Friday, November 22, 2024

Special – GIORGIO BUCHNER/03

n.02/2005

Photo:  Archivio Buchner
Text:     Costanza Gialanella

Il racconto del Museo
Ho avuto l´incredibile fortuna di poter curare, con Giorgio Buchner, l´allestimento scientifico del Museo Archeologico di Pithecusae in Villa Arbusto, a Lacco Ameno. Ad ogni pezzo scelto corrispondeva un lungo racconto sul momento della scoperta, una bella lezione che motivava il significato dell´oggetto, il perché della scelta, e allora non mi pesava passare con lui in deposito tutti i miei fine settimana, forzando quel suo pizzico di pigrizia che, accompagnandosi ad una curiosità e vivacità intellettuale che non ho mai ritrovato in nessun altro, contribuiva a fare di Giorgio quel personaggio straordinario che Ischia non ritroverà mai più. Quello che segue è il racconto del Museo: come ne abbiamo costruito il progetto è cosa che resterà nel mio cuore, nella mia mente per sempre.

Il Museo Archeologico di Pithecusae ha sede nell´edificio principale del complesso di Villa Arbusto in Lacco Ameno d´Ischia, costruito nel 1785 da Don Carlo Aquaviva, Duca di Atri, là dove era la “masseria dell´arbusto”; divenuto nel 1953 residenza estiva dell´editore Angelo Rizzoli e acquistato, infine, dal Comune di Lacco Ameno per ospitarvi il Museo Archeologico, destinato ad illustrare la storia dell´isola d´Ischia dalla Preistoria sino all´età romana. Numerosi e importantissimi sono soprattutto i reperti relativi all´insediamento greco di Pithecusae, fondato nel secondo quarto dell´VIII sec. a.C. da Greci provenienti dall´isola di Eubea, il primo e più antico stanziamento greco in Italia meridionale. I materiali esposti sono stati recuperati grazie agli scavi condotti a Ischia da Giorgio Buchner a partire dal 1952, e testimoniano l´estesissima rete delle relazioni commerciali che i Pitecusani svilupparono con il Vicino Oriente e Cartagine, la Grecia e la Spagna, l´Etruria meridionale, sino alla Puglia, alla Calabria ionica, alla Sardegna. La maggior parte dei reperti proviene dagli scavi condotti nella necropoli, ma anche dal quartiere artigianale di Mazzola sulla collina di Mezzavia, i cui scavi ebbero inizio nel 1969. Dalla necropoli, ubicata nella valle di S. Montano e usata come luogo di sepoltura per un millennio, a partire dalla metà dell´VIII sec. a.C., provengono i più celebri vasi pitecusani, dal cratere tardo-geometrico locale decorato con scena di naufragio alla famosa tazza da Rodi, la cosiddetta “Coppa di Nestore”, sulla quale è stato inciso dopo la cottura, in alfabeto euboico (e ricordiamo a questo punto che l´alfabeto rappresenta uno dei tasselli fondamentali del patrimonio di conoscenze che le popolazioni dell´Italia centrale mutuarono dai Greci di Pithecusae, insieme all´arte di lavorare i metalli e a quella di fare vasi), e dunque sicuramente a Pithecusae, un epigramma in tre versi che allude alla celebre coppa di Nestore descritta nell´Iliade. Dal quartiere artigianale di Mazzola proviene invece l´altrettanto famoso frammento di cratere tardo-geometrico con una strana figura alata e l´iscrizione dipinta “…inos m´epoiese”, “…inos mi fece”, la più antica firma di vasaio conosciuta. Dagli inizi del VII sec. a.C., per motivi politici legati allo sviluppo di Cuma sulla terraferma – fondata dagli stessi coloni di Calcide e di Eretria che avevano dato origine a Pithecusae – piuttosto che per gli eventi vulcanici che, invece, fortemente influirono sul popolamento dell´isola in età romana, si registra un progressivo declino dell´importanza di Pithecusae. Dei templi che dovevano sorgere sull´acropoli di Monte di Vico rendono comunque testimonianza le terrecotte architettoniche; sempre dal Monte di Vico proviene un´ingente quantità di quella ceramica da mensa tutta verniciata di nero, del tipo detto “Campana A” che, in età ellenistica viene prodotta ad Ischia e che è stata esportata in Africa, Spagna, Francia meridionale. In età romana l´isola, che assume il nome di Aenaria, fu flagellata da numerose eruzioni vulcaniche, tanto che i Romani non vi si stabilirono in maniera così massiccia come, ad es., nei vicini Campi Flegrei. Le principali testimonianze di questo periodo sono costituite dai rilievi votivi in marmo dal santuario delle Ninfe, presso Nitrodi (Barano), e dai lingotti in piombo e stagno della fonderia sommersa di Carta Romana (Ischia).

Costanza Gialanella è Archeologo direttore coordinatore – Soprintendenza per i Beni Archeologici delle province di Napoli e Caserta.