Friday, November 22, 2024

Globalizzazione come sinonimo di tipicità, sapori veri, grandissima tradizione da provare in ogni angolo del mondo. Un binomio impossibile? Assolutamente no, a guardare la storia di Rossopomodoro, raccontata da colui che ha ideato la famosa catena dedicata alla ristorazione partenopea, quasi trent’anni fa. Ad ascoltare Franco Manna, attualmente presidente della società cui fanno capo i 142 ristoranti Rossopomodoro, che comprendono anche le insegne Anema e cozze, Rossosapore, Ham Holy Burger, non si fa fatica a immaginarlo mentre insieme ai suoi compagni di avventura dà forma all’idea che sta dietro Rossopomodoro. Siamo nel 1988 – momento molto diverso da oggi, quando ha decisamente preso piede l’idea che le specialità alimentari debbano essere salvaguardate e valorizzate, e i consumatori cercano innanzitutto qualità – e due amici, Franco Manna e il suo socio di allora Jeppi Marotta, aprono un ristorante che hanno immaginato diverso da tutti gli altri: al Vomero nasce Pizza e contorni. “Avevamo la fila anche nei lunedì sera di febbraio con un tempo da lupi!” – ricorda. “Già allora ci fu chiaro che dovevamo essere presenti anche all’estero, aprimmo per esempio a Los Angeles; ma dopo 10 anni sentimmo l’esigenza di cambiare, con una proposta di menù più ampia, che comprendesse anche primi piatti”. Nasceva così l’idea di Rossopomodoro, un luogo dove provare il più celebre piatto partorito dalla fantasia dei napoletani, realizzato con attenzione alla sua storia e alle sue peculiarità in ambienti di stile contemporaneo, lontani dallo schema classico della pizzeria. Oggi il paese in cui è più presente è il Regno Unito, 10 locali nei diversi quartieri di Londra, e poi uno a Newcastle e uno a Birmingham. E nel mondo si può mangiare secondo lo stile Rossopomodoro anche a New York (sono fra l’altro al Village e al World Trade Center), Chicago, Boston, a Copenhagen e Reykjavik, a Jedda in Arabia Saudita e a Riad in Marocco. A Monaco come a Venezia – il locale italiano più grande con i suoi 700 mtq, unico forno a legna della città – e dal mese di agosto finalmente anche a Ischia, la pizza di Rossopomodoro è identica dappertutto, nella sua peculiarità e alta qualità, grazie al fatto che i prodotti base – farina, pomodoro, olio, latticini, la pasta per i primi – provengono tutti dai medesimi fornitori, campani, e i pizzaioli sono sempre napoletani. Come quelli che lavorano a Ischia, nel Rossopomodoro appena aperto in una location inattesa e perciò più bella, lo storico vivaio Chiaiese che affaccia sul corso Vittoria Colonna, poco oltre piazzetta S. Girolamo. “Quel posto mi ha folgorato, è come quando vai a vedere una casa per la prima volta e ti dici questa è casa mia. Mettere il ristorante in una serra è una scelta particolare: abbiamo fatto un intervento conservativo, rispettando i volumi, e abbiamo scelto di mantenere l’insegna del vivaio, che è stato lì per tantissimi anni”. Dunque, un giardino dal fresco arredamento di sedie e tavoli colorati, un ampio e arioso spazio interno, luminoso, dai tanti vetri entra il verde del giardino e al centro della scena il forno. E’ l’altare su cui si officia il rito della pizza, disegnato dal celebre architetto e designer Riccardo Dalisi: “Ci ha progettato un nuovo forno, tecnicamente è tradizionale – 2000 mattoncini refrattari, piano in cotto di Sorrento che garantisce la cottura a 400°. L’esterno, però, è ricoperto di mattonelle come quelle del chiostro di S. Chiara, è il terzo costruito così che installiamo, dopo Londra e Roma”. Una citazione di napoletanità in perfetta armonia con lo spirito di Rossopomodoro, che riesce a far convivere alcuni dei migliori aspetti della cultura partenopea. Realizzato in società con Pietro Lauro, Rossopomodoro Ischia propone un menù di pizze articolato ma equilibrato, in cui si dà spazio con intelligenza alle innovazioni necessarie per un piatto che ha un radicamento profondo nell’immaginario gastronomico di milioni di persone, ma senza eccessi inutili. E poi una vera specialità poco conosciuta sull’isola, la pizza fritta. Preparata da due maestri, i fratelli De Angelis (detti Zombino, perché i loro genitori erano “magri magri e bianchi bianchi”, come degli zombie, per cui si sono conquistati questo soprannome). Viene cotta nel classico ‘fuocone’, come si chiama a Napoli l’enorme teglia che, piena d’olio, compariva puntale nei vicoli il martedì e giovedì. Le dimensioni della pentola consentono al grasso di raggiungere una temperatura molto alta, e di cuocere uniformemente la vera pizza fritta che deve essere grande, cose che in una normale friggitrice non sono possibili. Ha inaugurato il Rossopomodoro ischitano Teresa Iorio, anche lei figlia d’arte: vitale e comunicativa come solo i napoletani sanno essere, è la diciannovesima di 20 figli (una delle sorelle è la famosa cantante Valentina Stella), e affianca la sua collaborazione con Rossopomodoro alla conduzione della pizzeria Dalle figlie di Iorio, in cui lavora tutta la famiglia. Teresa, che fino a settembre è campionessa mondiale in carica di pizza STG (Specialità Tipica Garantita), si è alternata al bancone in marmo con Gennaro Piccolo, uno dei migliori pizzaioli nella squadra di Rossopomodoro. Ischia, dunque, entra in questa grande famiglia, in cui camminano di pari passo creatività e rigore nelle scelte che toccano ogni aspetto di una complessa macchina. “Dei 142 ristoranti circa 90 sono a conduzione diretta, una formula che premia e infatti stanno aumentando” – spiega Franco Manna. All’estero quasi tutti, in Italia quelli nelle grandi città e in alcuni casi si sceglie di affiancare un partner locale, come a Ischia. Sempre, è indispensabile avere una filiera funzionale, in cui il ruolo delle persone è determinante: come il gruppo di responsabili degli acquisti, che seleziona le materie prime, dall’olio (EVO della penisola sorrentina e delle colline Salernitane) alle farine (Caputo), alle paste di Gragnano, ai pomodori, che vengono scelti nel campo, quando sono ancora sulla pianta (pomodori del piennulo del Vesuvio, datterini gialli di Battipaglia, San Marzano DOP, ecc.) e poi mozzarella di bufala campana DOP, bresaola di bufalo di Caserta, mortadella IGP, Gorgonzola DOP, pecorino Bagnolese… E sono solo alcuni dei prodotti adoperati per le pizze, i primi piatti, le preparazioni tipiche della cucina napoletana. E poi i pizzaioli: sono loro, la loro sapienza, che fa la differenza. “A Napoli c’è una cultura della pizza che ha alle spalle una storia secolare: molti nostri pizzaioli lo sono da 4 generazioni, si tramandano la tecnica di lavorazione della pasta, più che un mestiere è un patrimonio di conoscenza”. In primo luogo, i tempi lunghi di lievitazione dell’impasto, almeno 24 h, indispensabili per consentire all’amido della farina di trasformarsi in zuccheri semplici ed essere quindi digeribile, mentre se si fa lievitare solo 7-8 ore l’amido resta indigeribile per l’essere umano e rende la pizza pesante. Nel menù le farciture classiche ci sono tutte, cui si aggiungono le pizze preparate con farine integrali, o la Pomodorosa, con 4 cultivar diversi di pomodori (datterino, piennulo, Corbara, S. Marzano). E ancora la pizza fritta, i primi, dai tubettoni cozze e fagioli alle linguine con colatura di alici e limone, alle tipicità che cambiano a secondo della stagione, ai dolci (da segnalare quelli con gelato al latte di bufala). Un menù costruito con cura, variegato, che conduce alla scoperta di prodotti che appartengono alla migliore realtà agroalimentare campana e italiana.