Friday, November 22, 2024

Interview_ Riccardo Sepe Visconti  Photo_ Francesco Di Noto Morgera  Stefano Fiorentino

Vivere in un paese sicuro è assolutamente possibile. Il vulcanologo Giuseppe De Natale, ricercatore dell’INGV, la massima istituzione italiana in tema di terremoti, che con l’Osservatorio Vesuviano monitora il territorio dell’isola d’Ischia, illustra in questa intervista l’interessante progetto elaborato per mettere in sicurezza le aree del nostro territorio sensibili rispetto al pericolo rappresentato dalle scosse sismiche. Frutto di un anno di studi compiuti con la sua equipe, il lavoro è stato da poco reso pubblico, e costituisce una proposta concreta, finalizzata a intervenire in maniera sistematica sugli edifici esistenti per migliorarne la resistenza in caso di terremoto. Finalmente, quindi, si ragiona in termini di prevenzione, tanto invocata di fronte ai rischi naturali cui tutta l’Italia è soggetta, ma altrettanto disattesa.

Nel suo ultimo intervento in ordine di tempo, in occasione della presentazione del progetto dedicato alla messa in sicurezza dell’isola di cui parleremo in questa intervista, lei ha sottolineato come i danni ingenti subiti dalle case nella zona del Majo-La Rita non sono da imputare al fatto che fossero abusive. A cosa sono dovuti, allora?

Le case non crollano perché abusive, potrei anche costruire senza titolo edificatorio un bunker d’acciaio resistente al terremoto, ma ciò non toglie che rimanga abusivo da un punto di vista giuridico. Ma dal punto di vista tecnico, il mio di geologo e vulcanologo, gli edifici sono crollati e sono stati danneggiati perché la faglia da cui il sisma si è generato è localizzata esattamente sotto il centro abitato del Majo, a 1,5-2 km di profondità. Altro fattore di cui tenere conto è che la mappa della pericolosità sismica dell’isola d’Ischia è chiaramente sottostimata, nel senso che le accelerazioni di progetto previste, e che stanno alla base del calcolo ingegneristico preliminare alla costruzione degli edifici, sono circa la metà di quella effettivamente registrata il 21 agosto 2017 dalle nostre strumentazioni all’Osservatorio Geofisico della Sentinella. Ciò significa che anche un edificio costruito il giorno prima, perfettamente a norma, poteva essere gravemente colpito o collassare.

Prendere atto di questo cosa implica dal punto di vista del geologo?

Piuttosto che ricostruire si deve mettere in sicurezza: l’attuale zona rossa il 21 agosto 2017 ha sperimentato l’VIII grado della scala Mercalli (Ndr. Elaborata dal sismologo e vulcanologo Giuseppe Mercalli, valuta l’intensità dei terremoti osservandone gli effetti distruttivi sulle costruzioni e sull’ambiente) e, nel caso di un terremoto come quello avvenuto nel 1883 può sperimentare l’intensità massima, l’XI grado, vale a dire accelerazioni anche 3-4 volte superiori a quelle di progetto attuali. Ebbene, dobbiamo far sì che nelle aree dove possono verificarsi terremoti dall’VIII grado in poi della scala Mercalli, che hanno conseguenze molto serie sulle costruzioni in muratura, gli edifici vengano portati in categorie di minore vulnerabilità, resistenti a quel tipo di sollecitazioni. Sappiamo, infatti, grazie all’esperienza che ci viene dal sisma del 1883, che in quella zona i terremoti possono essere molto violenti. Tecnicamente è un’operazione fattibile, non è molto costosa data la limitatezza della superficie coinvolta da possibili forti danni per un futuro terremoto e sarebbe un modo per rendere sicura Ischia, che è un “marchio” turistico, oltre a essere molto popolata. Potrebbe costituire, inoltre, un esempio per iniziare un’operazione analoga su scala nazionale.

Possiamo circoscrivere i luoghi che dovrebbero essere interessati da questi interventi preventivi?

Giuseppe Mercalli dopo il terremoto del 1883 realizzò una mappa di risentimento molto accurata, che registrava i danni sugli edifici: ebbene, essa è sovrapponibile, fatto salvo che il terremoto fu molto più forte, alla mappa di danneggiamento del 2017. E anche per quanto riguarda gli eventi sismici più antichi, le aree colpite sono le medesime. Ciò vuol dire che la sorgente da cui si innescano le scosse è sempre la stessa e questo è importante perché ci indica con attendibilità dove intervenire. Quindi, se ipotizziamo, e le valutazioni scientifiche supportano questa ipotesi, che il terremoto massimo atteso sia quello tipo 1883, partendo dalle mappe di Mercalli che indicano le varie fasce di intensità sismica, si può procedere a esaminare gli edifici e quindi ad operare su di essi per far sì che possano resistere alle massime sollecitazioni che ci si aspetta in quelle aree.

Lei comprende fra queste anche la zona rossa dell’ultimo terremoto?

Certo, è possibile metterla in sicurezza ma si deve valutare se conviene farlo per delle semplici abitazioni, oppure se non sia meglio delocalizzare le case e in quella zona pensare di realizzare opere strategiche che possono essere anche di alto valore culturale. Per esempio, sono d’accordo con la proposta di installare al Majo un centro di ricerche sismologiche e vulcanologiche.

Nell’idea di voler rendere sicure le case della zona rossa è sufficiente intervenire su di esse, o vanno abbattute e ricostruite?

Antisismico è un termine un po’ abusato, indica una situazione assoluta, mentre dovrebbe essere un concetto graduato, nel senso che un edificio può essere resistente a un determinato grado di sollecitazioni, ma se queste crescono non lo è più. Poi ci sono aree con sollecitazioni sismiche molto forti (ed è il caso della zona rossa) in cui effettivamente sarebbe necessaria un’edilizia antisismica intesa in senso molto avanzato e, immagino, ma devono dirlo gli ingegneri strutturisti, gli edifici andrebbero ricostruiti piuttosto che consolidati. Tuttavia, quando parlo di messa in sicurezza non intendo “distruggere e ricostruire” tutti i centri urbani, quanto piuttosto usare tecniche di consolidamento per le quali, fra l’altro, gli ingegneri italiani sono dei maestri – data l’esperienza che abbiamo di terremoti che si verificano in paesi e città con edifici storici in muratura spesso di grande valore architettonico, che non si possono semplicemente buttare giù e rifare. Nelle zone limitrofe a quella rossa si può consolidare in gradi differenti per rendere le case adatte a sopportare le sollecitazioni che ci si aspetta in quei determinati punti. Esiste una classificazione internazionale per gli edifici in muratura stilata per categorie costruttive e c’è un’esperienza a livello mondiale della resistenze di ciascuna categoria alle sollecitazioni sismiche. Abbiamo appena pubblicato in un bel volume della società di geologia ambientale il nostro studio dell’ultimo anno in cui usando queste tabelle identifichiamo quali sono le tipologie costruttive che a nostro avviso possono coesistere nelle diverse zone dell’isola, prendendo come riferimento appunto le sollecitazioni massime attese in caso ci sia un terremoto come quello del 1883. Abbiamo scelto un taglio estremamente pratico, perché pensiamo sia bene agire in modo veloce per poter mettere in sicurezza l’isola e dare un segnale ad altre zone d’Italia.

Può sintetizzarci i risultati del vostro studio?

Ci sono alcuni concetti fondamentali: il primo è che la distruttività del terremoto del 2017, come di tutti quelli del passato con uguale origine (ma questo è il primo forte che abbiamo potuto analizzare con tecnologie moderne), è dovuta al fatto che le faglie sono estremamente superficiali; nei terremoti appenninici di origine tettonica, infatti, le faglie sismogene si situano di solito a 10-20 km sottoterra; a Casamicciola, invece, fra 1 e 3 km al di sotto del centro abitato. La vicinanza della sorgente sismica comporta che anche con magnitudo tutto sommato basse (come è stato il 21 agosto 2017, quando è stato registrato il 4° grado circa della scala Richter) si siano prodotte accelerazioni molto molto importanti e quindi tanti danni. Ebbene, esaminando la sismicità del passato capiamo che questi terremoti si possono ripetere anche a intervalli di pochi anni, o pochi decenni, come si vede dalla sequenza del XIX secolo, quando fra il 1828 e il 1883 ci sono stati almeno 6 episodi, sempre nella stessa zona con intensità fra VII e XI grado della scala Mercalli, quello disastroso del 1883. E nel 1881, Mercalli stesso ammonì a non ricostruire lì; altri scienziati e i politici presero posizioni diverse ma purtroppo ebbe ragione lui. E’ evidente, quindi, che se ci guardiamo indietro diventa tanto più urgente un progetto serio di messa in sicurezza. Certo, non possiamo dire con assoluta certezza che accadrà ancora con tale modalità, ma per principio di precauzione dobbiamo lavorare intorno a questo tema. Mettere in sicurezza i centri urbani è un investimento sul futuro, a breve come a medio lungo termine. Si dovrebbe ragionare in questo modo per tutto il territorio nazionale e così purtroppo non è; ma almeno nel caso di Ischia, abbiamo indicazioni circostanziate e la possibilità di operare con costi bassi. Essendo, infatti, le faglie da cui nascono i terremoti ischitani molto superficiali, questi ultimi sono sì molto distruttivi ma il loro raggio di azione è circoscritto, mentre i terremoti che avvengono a maggiore profondità coinvolgono zone più vaste.

A proposito del terribile terremoto del 1883, diciamo una parola definitiva sul confronto con quello del 2017: quest’ultimo è stato meno forte?

Sì, sicuramente è stato meno forte, cioè la sua intensità intesa come danno massimo è stata molto minore di quella del 1883 (nella zona rossa VIII grado e XI grado Mercalli); i terremoti alla sorgente durano sempre pochi secondi, poi siccome le onde sismiche hanno velocità diverse man mano che ci si allontana la durata percepita può essere più lunga. Dando una scala di magnitudo, se l’ultimo è stato 4.4, nel 1883 fu fra 5.5 e 6 scala Richter. E ogni grado di magnitudo in più è un fattore 30 in termini di energia, quindi è stato da 100 a 900 volte più forte.

La legge per la ricostruzione voluta dal Governo prevede di effettuare una microzonazione della zona rossa: cosa è e come funziona?

La microzonazione considera dettagliatamente le tipologie di terreno dove si è verificato o può verificarsi un terremoto, per capire se, per esempio, ci sono aree franose, che possono essere soggette a liquefazione, o se ci sono stratificazioni superficiali tali da amplificare le sollecitazioni sismiche, creando danni superiori a quelli che si avrebbero su terreni di altro tipo. E’ molto importante, ma nel nostro caso non la considero fondamentale per avviare in tempi brevi un progetto di messa in sicurezza, perché se consideriamo le mappe di intensità elaborate dopo il 1883 da Mercalli, i danni rilevati all’epoca contengono in sé già tutte le informazioni sia sulla sollecitazione sismica che sulla risposta dei terreni. Nel senso che se vediamo che alcune zone sono state più danneggiate di altre, abbiamo i dati per valutare i possibili differenti effetti locali del sisma. Certo, gli insediamenti urbani sono cresciuti rispetto alla fine del XIX sec., per cui la microzonazione va eseguita, ma penso non sia strettamente necessaria per iniziare la messa in sicurezza.

Qual è allora secondo lei il primo passo da compiere?

Eseguire un esame dettagliato della vulnerabilità dei singoli edifici, per valutare gli interventi necessari a portarli in categorie di minore vulnerabilità. E queste verifiche dovrebbero riguardare anche i terreni su cui le costruzioni si trovano. Infatti, secondo me è fondamentale capire se ci sono fabbricati, abusivi o meno sul piano giuridico, posti su terreni oggettivamente troppo pericolosi non solo da un punto di vista sismico ma anche idrogeologico o di rischio alluvionale, per cui non devono essere abitati. Queste sono le case che dovrebbero essere evacuate e abbattute, perché le due cose camminano necessariamente insieme, altrimenti qualcuno inevitabilmente ci tornerà a vivere. Questo è l’abusivismo che a mio parere non andrebbe sanato in alcun caso.

Lei dice che l’adeguamento costerebbe poco: avete condotto uno studio dei costi? Quanto può costare adeguare, per esempio, una villetta di 150 mtq?

Dipende naturalmente dal punto di partenza e da quello a cui si deve arrivare: le posso dire che con i colleghi ingegneri abbiamo fatto una prima stima di massima – magari attaccabilissima – per l’intera operazione di consolidamento di edifici nelle zone in cui si sono già avuti terremoti con danni dall’VIII grado in su, ed è una superficie di circa 25 km quadrati, più o meno centrata sulla zona rossa attuale: il costo totale dovrebbe aggirarsi fra 50 e 100 milioni di euro.

Questo tipo di intervento può farlo il singolo proprietario?

Certo, esiste anche il sisma bonus, una legge ottima, che risponde all’esigenza di un progressivo miglioramento degli edifici su tutto il territorio italiano, ma se si vuole realizzare un’operazione mirata in aree critiche come quella di Ischia non può essere a macchia di leopardo. In altre parole, se un cittadino interviene e il suo vicino no, come accade affidandosi alla volontarietà, è possibile che in caso di scosse l’abitazione del primo regga ma le altre cadano danneggiando anche quella. Inoltre, le direttive per il sisma bonus non definiscono il grado di adeguamento sismico da conseguire. Invece, secondo me almeno in certe aree sensibili la messa in sicurezza va resa obbligatoria: dove nel 1883 il terremoto ebbe un’intensità dall’VIII grado in su si dovrebbe rendere obbligatorio il consolidamento indicando con precisione l’obiettivo da raggiungere, cioè la categoria superiore, e ciò implica controlli al termine dei lavori.

Lei pensa sulla base di quello che il Governo e gli altri Enti coinvolti stanno facendo, che si sono indirizzati su questa strada, cioè definire la zona più a rischio, esaminare ciascun edificio che vi si trova e controllare gli interventi? O teme che resti solo oggetto di studio?

Da italiano, come lei, sono ugualmente scettico, ma da esperto devo dire quello che andrebbe fatto; tuttavia, ho visto grande sensibilità da parte dei Sindaci coinvolti. La legge di conversione del Decreto Genova non mi sembra contenga riferimenti chiari e precisi nella direzione che indichiamo noi studiosi, perché si parla di riparazione, ripristino, ricostruzione degli edifici danneggiati ma non ci sono le parole “messa in sicurezza”. Tuttavia, alcuni passaggi potrebbero lasciare uno spazio per questo tipo di interventi, mi riferisco alla discrezionalità che ha il Commissario alla ricostruzione per poter operare in maniera più ampia di quanto scritto nel testo, cioè la semplice ricostruzione della zona. Sono disponibile a dare una mano e mi piacerebbe come ricercatore e come italiano che la cosa si concretizzasse, ma soprattutto come grande estimatore dell’isola, un luogo incantevole, bellissima dal punto di vista ambientale e turistico e interessante da quello scientifico – fra l’altro fui il primo, nel 1993, a portarvi stazioni di rilevamento sismico moderne. In Italia non c’è stato finora un intervento risolutivo capillare come quello che prospetto per Ischia, che potrebbe mettersi al riparo del tutto da danni molto seri, ciò che conta infatti è che l’edificio non collassi, perché in questo modo si riduce molto la probabilità che ci siano vittime.