29/2011
Photo: Archivio Il Golfo
Text: Silvia Buchner
Photo: Archivio Ischiacity, archivio Il Golfo Chi sono i grandi personaggi? Figure che, quando entrano in contatto con noi, ci cambiano la giornata, un periodo della vita, in alcuni casi tutta l’esistenza. Domenico Di Meglio, fondatore e direttore de Il Golfo, il piu’ piccolo ma anche il piu’ letto quotidiano d’Europa, era uno di quelli che modificano la traiettoria. PREMESSA di Riccardo Sepe Visconti Raccontare Domenico Di Meglio vuol dire rivivere l’avventura, terribilmente intensa e affascinantissima, della testata giornalistica che egli fondò, Il Golfo, il quotidiano dell’isola d’Ischia. Ripercorriamo la sua storia attraverso un racconto corale, fatto di più voci, talvolta molto dissimili fra loro nei giudizi, sicuramente identiche nell’esprimere la passione con la quale hanno vissuto il rapporto con Domenico Di Meglio. Siamo consapevoli che ognuno dei nostri interlocutori non può che consegnarci la “sua verità”, verità che non sempre condividiamo ma che pubblichiamo integralmente, perché il ruolo che abbiamo scelto non è quello di piegare le idee degli altri alle nostre, ma di contribuire a comporre un mosaico dove ciascuno ha posato la propria tessera. Infatti, come fu detto pochi istanti dopo la sua morte, “Domenico è di tutti”: noi vorremmo che così restasse. Peppino Brandi. Storico interprete della politica ischitana, è stato a lungo consigliere comunale per la DC e sindaco di Ischia per il centrodestra dal 2002 al 2007. Ciro Cenatiempo. Giornalista, scrive dal 1979 per Il Mattino e si interessa in particolare di di gastronomia, turismo, viaggi; attualmente è responsabile per la comunicazione e l’informazione della direzione cultura alla Provincia di Napoli. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni dedicate a Ischia. Agostino Iovene. Ordinato sacerdote nel 1970, cancelliere vescovile, è parroco della chiesa di S. Pietro, al centro di Ischia; ha sempre osservato da vicino, quando non dall’interno, la politica locale. Antonio Pinto. Imprenditore, amico personale e da sempre sostenitore di Domenico Di Meglio, del quale ha finanziato le iniziative editoriali, tuttora è l’editore de Il Golfo. Inoltre, è assessore al comune di Ischia per l’UDC. Francesco Rispoli. Ingegnere e docente universitario, spesso animatore di dibattiti culturali, è stato consigliere comunale per il PSI dal 1980 al 1990; è autore di studi sull’abusivismo edilizio a Ischia. Luigi Telese. Avvocato, protagonista della politica ischitana nel centrosinistra, è stato consigliere comunale a partire dal 1994 e sindaco di Ischia; attualmente anima l’opposizione. Ida Trofa. Giornalista, pungente commentatrice interessata soprattutto alla politica locale, è stata una stretta collaboratrice di Domenico Di Meglio e ha scritto per Il Golfo dal 1999 fino alla morte del suo direttore. Domenico Di Meglio era una porta spalancata sull’isola e per l’isola. Non a caso la porta che materialmente separava dal mondo esterno la sua tolda di comando, lo spoglio ufficio al Golfo, era sempre aperta. Per essere a disposizione di chiunque volesse parlare con lui e, attraverso lui, con l’isola d’Ischia. In un reciproco scambio che ha alimentato per decenni le pagine del giornale, riempiendole di discussioni, polemiche talvolta assai sanguinose, attacchi ai politici e a chi gestiva la cosa pubblica, ma anche a categorie strategiche come certa imprenditoria. Il fatto è, come ha sottolineato più di uno dei nostri intervistati, che Il Golfo viveva di tutto questo, ingoiava ogni giorno fatti e storie, spesso dati pure in forma di pettegolezzi, insinuazioni, informazioni anonime. Il giornale e Domenico ne avevano bisogno per andare in edicola tutti i giorni, la gente voleva il palcoscenico del Golfo, per sapere e soprattutto per parlare a sua volta. Di cose importanti, di proteste sacrosante, di denunce necessarie ma in mezzo, inevitabilmente, ci finivano anche persone e situazioni che non meritavano di essere messi sotto i riflettori o alla gogna. Questo era, probabilmente, il limite maggiore del giornale ideato e diretto per vent’anni da Domenico Di Meglio e, quindi, il limite di Domenico Di Meglio. Il quotidiano di Ischia, infatti, era espressione delle sue passioni, convinzioni, idiosincrasie, nella linea editorial-politica percorsa di volta in volta, nello spazio da assegnare a questo o a quel tema, nel taglio e tono con cui le notizie erano pubblicate ma spesso anche create, non a caso sembra che gli piacesse dire “Se un giorno non avessi niente da pubblicare mi sparerei in una gamba”! Aver dato a quest’isola un foglio quotidiano, facendo entrare la parola scritta nelle case di migliaia di ischitani, aver spalancato (ancora una volta!) la porta su mondi altrimenti di fatto chiusi, quali le aule dei consigli comunali e le cosiddette “stanze del potere”, insomma aver puntato i suoi personalissimi riflettori sulla politica locale mettendone in chiaro parte dei meccanismi è un merito che a Domenico Di Meglio nessuno potrà togliere, pur con tutte le riserve sul modo in cui, talora, lo ha fatto. Populismo aggressivo e facile demagogia hanno colorato spesso i suoi “Sussurri e Grida”, le sue chiose pungenti, ma sicuramente la politica ha sentito il suo occhio e la sua penna su di sé e noi lettori abbiamo trovato nei suoi editoriali numerose occasioni di riflessione: con la sua scomparsa, due anni fa, sono venuti meno gli uni e le altre. Ciò che, invece, è mancato a Domenico Di Meglio è, forse, la capacità di incidere sulla società isolana cui si rivolgeva e alla quale ha dato la parola. Il Golfo, infatti, ha finito per essere lo specchio in cui Ischia ha visto riflesse, spesso in maniera plateale, le sue profonde contraddizioni, in cui gli ischitani hanno potuto guardare bene in faccia il proprio presente, la propria identità sociale, i propri limiti, non però per metterli in discussione e magari superarli ma, piuttosto, talora addirittura per compiacersene. Mentre questo avrebbe potuto e dovuto essere uno dei ruoli assolti dal giornale in una comunità piccola ma articolata come la nostra, e in ciò Il Golfo e Domenico sono venuti meno: forse non era fra i suoi obiettivi, ma è un’occasione perduta di crescita civile che non sappiamo se si ripresenterà. PERCORSI GIOVANILI: POLITICA E CARTA STAMPATA Lei, professor Rispoli, ha condiviso un pezzo della sua adolescenza e percorsi politici giovanili con Domenico Di Meglio. RISPOLI: Domenico era un mio vicino di casa, a via Quercia, a Ischia, eravamo coetanei e abbiamo avuto una lunga amicizia: ricordo che aveva il diploma da geometra e quando mi iscrissi a ingegneria gli chiesi di insegnarmi a disegnare. Fu proprio intorno ai nostri 18 anni che certe tensioni e il desiderio di partecipare più attivamente alla vita politica iniziarono a manifestarsi. Eravamo un gruppo che nasceva intorno ad un ambiguo liberalismo virato a destra: il termine “ambiguo” non si riferisce a Domenico che si professava fascista, punto e basta. Altri, invece, inclinavano moltissimo verso la destra storica e altri ancora, come me, capirono presto che si muovevano in un ambiente che non gli era congeniale. Peppino Di Costanzo, da parte sua, era il motore del gruppo che raccoglieva quelli che poi sarebbero stati l’espressione del partito liberale a Ischia (Enrico e Luca Scotti, i Postiglione): promossero anche un giornale per il quale scrivemmo sia io che Di Meglio. Il rapporto fra noi tre – Di Costanzo, Domenico ed io – era molto buono, ma anche anomalo, se si pensa che dopo pochi anni ci ritrovammo in consiglio comunale ciascuno in un partito diverso, rispettivamente Liberale, Movimento Sociale e Socialista. A questo proposito, Domenico mi diceva sempre che se fossimo stati meno ideologizzati, avremmo potuto contrastare meglio il comune avversario, la DC. Giovanissimo, Domenico Di Meglio fu un attivista politico fortemente schierato a destra. TELESE: Nel 1975 era uno dei giovani più promettenti del MSI che cercò di diventare maggioranza nel paese: non dimentichiamo che la metà degli anni ’70 fu il periodo d’oro del Movimento Sociale, a livello sia nazionale che locale, e ricordo la chiusura della campagna elettorale con un comizio molto infuocato a piazza Croce. Tuttavia, i risultati non furono brillanti, elessero alcuni consiglieri d’opposizione ma la DC ischitana assorbì il colpo molto bene, per quanto venisse da una spaccatura interna. Proprio quell’anno, infatti, 15 esponenti del partito scelsero di andare con Enzo Mazzella mentre altri 15 rimasero con Umberto Di Meglio: insomma, si divisero fra quelli che seguivano il giovane leader che si andava affermando – Mazzella – e quelli fedeli al sindaco uscente. Com’è avvenuto il passaggio di Domenico dalla politica attiva al giornalismo? RISPOLI: La sua prima testata fu lo Sport Isolano che usciva settimanalmente ed era tutto dedicato alle squadre del calcio locale, per lo più amatoriali. Se si riflette su quanti sono i calciatori di ciascuna squadra, le loro famiglie, i loro tifosi, ci si rende subito conto dell’impatto di pubblico che ebbe il nuovo giornale. Ora, all’interno del periodico sportivo inserì alcune pagine dedicate alla politica. Poi, la svolta, il giornale si ribalta, lo sport va all’interno e lo spazio maggiore lo prese la politica: nasceva il Settimanale d’Ischia. In tal modo, usando lo sport come un cavallo di Troia, Domenico è riuscito a portare il suo giornale in tantissime famiglie ischitane; quando l’operazione si è radicata grazie allo sport, è entrato nelle medesime case per parlare – questa volta – di politica. In verità, Domenico non ha solo lasciato la politica per fare il suo giornale, ma si è spinto a perdere addirittura il lavoro. Era tecnico comunale a Serrara Fontana e quando durante gli anni ’80 si rese conto che Il Golfo stava assumendo un suo rilievo, che riusciva a fare il quotidiano, abbandonò il ‘certo per l’incerto’: quella del Golfo è stata un’esperienza molto interessante, al limite della genialità. CENATIEMPO: Me lo ricordo fin da quando scriveva con le macchine elettriche, era un ‘pasionario’, con una vulcanicità decuplicata rispetto all’ultimo Domenico che abbiamo conosciuto. Aveva individuato il modo giusto per riunire le persone intorno a un progetto di comunicazione, raccontando tutti i protagonisti di tutti gli sport. In tal modo, dava agli atleti un’identità della quale essi stessi, fino a quel momento, non avevano avuto la percezione. Già da allora realizzava un tipo di giornale costruito per la gran parte dagli stessi lettori, che gli portavano i testi scritti a mano, spesso in un italiano storpiato, o si sedevano accanto a lui e dettavano: tutto pur di essere presenti su questo nuovo strumento. Fino al 1983-84 quest’isola è stata molto produttiva nel settore della comunicazione attraverso le radio (Radio Ischia, Radio Isola Verde, Radio Ischia International) e i fogli stampati, ma lui in questo mondo così variegato si è distinto subito, perché riusciva ad aggregare sul serio, garantendo la continuità temporale del prodotto di comunicazione. Il fenomeno Domenico Di Meglio va inserito all’interno del percorso di crescita economica e politica di Ischia negli anni ’80, quando era il “Giardino d’Europa” (secondo lo slogan coniato dal più importante sindaco di quel periodo, Enzo Mazzella), in pieno boom come meta turistica, crescevano gli alberghi, avevamo uno dei redditi pro capite più alti d’Italia, l’isola ‘produceva’ politici importanti come Mazzella, appunto, e Franco Iacono, europarlamentare socialista. In quest’atmosfera, Domenico, con la sua passione, il suo entusiasmo, le sue capacità ma anche la sua popolarità, aveva capito che poteva acquistare un ruolo che, fra tanti passi falsi e contraddizioni, è comunque riuscito a mantenere. Com’è nato il vostro sodalizio? PINTO: Ero un ammiratore delle battaglie che Domenico faceva da quando aveva 15 anni, era un fascista fascista, ma mi piacevano la forza e il modo sanguigno di essere che lo connotavano già allora. Quando ero in V ragioneria e lui al III geometri, facemmo insieme il primo giornale stampato (a Napoli, a via Mezzocannone), si chiamava Tempi di Scuola e con noi collaborava anche Peppino Mazzella. Dopo il diploma, lui continuò con L’Isolano, un giornale di chiara impronta di destra, realizzato con il ciclostile. Poi, insieme lo trasformammo nello Sport Isolano, dato che Domenico era anche un attivista della curva, aggiungendo l’inserto di attualità. In seguito, ribaltammo il peso dei contenuti del giornale: più attualità e meno sport con il Settimanale d’Ischia. Infine, ci siamo affacciati al quotidiano: da un punto di vista aziendale non ero d’accordo, ma lui non riusciva a stare sei giorni zitto! Era un’energia che doveva esprimersi, gridare. Che rapporto aveva lei, sacerdote fra i più attivi e conosciuti nel paese, con il direttore Di Meglio? IOVENE: Ci siamo conosciuti quando lui era consigliere comunale e io uno spettatore molto interessato alle attività del Consiglio, successivamente, circa 25 anni fa, siamo entrati in conflitto. Accadde quando divenni sacerdote della chiesa di San Pietro (Ndr. Una delle parrocchie più importanti del Comune) e mi attaccò sul Golfo perché ero amico del sindaco Enzo Mazzella, che lui combatteva aspramente, allora ancora attraverso le pagine del Settimanale d’Ischia. Io gli rispondevo che doveva finirla di farmi tanta pubblicità, e alla fine tutto assumeva un tono scherzoso. Ma, a parte questa parentesi polemica, mi è stato sempre vicino in tutte le mie iniziative. Al punto che, intorno agli anni ’90, fummo rinviati a giudizio prima io e poi lui per abusivismo edilizio: accadde che, avendo l’autorizzazione del Comune ma non quella della Sovrintendenza, feci realizzare un varco per gli handicappati all’ingresso della mia chiesa e Domenico mi sostenne fortemente, anche con azioni simboliche come la violazione simbolica dei sigilli, per cui entrambi ricevemmo una denuncia. IL GOLFO: FIGLIO PREDILETTO Con che spirito era realizzato Il Golfo? RISPOLI: Era un giornale che attraversava i partiti, ma ‘le carte le serviva’ Domenico; dava voce a tutti, ma i “Sussurri” e le “Grida” (Ndr. Questo era il titolo della rubrica quotidiana del direttore) erano i suoi. Aveva uno slancio impetuoso verso il popolo ischitano del quale si sentiva totalmente parte. L’isola è una realtà variegata ma da strapaese, è un mondo aggressivo, incapace a darsi uno scopo, percorso da un moto caotico che si perde senza riuscire a orientarsi, a farsi società civile: ecco, Domenico riusciva a sentire con la pancia questo organismo complesso, ne recepiva le pulsioni, Il Golfo di Domenico premeva su questa realtà ed essa sul Golfo, ma lui era anche convinto di poterla orientare attraverso il suo giornale. Ma allora Di Meglio faceva politica con il suo foglio? cercava di incidere sulla società isolana? RISPOLI: Sì, credeva che da questa mescolanza, da questi movimenti fatti anche di spintoni, potesse sorgere qualche cosa. Anche se appariva arrabbiato, Domenico non aveva uno sguardo pessimista, semmai il contrario. Incitava e tirava le briglie, tuttavia credeva che alla fine i tasselli potessero andare al loro posto, che questo popolo di isolani arruffone, disgraziato, geniale si riscattasse, altrimenti non si spiega il ruolo di giornalista così come lo intendeva per se stesso. Concependo il popolo come organismo coeso, era convinto che dovesse approdare a qualcosa di positivo, era una necessità interiore per lui: strillava perché voleva trovare chi lo ascoltasse, convinto che ciò, prima o poi, sarebbe accaduto. E, naturalmente, è passato di delusione in delusione, senza però perdere la speranza. Che ruolo si era dato, che giornalista era? RISPOLI: La politica gli piaceva, ma ciò che amava di più era fare l’opinionista, il suo spazio esistenziale erano i Sussurri e Grida (più grida che sussurri, in verità!); ma l’editoriale era anche lo spazio esistenziale del Golfo stesso, proprio in quanto il giornale era identificato completamente con il suo direttore il quale, quando lo riteneva, emetteva valutazione chiare e decise. Da quando, invece, è gestito da persone che non hanno saputo tenere lo stesso atteggiamento, che non prendono posizione e non manifestano un orientamento preciso sulle vicende e i loro protagonisti, Il Golfo ha cessato di avere motivo di esistere. PINTO: Lo considero senz’altro un giornalista atipico, ma la formula scelta da Domenico Di Meglio gli consentì di allontanarsi dallo schema caratteristico del giornale locale, che di solito nasceva per l’uomo del momento, l’uomo politico, l’uomo di interesse – anche economico – che avrebbe poi dovuto raccoglierne indirettamente il risultato (Ndr. In termini di visibilità, di riscontro positivo, se il caso anche nella forma del consenso politico), mentre il giornale locale non deve essere finalizzato a chi comanda. Come direttore Di Meglio era capace di sviluppare strategie, progetti o piuttosto si faceva guidare dall’istinto, come farebbe pensare il suo temperamento irruento? PINTO: Spinto dall’istinto e dalla passione che erano legati al suo modo di interpretare le istituzioni nella funzione di ‘governo del popolo’, Domenico è stato lucidissimo in tutte le battaglie, ma anche nella fase imprenditoriale. Non ho timore a dire che forse è stato più imprenditore di me, perché la sua intuizione era più netta della mia ragione. Per esempio, l’idea di creare un quotidiano a Ischia e la certezza che ce la potessimo fare era sua, come pure quella del ‘panino’, vale a dire abbinare Il Golfo ad un quotidiano di tiratura nazionale, Il Tempo (e fu il primo esperimento del genere in Italia) e successivamente Il Roma. Era convinto che ci fosse un movimento reale cui Il Golfo dava voce, quindi la sua idea di giornale doveva essere per forza vincente. Talvolta, però, appariva decisamente superficiale: iniziava una battaglia contro una persona senza porsi molte domande… D’altra parte, quando di battaglie se ne fanno così tante, prima o poi si imbrocca quella giusta! CENATIEMPO: Sono d’accordo. Quando scrivi un pezzo, quelle parole, quei giudizi rimangono come pietre. Ora, lui sapeva di correre questo rischio ma sapeva anche di essere solo, di non avere il tempo di approfondire tutto. Noi giornalisti dobbiamo chiederci se vorremmo che si scrivesse su di noi una notizia che non fosse corretta, approfondita: lui questi ragionamenti non li faceva, reagiva decidendo di fregarsene. E’ emblematico, in questo senso, ciò che ha pubblicato contro componenti della propria famiglia, per un eccesso di tensione positiva verso i lettori, verso la sua terra. Il suo quotidiano possiamo accostarlo ad un grande contenitore, un enorme albero di Natale che tutti contribuivano ad addobbare, mentre Domenico metteva solo il puntale e accendeva la corrente per illuminarlo. Allo stesso tempo, credo fosse diventato un po’ vittima di ciò che aveva creato, era convinto che l’ultima parola dovesse sempre e comunque averla lui, non si poneva limiti perché il fatto di essere l’artefice massimo del giornale gli dava una libertà che non esitava a prendersi, salvo poi sbattere la faccia e crearsi molti nemici. Ma lo faceva sempre aspirando ad essere in sintonia con le parti più indifese della nostra società, era davvero il ‘compare’ (Ndr. Nel sud Italia per ‘compare’ si intende una figura che in concomitanza con eventi di particolare pregnanza nella vita di una persona – battesimo, matrimonio – con la sua ricchezza e/o potenza fa da garante, può essere un amico o parente che paga parte delle spese e la cui sola presenza conferisce autorità e prestigio all’evento) dell’umanità un po’ dispersa e senza identità che popola quest’isola. Come riuscì Domenico Di Meglio a creare e, quindi, a far vivere un quotidiano? RISPOLI: Le dirò, senza mezzi termini, che a Ischia spazio per quotidiani non ce n’è e quando tentò l’avventura del Golfo, benché lo conoscessimo come testardo, tenace, un ‘mulo’, comunque non ci avremmo scommesso una lira. E invece ce la fece. Il Golfo era simbioticamente legato alla figura di Domenico: in quel ‘brodo primordiale’ che egli stesso creava ogni giorno sapeva muoversi perché aveva un rapporto con la società molto aperto, era amico di calciatori, teatranti, di ceti bassi e alti, era capace di parlare sul giornale di Dio e delle puttane dedicando loro lo stesso spazio e la mescolanza che realizzava era gradita al pubblico. Domenico oscillava: un giorno decideva che attraverso il giornale si doveva elevare il dibattito politico isolano, il giorno dopo dedicava spazio alla questione: “Le donne che prendono l’aliscafo delle nove meno dieci, chissà dove vanno…” (Ndr. Sottintendendo che andassero a Napoli per prostituirsi)! E quando gli domandavo il perché di questo altalenare, rispondeva che con questo genere di titoli vendeva più copie. Quindi, lo scopo ultimo erano le vendite? RISPOLI: Sì, non per incassare denaro però, ma perché costituiva la sua legittimazione sociale. Era anche una forma di potere e so che non sempre l’ha usato in maniera corretta; tuttavia questo è un affare della coscienza di Domenico, gli ho voluto bene e mi sembrerebbe di fare un torto all’amico interpretando questo modo di intendere il giornale come la strumentalizzazione di un potere oggettivo. Domenico Di Meglio costruiva i personaggi (in positivo come in negativo), le notizie, i suoi attacchi perché doveva vendere il giornale, prima e più ancora che per dare le notizie? TELESE: Prima ancora che vendere, doveva andare in edicola ogni giorno. Era come se ogni giorno dovesse alimentare una fornace, quindi aveva bisogno di una certa quantità di legna, pena il fatto che la fiamma non sarebbe stata abbastanza forte, e doveva procurarsela in qualunque modo: a un certo punto, egli è diventato schiavo di questo meccanismo, nel senso che ne condizionava le scelte e gli atteggiamenti. Come viveva il rapporto con Il Golfo, che atteggiamento aveva verso la sua creazione? RISPOLI: Credo che la passione per il giornale a Domenico sia costata la vita, gli dedicava una quantità di tempo sterminato, gli potevi parlare male dei suoi familiari ma non della sua creatura. TELESE: Era un feticcio e come tale gli ha sacrificato tutto, a partire dalla famiglia. E non so se questo fosse un bene: finiva, infatti, per apparire vittima del personaggio del ‘Direttore’ che aveva costruito e della sua ‘creatura’, e non dimentichiamo che le due cose si identificavano assolutamente. Che significava essere l’editore di Domenico Di Meglio? PINTO: Dargli la libertà di parlare, cioè non caricare su di lui il peso del costo economico, dovevo centellinare il denaro ma vivevo i suoi stessi ideali, condividevo il suo modo di pensare, se lui non prendeva i contributi non li prendevo neppure io. Rappresentavo quello che pagava in proprio i ‘peccati’ di Domenico. Da parte sua, era votato al peggio, anzi ha vissuto nel peggio: per un periodo abitava in una casa praticamente sotto il monte Epomeo, perché solo lì aveva trovato un affitto abbastanza modico da poterselo permettere. Il riscontro dell’efficacia e dell’autonomia del nostro agire lo abbiamo avuto quando a un certo momento Il Golfo ha sovrastato tutte le istituzioni, non solo quelle comunali intendo, e venne aperta una megainchiesta contro di noi, con lo scopo preciso di chiuderci. Ci sono stati momenti in cui Il Golfo se l’è vista male economicamente? PINTO: Sì, il giornale ma anche Domenico, che per la sua generosità distribuiva lo stipendio a chi gli vendeva qualche notizia, a qualche drogato che gli si metteva affianco, mi sono anche trovato con un mazzo di cambiali che aveva firmato per conto di altri e non sapevamo come pagarle! In cosa si trovava in disaccordo con lui? PINTO: Vista egoisticamente, avrei voluto un po’ di equilibrio in più, per me a volte il peso era enorme. Non vi è mai capitato di litigare fino ‘a mandarvi a quel paese’, come lui che aveva un temperamento sanguigno, ha fatto con tanti? PINTO: No, perché ciascuno di noi due era libero di occupare il proprio posto, lui ne avrebbe trovati altri cento di finanziatori come me, c’era la volontà di entrambi di stare insieme, ci completavamo. I POLITICI: GRANDI ANTAGONISTI Domenico Di Meglio come direttore del Golfo aveva un atteggiamento di ostilità verso gli amministratori: era sempre stata questa la sua visione della politica? RISPOLI: No, quando partecipava attivamente alla politica, lo faceva con entusiasmo, soffrendo per la posizione di emarginazione del suo partito, l’MSI, che era tenuto fuori dall’arco costituzionale (Ndr. Il partito che era espressione della destra in Italia non fu tra quelli che, dopo la Seconda guerra mondiale, parteciparono alla stesura della Costituzione dell’Italia Repubblicana), anzi la sua carica vitale non si spiegherebbe senza una passione politica nella quale prendeva corpo. Che lettura dà della posizione negativa, che talora appariva anche pregiudiziale, che Di Meglio teneva nei confronti dei politici che gestivano il potere, quelli in carica, per capirci? TELESE: Sono convinto che gli veniva dalla sua cultura fascista. Ricordiamoci che il fascismo nasce contro la politica storica, quella espressa da liberali e socialisti, e lui è stato il campione di questa cultura fascista, e sottolineo fascista e non di destra, perché la destra è altro. CENATIEMPO: Il politico, in quanto uomo forte, era qualcosa da circumnavigare, salvo poi abbracciarlo completamente quando esplodevano gli innamoramenti totali. La sua posizione verso i politici era questa, “Se fate cose buone, perché non devo parlarne sul giornale?”. La verità è che se facevi ‘muro contro muro’ ti schiacciava, ma bastava saperlo prendere. Domenico esprimeva continuamente giudizi di valore, e spesso con approssimazione: estremizzando un po’, possiamo dire che ci è apparso forse come un moralista (benché dicesse di non esserlo), in quanto aveva un’etica popolare che pensava di dover difendere. TELESE: Gli riconoscevo una straordinaria onestà e una straordinaria ingenuità e questo è un tratto molto importante, perché un ingenuo si riesce a portarlo dalla propria parte facilmente. Ecco, una volta che lui aveva deciso di essere amico di qualcuno, si sbilanciava moltissimo, si esponeva a favore di queste persone. E c’è sempre stato chi ha sfruttato questo suo modo di essere e si è servito del rapporto di simpatia personale che per lui era così importante (al punto di anteporlo al ragionamento argomentato), per arrivare ad avere il palcoscenico formidabile che era costituito dal suo Golfo. Salvo poi scaricarlo quando non gli era più utile… Che rapporto avevate instaurato, lei da politico e lui da giornalista? TELESE: Lui tendeva a costruire dei personaggi, positivi o negativi, e lo faceva in primo luogo, naturalmente, con i politici. Avemmo un rapporto molto fecondo quando ero all’opposizione che divenne, invece, rugginoso quando fui eletto sindaco. Questo si spiega col fatto che, nella prima fase, ero ‘funzionale’ alla sua linea politica e fece di me l’antagonista del sindaco allora in carica, Gianni Buono. La verità è che, in quel momento, i nostri interessi coincidevano: io lo osteggiavo in quanto ero consigliere di minoranza di centrosinistra e lui perché Buono era visto nel centrodestra locale come l’alternativa a Salvatore Lauro (Ndr. Importante imprenditore dei trasporti eletto senatore di Forza Italia in due legislature, nel 1996 e nel 2001), al quale Domenico era allora molto vicino. Per capire la situazione che si creò, si deve considerare che Lauro, come parlamentare e leader del centrodestra nell’isola, faceva sentire molto la sua presenza sul territorio e nel collegio e lavorò sia per portare un proprio candidato a fare il sindaco di Ischia che, giustamente dal suo punto di vista, per creare una polarizzazione della politica, centrodestra contro centrosinistra. Non a caso, quando si arrivò alle Comunali del 1998, il centrodestra non mi contrappose il naturale candidato, il sindaco uscente Gianni Buono appunto, che fu scalzato per lasciare il posto a Franco Scotto D’Abusco, fortemente sostenuto da Lauro. A quel punto, Il Golfo, che aveva seguito in maniera molto positiva la mia attività, sia come oppositore che nella prima parte della campagna elettorale, nella fase finale di questa e soprattutto durante la mia sindacatura, mi attaccò molto. In quanto sindaco di Ischia ero l’esponente di punta dello schieramento di centrosinistra e quindi il giornale di Domenico, che aveva fatto una scelta di campo, era contro di me, era come se si sentisse in dovere di rappresentare attraverso Il Golfo una destra di opposizione rispetto alla mia giunta di centrosinistra. Io questa cosa gliela dissi con chiarezza e lui si offese molto, scrisse e affermò più volte che il suo non era un giornale di parte e che era aperto a tutti i contributi. Negò di essere l’alfiere del centrodestra a Ischia e di dare spazio solo a quella parte politica. Quel che è certo è che dopo la fine della mia esperienza come sindaco (Ndr. La giunta Telese fu fatta cadere dopo un paio d’anni), mi disse che eravamo stati una buona amministrazione, ma naturalmente a noi il riconoscimento sarebbe servito prima! E’ oggettivo che Il Golfo ‘firmato Domenico Di Meglio’ desse molto spazio alla politica, ma pensa che egli sia riuscito ad influire con il suo lavoro di giornalista sulla politica e sulle decisioni prese dalle amministrazioni? TELESE: Purtroppo no: dico “purtroppo” perché questo va rubricato come un fallimento. Le sue battaglie, per esempio contro Enzo Mazzella (e figure politiche a lui vicine come Gigino Castagna che chiamavano ‘Il Viceré’ e il ‘re’, naturalmente, era il sindaco Mazzella), non hanno tolto consensi elettorali a queste persone. Più in generale, chi ha resistito ha sempre vinto con Domenico, la politica e i suoi esponenti sono riusciti a difendersi e lui non ne ha scalfito il potere. PINTO: No, non ha cambiato le cose, ma ha dato una coscienza critica a chi era preposto a cambiarle, cioè ai politici stessi, che operavano tenendo conto anche di quello che gli veniva dalla piazza, sicuramente a lungo rappresentata da Domenico. Era un moralizzatore? PINTO: Era un provocatore. Domenico non si è mai sentito l’uomo della verità assoluta, il valore assoluto che lui vendeva non era la verità ma la passione. Certe scelte della politica lui le condivideva anche, ma le contestava in quanto si era ritagliato il ruolo di voce critica, voleva vestire i panni della minoranza, perché era convinto che questo fosse il compito di un giornale. Non ha avuto paura di parlare e di criticare un sistema di potere costituito, dalla Chiesa alla magistratura, dalla politica all’Arma, ha criticato la lobby annidata nel sistema. Non è un atteggiamento qualunquista, questo? PINTO: Non doveva essere Domenico a garantire dal qualunquismo, ma chi faceva la politica; lui rivestiva il ruolo dell’oppositore che sta in piazza, e come tale leggeva i fatti, come uno che non ha la responsabilità di fare, di agire, responsabilità che appartiene ad altri. Chi erano i suoi nemici? TELESE: Poiché era una voce fuori dal coro, spesso una voce contro, sempre sopra le righe, incisiva anche se direi non profetica, sicuramente Di Meglio osteggiava la politica vista come apparato. Questo atteggiamento di sostanziale libertà dava fastidio e molto alla politica, e quindi tutti tentavano di ‘saponificare’ il personaggio per renderlo inoffensivo, ma non ci sono riusciti. IL RETTORE… Text: Peppino Brandi Il Rettore… della libera Università di giornalismo di Serrara Fontana era Domenico Di Meglio. Gli avevo affibbiato questo epiteto per via di una torma di giornalisti-pubblicisti che, nell’arco di pochi anni, era riuscito a sfornare con il suo “Golfo”. Ma non se ne doleva Domenico, anzi, esibiva con malcelato orgoglio la patacca che gli avevo rifilato. Che carattere il tuo! Capace di essere rivoluzionario ma anche pigro pantofolaio, barricadiero ma anche uomo d’ordine, contestatore ma anche governista. Volevi cambiare il mondo mantenendo intatta la tua ‘vis pugnandi’. Impegnato in ugual misura nel mondo dello sport, nella politica, nella società civile, e su tutto nel giornalismo a cui hai dedicato la vita. “Non mi toccate i nipoti ed il giornale” era il tuo credo. Come è dolce il tuo ricordo anche perché abbiamo incrociato spesso il fioretto della dialettica, in verità lotta impari era la nostra perché il fioretto era la mia arma ma tu davi sotto di scimitarra. Ti eri fatta la fama di uomo rude e dalle maniere spicce, come quando a telefono rispondevi al tuo interlocutore non con il consueto ‘pronto chi parla’ ma piuttosto con un perentorio ed ultimativo ‘chi si?’. Tanto che per te avevo coniato il neologismo ‘bruscale’ che essendo la sintesi di brusco e brutale voleva delineare il tuo carattere di superficie. Sì, perché solo chi ti conosceva bene ed a fondo sapeva che dietro quegli occhiali dalla spessa montatura nera ti guardavano gli occhi buoni. Così mansueti e languidi. Ti ricordo giovanissimo, non ancora diciottenne, e magrissimo, non ancora…, balzare come un grillo dalla sede gialloblù in via Buonocore, per annunciare ad una pattuglia di tifosi che l’Ischia, al terzo incontro con l’Angri ed al 120° con una rete di testa di Illiano, era stata promossa in quarta serie. Si parlava già di te in quei primi anni Sessanta come di un giovane pieno di risorse e di voglia di vivere. Ti attendeva l’impegno politico e quello della carta stampata. Ci incontrammo all’inizio del ’75 in Consiglio Comunale, io capogruppo della maggioranza e tu dell’opposizione di destra. Altro che incontro, fu un memorabile scontro, quando nel mio intervento affermai ‘emarginata la destra neofascista’ e nel tuo intervento la sottolineatura che vi erano più ‘neofascisti nella DC che nel MSI’. Ma la politica da militante, ben presto, cedette il passo alla più grande passione della tua vita: il giornalismo. Anzi, la direzione di un settimanale prima e di un quotidiano poi. Da quella cattedra potevi toccare tutte le problematiche che una società multiforme ed in dinamica mutevolezza presentava. Eri su tutti i problemi, a volte li anticipavi con una visione lungimirante, pronto a trattarli con asciuttezza di linguaggio e profondità di analisi. Non facevi sconti a nessuno, nemmeno ai tuoi famigli. La notizia per te era sacra, salvo trattarla con i guanti o con l’accetta. Eri un cardiaco sognatore e ti compenetravi nel ruolo che ti eri dato come coscienza critica della società in evoluzione. Sognatore, sì sognatore, capace di imbarcarti con tanti altri amici in avventure verso l’ignoto, come quando coinvolgesti amanti di Diana e non nell’acquisto di quella grande tenuta in Toscana che doveva diventare riserva di caccia, agriturismo e tante altre cose. Avevi una grande capacità di coinvolgimento e facevi partecipare gli altri ai tuoi sogni. Peccato che questi e quelli si dileguassero con i primi chiarori dell’alba. Eri paladino dei deboli, degli ultimi, dei diseredati, come quando ospitasti a lungo in una roulotte davanti alla sede del tuo giornale uno che non aveva ricevuto alcunché dalla società, ed a cui perfino la dignità era stata tolta. Eri titolare dei due binari della vita: passione civile e sensibilità sociale. Era piacevole frequentarti e ci siamo donati momenti di serena amicizia proprio quando le avanguardie crepuscolari della vita si intravedevano ai nostri orizzonti. Come erano piacevoli e saporiti gli spaghetti consumati alle pendici dell’Epomeo. Era stato Mizar (Ndr. Giovan Giuseppe Mazzella), forte della sua capacità di ‘mezzano’, a volere quell’incontro che, con cadenza settimanale, svolgevamo nella sua casetta abbarbicata sui nervosi dossi serraresi. Ero io a preparare in cucina gli spaghetti con quella salsa da te prediletta. Pomodori freschi nella stagione giusta e di ‘boccaccio’ in inverno, tirati con peperoncino, basilico e vino rosso, e poi mantecati con parmigiano grattugiato al momento. Mezzo chilo in tre. Avevi una punta di diabete mellito, ma una volta alla settimana si poteva fare. E dopo, tu a schiacciare un pisolino stravaccato su di un prendisole, Mizar ai piatti (era addetto alla ‘plonge’ e svolgeva questo ruolo con umiltà), ed io ad interrogare il futuro attraverso il solitario ‘Napoleone’, (mi sentivo tanto Macbeth che interrogava le streghe ‘evocatele pur, se del futuro mi possono chiarir l’enigma oscuro’), poi una volata giù a Fiaiano per un simpatico caffè e la ripresa del tuo lavoro. Certo a vedere i personaggi che calcano il palcoscenico della politica, (tu li chiamavi ‘personacci’), non saresti stato contento e ricordo quando mi confidasti che mai avresti voluto, alla fine di una vita spesa per elevare la cifra politica degli ischitani, amaramente ammettere di ‘aver figliato dei servi’. Non ci sei proprio ora che sta per nascere ‘il bambino’ del Comune Unico. Avresti ricondotto il dibattito sul tuo quotidiano nell’ambito delle proposte e delle analisi, aborrendo l’orrido cicaleccio che oggi avvolge questa grande novità. Scusami se in questo tuo ricordo mi sono abbandonato ai toni crepuscolari ma, sai, sono partito dalle utopie giovanili per ritrovarmi soffocato nel cinismo delle delusioni. Forse, se tu fossi ancora qui… L’ISOLA: “QUESTA E’ LA MIA GENTE” Quanto pensa che il Golfo abbia cambiato la società civile isolana? PINTO: Profondamente, per il modo in cui Domenico ha fatto il giornale. Lui è stato un attivista in tutto ciò che lo ha interessato come cittadino. Era un attivista come ultrà della tifoseria calcistica, era un attivista come componente del MSI, era un attivista di piazza quando c’era da rivendicare qualcosa, come consigliere comunale. In una società che si trasformava, non avendo più presa sulla piazza attraverso la politica, ha continuato a gridare attraverso la ‘piazza’ rappresentata dal giornale. TELESE: Penso che il periodo d’oro del Golfo, quando il giornale ha giocato un ruolo determinante e quindi Di Meglio ha costruito il suo potere, sia andato dal 1985 e al 1995, quando il suo quotidiano era l’unica voce a disposizione di chi avesse una dimensione pubblica o ambisse ad averla. Questo tipo di potere, secondo me, termina con la sindacatura di Gianni Buono (Ndr. Sindaco dal 1994 al 1998), cui Domenico con la sua continua azione di opposizione giornalistica riuscì a dare una forte spallata. Che rapporto aveva con l’isola? La conosceva bene? RISPOLI: Conosceva uomini e cose: se Domenico non andava da loro, uomini e cose venivano da lui. Essendo Il Golfo la camera di decantazione degli scontri locali, in primo luogo quelli politici, era diventato un crocevia, una grande piazza mediatica, di cui lui era il proprietario, ma anche il capopolo. Aveva un fortissimo senso di appartenenza all’isola, amplificato dalla convinzione di dover essere la cassa di risonanza della sua gente. Questo era il limite suo e della sua creazione e insieme la loro ragion d’essere, ma perché un limite divenga una carta vincente, è necessario che ci sia un personaggio che viva il limite con densità, come una ricchezza, e Domenico ci riusciva. CENATIEMPO: Il mondo di oggi non consente la conoscenza profonda e credo che si sentisse sempre un po’ solo. Era un carnale, si faceva coinvolgere, affascinare da una tavolata, da una gita, un incontro, un dibattito, ma da lì a conoscere davvero gli altri… sapeva che era impossibile. Tuttavia, avere informazioni sugli altri, conoscerne i segreti dà un potere incredibile. La gente lo amava davvero? PINTO: Lui rappresentava l’inconscio della gente, ma non i loro interessi. Nel periodo in cui Domenico costruiva con forza la propria identità di giornalista, a partire dalla fine degli anni ’70, nell’isola la ricchezza diffusa cresceva esponenzialmente, il paese si trasformava, l’abusivismo era dilagante. La gente si poneva criticamente verso questi cambiamenti tumultuosi e approvava le sue battaglie; salvo che poi, quando arrivava il momento di votare, sceglieva chi consentiva e avallava certe cose. Questo, però, per lui non costituiva un problema. Intraprendeva tante battaglie sapendo già che sarebbero state perse, ma era pressante la necessità di avere risposte o, quanto meno, di mettere i problemi sul tappeto. Ricordo che Il Golfo vendeva moltissimo e durante una campagna elettorale fece una battaglia contro il sindaco Enzo Mazzella fino a metterlo nudo sul giornale e, tuttavia, la DC vinse con un margine molto alto: ciò significa che Domenico non ha inciso su quel voto, anzi il fenomeno così come l’ho descritto era fotografato con precisione da quel voto, nel senso che gli ischitani dicevano: “Tu hai ragione, ma preferisco il peccato!”. Le sue lotte non erano finalizzate ad interessi personali, e questo lo garantisco io, perché abbiamo rifiutato assegni in bianco che ci arrivavano. Prima del Golfo, l’isola aveva avuto l’esperienza di un altro giornale, professionalmente ben fatto, ma realizzato per poter sostenere Enzo Mazzella (Ndr. Pinto si riferisce al Giornale d’Ischia, fondato e diretto prima da Franco Conte e poi da Peppino Mazzella, socialisti, e molto vicino politicamente a Enzo Mazzella e al suo progetto amministrativo, che il giornale supportò). Noi nascevamo anche in contrapposizione a questo modo di fare notizia. Era un persona potente? E se sì, ha esercitato questo potere? CENATIEMPO: Più che essere potente, Domenico poteva esercitare un’influenza e questa è già una forma di potere, anche se meno schiacciante dell’idea comune che abbiamo di potere, come di qualcosa che si esercita dall’alto, da parte di un’entità costituita. Era cosciente di avere la forza di influire sui destini delle persone e ha spesso cercato di orientare il timone nella direzione di aiutare gli altri, nel senso di quelli che a suo insindacabile giudizio avevano bisogno di essere sostenuti e aiutati. Il limite è questo: quante volte il suo giudizio è stato fallace? TELESE: Domenico con una campagna di stampa ‘ti levava la pelle di dosso’, era capace di scrivere decine di editoriali uno dietro l’altro per raggiungere il suo obiettivo: aveva una grande capacità di incidere e lo sapeva. Naturalmente, in questo senso era avvantaggiato dalla mentalità tipica del paese, dove si compra il giornale per sapere ‘quali guai ha passato’ il conoscente, l’assessore, il vicino di casa. E DOPO DOMENICO? Domenico Di Meglio è davvero morto? CENATIEMPO: In quanto uomo-quotidiano, sì, è morto. Non ha lasciato nulla? Ha portato tutto via con sé? CENATIEMPO: Ha lasciato il vuoto. Era, nel bene e nel male, un punto di riferimento importante che è venuto meno in una realtà ‘tanto paesana quanto spaesata’, qual è Ischia. Ho sentito subito, nell’immediatezza della sua scomparsa, che finiva tutto con lui, ci ha lasciato il fatto di non esserci più, un vuoto non colmabile, il massimo che si può lasciare. PINTO: Quando è morto Domenico ho detto subito (e c’è chi questo discorso lo ha accettato e chi no) che avremmo fatto un giornale con delle regole imprenditoriali e professionali e niente di più, perché non individuavo chi potesse assumere un ruolo, non dico uguale a quello di Domenico ma che ci potesse garantire un risultato come quello conseguito da lui. Quindi, ho deciso di andare avanti con Il Golfo assumendomi tutti i rischi e pericoli prevedibili e che avevo previsto. Infatti, c’è stata una grande anarchia all’interno del giornale, che si è riflessa nel tipo di informazione che si è data; i principali protagonisti del quotidiano, i politici, sono rimasti spiazzati dalla scomparsa improvvisa di Domenico, c’è stato chi si è buttato a capofitto per farsi raccontare, ma anche chi ha scelto di non parlare. Insomma, nel dopo-Domenico c’è stata una fase non dico negativa, ma senza valore, proprio nel momento in cui l’isola è di nuovo presente politicamente nei posti che contano ed è necessaria una voce forte nella società civile per dare stimoli a chi ci rappresenta nei palazzi. Questo non è stato capito, la stampa locale ha fatto solo gossip, si è parlato del nulla, hanno proliferato i giornali gratis, finalizzati alle carriere personali e a meschinerie di ogni genere. TELESE: Un Domenico Di Meglio oggi manca, perché c’è sempre bisogno di una voce come la sua e c’è sempre spazio per questo tipo di figura, anzi lui lo spazio se lo rubava, non aveva bisogno che qualcuno glielo desse. Com’è cambiato Il Golfo dopo la morte di Domenico Di Meglio? RISPOLI: Un tempo, otto volte su dieci, nella ‘piazza’ semovente che è l’aliscafo carico di pendolari, i titoli del Golfo innescavano la discussione. Oggi, dieci volte su dieci non fanno parlare di sé, la gente si limita a sfogliarlo, perché durante il viaggio si deve far trascorrere il tempo in qualche modo: ecco, questa differenza non è poco! Il figlio di Domenico Di Meglio, Gaetano, durante “Tutti per Domenico”, la serata che Ischiacity e Riccardo Sepe Visconti dedicarono al direttore del Golfo appena morto disse “Nuie ‘u Golf sapimm fa”! Questo non è vero, il Golfo sapeva farlo Domenico e non è facile fare il Golfo senza Domenico, può diventare altro, anche interessante, ma comunque è cosa diversa. Manca la penetrazione dell’isola che lui aveva, la conoscenza del territorio, quella sorta di ubiquità, di sguardo che andava ovunque: per lui tutto ciò era un atteggiamento di vita. Adesso, realizzare a Ischia il quotidiano stando sul filo del rasoio fra distacco e partecipazione, è difficile, a meno che non si crei un progetto editoriale originale, che giustifichi il fatto che questa ‘cosa’ continui ad andare in edicola tutti i giorni. CENATIEMPO: Domenico contava sulle proprie forze, era il punto di riferimento di se stesso, ha sempre fatto tutto da solo: era il suo limite ma anche il suo grande vantaggio. Non a caso, quando è morto dissi subito “adesso bisogna fare il giornale”, secondo una gerarchia e una gerenza di cui lui non ha avuto bisogno: certo, distribuiva incarichi, ma il prodotto finale era dato da quello che lui, il ‘megadirettore galattico’, un ‘supereroe’ decideva che dovesse avere dignità di pubblicazione. Domenico Di Meglio è riuscito a formare dei giornalisti, ha lasciato sul territorio un’eredità in termini di professionisti? CENATIEMPO: Domenico ha aiutato tanti a prendere il tesserino da giornalista pubblicista perché voleva che le persone si affrancassero, fossero libere, si migliorassero, ma non ha fatto scuola, perché accentrava tutto, era il direttore di se stesso e non concepiva di dover insegnare. TELESE: Il ruolo di padre-padrone del giornale, l’impostazione così personale che gli aveva dato hanno impedito la crescita di altre figure, e anche quando alcune persone sono emerse, a un certo punto lo hanno tradito nelle sue aspettative e abbandonato. Quando Domenico Di Meglio è morto, faceva tutto da solo e, dopo la sua morte, tutti quelli che avevano ruotato attorno al Golfo non c’erano a prendere il testimone. Per cui, oggi, Il Golfo è cosa completamente diversa da quello che aveva creato, mantenuto in vita da persone completamente diverse da quelle che lo realizzavano quando lui era il direttore. IL “DIRE” Text: Ida Trofa “Muore lentamente chi evita le passioni, chi non rischia le sue sicurezze per l’insicurezza di un sogno”, così mi scrisse un giorno in un biglietto fattomi recapitare a casa. E così credo che Domenico, il “Dire” per me, intendesse la vita, intendesse il suo sogno di giornalista. Il suo era uno stile di vita, più che un lavoro, quello stile di vita che adoravo tanto e che per lungo tempo ho inseguito senza sapere bene cosa stessi inseguendo, prima di incontrare qualcuno che viveva come avrei voluto io, che pensava quel che pensavo io e che mi comprendesse nel mio modo di vedere le cose. Quell’uomo che come me era passato dalle squadrette alla tastiera. La sua grandezza, per quel poco che ne possa capire una come me, è stata la semplicità, la totale assenza di schemi e di regole, se non una regola: il giornale prima di tutto! Non c’era ostacolo che tenesse, non c’era vincolo o difficoltà che lo abbattesse. Ad ogni vicolo cieco, era subito pronto a trovare una nuova via, un nuovo modo per cominciare perché Domenico Di Meglio ha dedicato tutto se stesso ad un sogno, ha dedicato la sua vita alla passione per il giornalismo senza sosta, senza ferie, senza pause. Riusciva a sopperire l’assenza di agenzie di stampa, l’incertezza nel verificare una notizia, con l’istinto, con una magistrale e capillare rete d’informatori costituita dai suoi collaboratori – certo – ma soprattutto dai suoi lettori perché il giornale di Domenico Di Meglio, in ultimo il suo “Il Golfo”, è sempre e solo stato il giornale di tutti, senza tabù, senza cesura. Tra l’altro non credo che Domenico si soffermasse a leggere i pezzi che gli venivano inviati, almeno non in maniera approfondita. Si è sempre fidato. Gli bastava l’indizio telefonico… poi diceva: “Fai! Fai!”. Ricordo che c’erano persone che ad ogni incidente, ad ogni fatto, ad ogni sopruso lasciavano un messaggio in segreteria, nel caso non lo trovassero in linea, prima di rivolgersi alle autorità competenti o magari prima di chiamare il 118. E’sempre stata una cosa che credo sconvolgesse gli operatori stessi! Ovviamente questa sua forza, questo suo spirito non gli hanno evitato le amarezze e le delusioni, ma queste sono le regole del gioco e lo scotto che deve pagare un uomo buono come lui. Perché Il Golfo aveva tanto successo? Perché era il giornale di tutti, era il giornale per tutti, era una speranza ed una certezza perché è sempre stato un giornale d’impegno sociale, di denuncia e di sostegno a quanti l’hanno chiesto, a quanti non avevano voce e con Domenico Di Meglio ne hanno trovata una, che continua a fare eco e provoca rimpianto ancora adesso. “Il Golfo” era Domenico Di Meglio e Domenico Di Meglio era “Il Golfo”, il giornalel’uomo della gente per la gente. Lavorare per lui è stata un’esperienza importante, al punto da farmi capire che non ci sarebbe stato nessun altro posto al mondo dove poter esprimere liberamente i propri pensieri, scrivere i propri articoli, senza censura, senza comunicati come si è abituati in gran parte dei giornali. Io volevo essere semplicemente la corrispondente de “Il Golfo” di Domenico Di Meglio… Che litigate! Era così bello ed incredibile da far spavento! Non c’era carenza istituzionale e vessazione che tenesse, bastava un cenno che Il Golfo cadeva giù come una mannaia, colpiva senza distinzione fino ad ottenere il risultato desiderato, sempre e solo per amore della giustizia e della verità. Così quando il Dire cominciò a non stare bene ebbi paura, tanta da isolarmi. Ancor di più mi spaventava il fatto che aveva lavorato con tenacia ed abnegazione al suo libro, la sua autobiografia, come se già sapesse tutto. Ho avuto l’onore di leggere qualche passo durante la stesura ed ogni volta gli ripetevo: “Ma perché vai così di fretta, perché stai scrivendo questa cosa così di corsa, mi dà l’impressione di un testamento!”. Percepivo che da un momento all’altro sarebbe finito tutto, avrei perso quel vocione con cui ridevo al telefono, mentre raccontavo le mille peripezie, le avventure e le disavventure per raggiungere una notizia. Avrei perso chi capiva ciò che dicevo e scrivevo, avrei perso chi m’ha consentito di sognare e scoprire come volevo vivere. Ma lui faceva spallucce e rideva soddisfatto, perché in fondo aveva avuto tutto ciò che desiderava, ogni traguardo che s’era imposto (tranne uno forse: quello della “parabola del negro e del suo sessantesimo compleanno”). Domenico Di Meglio era capace di trasmettere valori e professionalità con una carica umana come solo i burberi buoni sanno fare. L’avvocato Nino D’Ambra dice che Domenico è un costruttore di giornali e credo che il ruolo avuto nell´isola sia lui stesso a spiegarlo nel suo libro “Sussurri e grida” quando scrive: “E’ stato il mio sogno, l’ho perseguito con tenacia, ne ho fatto un lavoro per me e per tanti giovani che vi hanno creduto. Il giornalista, se interpreta correttamente il proprio lavoro, è una sorta di missionario laico in una società che è dominata dalle notizie. Un missionario a cui è demandato il compito di raccontare e spiegare quel che accade nel mondo nel modo più onesto e veritiero possibile. Per farlo il giornalista dovrebbe evitare di predicare bene e razzolare male, perché l’ipocrisia è la peggior nemica della verità e della credibilità. Ho cercato sempre di interpretare questo ruolo nel modo più onesto e coerente possibile, non nascondendo mai la mia idea sui singoli eventi, facendo dei miei giornali luoghi d’incontro di idee ed avamposti di difesa dei più deboli e di assalto per la tutela dei diritti, specie di quelli di chi non aveva e non ha altro modo per garantirsi”. È per questo che in molte case, dove altrimenti non si sarebbe letto alcun giornale, si acquistava Il Golfo, per sapere cosa accadeva a casa nostra, per leggere un po’ di politica, un po’ di sport, un po’ di gossip ‘al sugo di coniglio’. Ha avuto un ruolo, ha aperto la mente e dato spunti di lettura tra il serio ed il faceto che per tanta gente è difficile ancora adesso ammettere. La politica e l’impegno in tal senso hanno avuto sempre un ruolo fondamentale. D’altronde, la Politica è lo strumento che comanda ed opera nella direzione delle vessazioni, delle ingiustizie, che incide in maniera determinante nei rapporti tra i ceti dominati ed il popolo. Il Direttore non ha mai negato la sua militanza, cui dava il merito di avergli conferito una certa capacità di analisi. Una politica che ha prima condizionato (come dice lui stesso nei suoi “Sussurri e Grida”) il suo percorso giornalistico, ma si è rivelata, poi, fondamentale nel suo lavoro e fondamentale nel renderlo un apolide della politica moderna, capace di non accettare bavagli, di fare le scelte che più si adattano alla propria mentalità ed intelligenza. Come nella politica anche nel lavoro giornalistico, tranne rare eccezioni motivate, non accettava strumentalizzazioni da parte di chi pensava di “fottere” il prossimo in nome di valori cui teneva solo in apparenza. Per questo il Direttore aveva sempre un rapporto diretto e schietto con i politici, sapeva sempre da che parte prenderli… molto spesso erano i testicoli! Di quel lavoro, di quell’uomo resta il rimpianto e l’amarezza. Resta il vuoto, totale, assoluto, aberrante… obliquo e penetrante, nel constatare che esiste gente che gode del suo sacrificio, permettendosi il lusso di dire: “Non fare mai il giornale di Domenico Di Meglio” e parlo di godere del suo sacrificio a più livelli, da chi s’è fatto giornalista, a chi ha assunto a vario titolo un ruolo in questa società e così via. Tra un po’ avranno anche il coraggio di cancellare dalla testata del giornale la scritta: “Fondato da Domenico Di Meglio”! Ma puoi uccidere l’uomo, non l’anima e lo spirito. È forse per questo che io non potrei mai scrivere per chi solo pensa questa cosa, per me è inconcepibile negare il valore di chi t’ha dato un’occasione. E pensare che per il Dire ho cominciato scrivendo ricette. La cosa che adoravo di più erano i racconti in notturna. Spesso nelle feste, Natale, Pasqua eravamo soli all’opera (dicevo io). Io lo sapevo alla tastiera, lui mi sapeva a casa pronta a rispondere alle sue richieste, incidenti, primi nati, botti di Capodanno, casi eclatanti. Così a fine lavoro, non so perché, finivamo sempre per parlare di cosa sarebbe accaduto se non avesse più diretto Il Golfo. Di cosa avrebbero fatto senza di lui. E lui sempre sarcastico diceva: “E che m’importa ne ho già pronto un altro. Poi se non ci sarò più, che mi frega di quel che accade, io ho gettato le basi, l’impianto è solido”. Eppure, in quelle sue brevi affermazioni v’era la contraddizione. Se prima aveva ammesso che la gente avrebbe seguito lui in qualunque modo si fosse chiamato il Suo giornale, subito dopo faceva della sua creazione una macchina perfetta capace di andare avanti oltre Domenico Di Meglio. Forse i dati delle vendite mi smentiranno, ma quel che conta sono le vendite, pare. Il Golfo di Domenico Di Meglio era un’altra cosa, era coraggio, sacrificio, rabbia, strilli, bestemmie, liti furibonde, errori, lotta, contraddittorio, amore, era il giornale della gente ora è Il Golfo “di chi non lo farà mai come Domenico Di Meglio”. Tutto qua! Quel che più mi ha colpito ripensando ai dialoghi con il Direttore è che lui parlava sempre di vita, impegno, lavoro; della morte, poco. Una frase scritta in merito mi affligge, ora, ripensando a tutto quanto accaduto e a quanto continua ad accadere: «La vita oltre la morte continua nelle opere e nel ricordo». Sarà vero?