi sensi di colpa che non fanno che peggiorare il mio stato d´animo, poiché so bene che apparentemente non avrei alcun motivo di essere così disperata e sfiduciata e soprattutto so bene che con una famiglia da seguire non posso permettermi simili pensieri. Ho tentato la strada dell´aiuto psicologico e dell´analisi, ma due anni e mezzo di terapia non hanno sortito alcun effetto: durante tutto il periodo di analisi mi sono sentita completamente sola a brancolare nel buio alla ricerca di una via d´uscita finché ho abbandonato per sfinimento e sfiducia. Possibile che non ci sia una strada per uscirne? Possibile che non sia riuscita a trovare alcun tipo di aiuto dalla psicoterapia che ho effettuato? Forse non ero pronta per questo tipo di percorso o forse mi sono imbattuta in professionisti non all´altezza?
Emilia: Claudia, non posso giudicare l´operato dei suoi psicoterapeuti, e non posso prevedere se la prossima terapia le dia risultati migliori. Certamente, da quanto lei stessa riconosce, pessimismo e depressione, non La predispongono con animo positivo verso la vita, verso la psicoterapia ancor meno. Non ho elementi sufficienti dal suo scritto, per poterle dare dei consigli se non generali, per esempio di chiedersi se veramente è motivata a comprendere meglio il suo “malessere”, che origine potrebbe avere e se è motivata ad impegnarsi per modificare qualche cosa della sua esistenza. Una cosa colpisce: come mai accenna ai suoi figli, al suo lavoro, allo stress, ma non spende una parola per il suo compagno, il suo menage di coppia, la sua vita affettiva? Sa, queste cose sono forse più importanti di tutto il resto, e se non appare cenno, potrei immaginare o che non vi attribuisce l´importanza dovuta o che non ne riceve soddisfazione a sufficienza. Potrebbe essere lì il campo da esplorare: troppa rassegnazione potrebbe disporla ad una maggiore fragilità e ad una eccessiva vulnerabilità verso i normali stress quotidiani. L´insonnia, l´ansia, il pianto, sono solo dei segnali, l´analisi dovrebbe individuare le radici. Solitamente, se si parte con sfiducia ed “atteggiamento depressivo”, anche in assenza di una vera e propria depressione, si oppone al terapeuta una resistenza maggiore che rende più difficile un rapporto che, invece dovrebbe fondarsi sulla fiducia e sulla collaborazione. Sembra paradossale, capisco! L´unica cosa da fare è avere molta pazienza e valutare se vale veramente la pena di impegnarsi per un cambiamento di stile, o se ricava forse un velato gusto a crogiolarsi nei problemi, se non altro, per abitudine di famiglia!

Gennaro: Ho un reale problema, una paura che non riesco a superare e mi crea non pochi problemi; non riesco a guidare stando in macchina da solo. Per andare a lavoro ho bisogno che mia moglie mi accompagni in macchina. È sufficiente che lei stia accanto a me. I problemi seri sono quando nessuno mi può accompagnare e sono costretto a prendere la macchina da solo per raggiungere il posto di lavoro. Incomincio a sudare, ho paura delle macchine che sopraggiungono ad alta velocità, ed incomincio a tremare per la paura di essere travolto dai camion. Come posso fare? A chi devo rivolgermi per guarire da questa fobia. Purtroppo non posso prendere altri mezzi per raggiungere il lavoro tranne che la macchina.
Emilia: Gennaro, la sua fobia è focalizzata sul timore di essere schiacciato, ed è pertanto manifestata solo nella guida. In generale, la guida della macchina mette di fronte alla paura di non essere all´altezza di controllare i propri impulsi, di non mantenere la calma, per intenderci. La presenza di un altro quindi è ovviamente rassicurante. Se per Lei è rassicurante la moglie, è molto probabilmente dovuto al fatto che si voglia consciamente dimostrare una dipendenza da questa figura, che potrebbe anche diventare per Lei schiacciante. Tenga presente, che tutto ciò che a livello conscio prende una certa connotazione, in questo caso ” dipendenza”, a livello inconscio presenta segno inverso, quindi ” indipendenza”, o meglio desiderio di indipendenza. Lei quindi, lavora per Sua moglie e per la famiglia probabilmente, ma teme di trovarsi esposto a spinte verso una indipendenza diciamo così “trasgressiva”. Tali spinte, inaccettabili sul piano conscio e per la sua ” morale”, si traducono in un sintomo fobico che denuncia il timore di trovarsi di fronte alla difficoltà di gestire il desiderio di trasgressione in ambiente lavorativo, dove forse avvengono incontri e relazioni nuove. Il sintomo fobico e la necessità di farsi accompagnare, potrebbero ricondurre ad una soluzione di equilibrio, diciamo di compromesso. Potrebbe trovare un´altra soluzione intraprendendo un percorso psicoanalitico personale. Tenga conto però, che queste poche righe, potrebbero essere una spiegazione un pò limitata e frettolosa e sarebbe necessario, come spesso dico, un approfondimento, ad es. sarebbe opportuno avere qualche informazione su quando si è presentata la Sua fobia, in quali circostanze si aggrava o migliora.