Thursday, November 21, 2024

Special- L’ARTE DELLA ACCHIAPPANZA

30/2011

Photo: Archivio Azienda Cura e Soggiorno
Text: Peppino Brandi

 

Uhmm… Che sapore aveva quel tempo! Eravamo in pieno boom economico, l’ottimismo accompagnava le intraprese commerciali, il rischio calcolato ed affrontato, i rapporti interpersonali carichi di fecondità, l’amicizia pura e semplice, la generosità la raccattavi lungo le strade e poi noi giovani – erano gli anni a cavallo tra il ’50 ed il 60 – sempre a respirare quell’aria di perenne primavera ricca di profumi e di iodio, e quel turgore che ci teneva compagnia con un unico pensiero: attraversare la porta del tempo ed entrare nel giardino delle delizie… E le delizie erano rappresentate dalle svedesi, un termine che inglobava le giovani turiste di ogni nazionalità. La nostra era l’isola della gioventù, come si poteva cantare nella canzone del Principe Totò; le acque termali svolgevano la loro funzione anche per gli acciacchi, ma per noi che potevamo prendere un bagno nelle calde acque di Cartaromana, dei Bagnitielli, di Citara o di Sant’Angelo e Cava Scura, si trattava di un ritorno ancestrale in quel liquido che ci accompagna nei primi momenti della nostra vita, così caldo e protettivo. E poi vuoi mettere un bagno di mezzanotte a Sorgeto in giocosa compagnia? Era il tempo delle ‘acchiappanze’ estive e dei ‘menali’ invernali. Entrambi recavano il segno della partecipazione. E già, perché la caccia alle svedesi si svolgeva in gruppo, dove ognuno si faceva forte della presenza dell’altro, come in gruppo avveniva anche l’altra attività: quella di saziarsi di mandarini e delle prime saporite clementine. Insomma, bisognava tener dietro agli istinti. La voce degli arrivi si propagava in un attimo: le inglesi presso l’allora albergo Dei Pini, tedesche presso l’albergo La Pineta, e poi olandesi, svedesi e qualche francesina disseminate nelle altre pensioncine. C’era il problema della comunicazione; quelli più arditi tra di noi sapevano spicciare qualche frase menata a memoria: vollen si spazzì mit mi froilain? Ai laic iu verimach, vulevù fer una petit promenade avec muà? Andavamo nei verbi difettivi quando qualcuna di loro rispondeva a tono. Ed allora calavano silenzi solenni. Niente paura: parlavano per noi sguardi complici, qualche sfioramento e, soprattutto, i feromoni, ma anche l’aria di Ischia così carica di iodio – quello sì che era un inconsapevole eccitante. Una passeggiata sulla Riva Destra, dove le prime taverne facevano ‘ammuina’ cantando ‘o marenariello’ con quella specie di ‘ola’ degli avventori che si muovevano come le onde del mare, era il giusto viatico per un po’ di intimità. Che sospiri tra le fresche frasche della Pagoda e che mugolii di piacere al riparo delle cabine, laggiù al Rancio Fellone accompagnati da Mario Perrone and his “New Orleans” jazz band. I primi bikini indossati da quelle attraenti ‘signorine’ facevano arrossare gli occhi ai giovanissimi. Ed a qualcuno faceva venire anche i calli alle mani… E poi i racconti dove ognuno poteva inventarsi quel che voleva. Gigino l’amatore favoleggiava delle avventure che di anno in anno gli accadevano in terre lontane, (tutte bubbole), in Germania, in Svezia e, perfino, in Egitto… “Gigì come sono le teutoniche, le vichinghe e le piramidi?”, gli chiedevamo e lui di rimando “Tutte meretrici…”. Non avevamo l’ansia da prestazione, ma quella del racconto sì. Ed, infatti, avremmo vissuto di ricordi nell’inverno successivo. Poi gli immancabili coinvolgimenti. Qualche lettera, una telefonata internazionale con lunghe attese presso la postazione telefonica del signor Salvato, una foto nel portafoglio, e, per i più fortunati, un viaggio da quelle parti, poi, la scintilla che era scoccata come avventura si tramutava in legame definitivo. Ho ripercorso i luoghi degli appostamenti: la Pagoda, sotto l’Acquario, la via Regina Elena con i suoi anfratti, il lungomare fino all’hotel Copertino (il carcere mandamentale fino agli inizi degli anni ’70, così detto perché ne era custode il signor Copertino!), la solitaria e buia spiaggia di Terra Zappata e, infine, i meandri del Castello. Mi sono sentito come il Conte Zio della Sonnambula e mi sono ascoltato mentre con la mia voce di finto basso (un bassotto in pratica) accennavo: Vi ravviso o luoghi ameni in cui lieti, in cui sereni sì tranquillo i dì passai della prima gioventù. Cari luoghi io vi trovai Ma quei dì non trovo più…

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