Thursday, November 21, 2024

STEFANO ZECCHI: “ACCENDIAMO IL CERVELLO”

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“Ho fatto molte cose e me ne faccio un punto d’orgoglio, ho anche una rubrica su “Novella 2000”, mi piace essere nazionalpopolare ma resto, prima di tutto, un professore”.

Scrittore, giornalista e accademico italiano, il professor Stefano Zecchi è stato ospite della rassegna culturale estiva “Libri d’a…mare”, organizzata da Enzo D’Elia a Lacco Ameno, dove in piazza S. Restituta ha presentato il suo ultimo romanzo “Rose bianche a Fiume”. Con lui abbiamo affrontato temi di forte attualità: partendo dall’idea di lettura oggi, considerata dai più un’attività d’elité, siamo arrivati alla scrittura, nata come esigenza e divenuta un’azione essenziale per la vita di Zecchi e dei suoi lettori.

 

Professor Zecchi, quanto è importante una manifestazione come “Libri d’a… mare” che si tiene d’estate, in un momento in cui si sente dire che leggere “non è più di moda”?
Queste manifestazioni, se sono fatte bene, hanno una funzione. Innanzitutto di intrattenimento e, in secondo luogo, di comunicazione di opere che possano incuriosire. Messe insieme queste due cose, dipende molto dall’ambiente, se risponde o meno; dipende da come la lettura viene percepita dalla gente. In una manifestazione di questo tipo, a Trieste, ho la coda di persone che vengono a chiedermi l’autografo: lì c’è una percezione della lettura davvero molto forte.
Ma questa convinzione che ormai non si legge più, è un luogo comune o una verità?
È, piuttosto, una mezza verità, ma non si può generalizzare. Molti hanno scelto altre strade, come i supporti elettronici, ma sono comunque lettori. I giovani leggono meno perché distratti dal gioco elettronico, dal telefonino, ma varia da ambiente ad ambiente. Non bisogna dimenticare che chi insegna a leggere è prima di tutto la famiglia, se un ragazzo non vede il genitore prendere un libro, perché dovrebbe farlo lui? A scuola la lettura è imposta, sono davvero pochi i professori che insegnano ad amare la lettura.

Tra saggi e libri ha scritto una marea di parole, ma cosa rappresenta, per lei, la scrittura?
È un passatempo. Mi piace scrivere ma poi bisogna fare una precisazione. La mia vita è impostata nell’università, ho fatto molte cose, ma resto prima di tutto un professore. C’era bisogno di mostrare una capacità di ricerca e quindi ho scritto saggi. Mi piace raccontare, mio figlio da bambino si vantava perché gli raccontavo storie che non erano scritte da nessuna parte. Ecco, il romanzo mi ha cambiato la vita dal punto di vista economico e gli altri libri hanno avuto una certa fortuna. Da un lato, quindi, la scrittura è esigenza di testimoniare attività di ricerca e professionalità, dall’altro scrivere è un piacere.
L’ultimo suo libro s’intitola “Rose bianche a Fiume”, ci racconta la genesi di questo romanzo? Ho voluto testimoniare, attraverso un racconto di fantasia, una vicenda tragica della nostra democrazia, il passaggio dal fascismo alla democrazia e dalla guerra persa alle conseguenze di questa guerra persa, quando parte della costa Adriatica
dell’Italia venne ceduta alla Jugoslavia. Questo ha portato ad autentici drammi mai raccontati veramente, per convenienza politica.
Io non sono uno storico, non sono in grado di scrivere scientificamente di storia ma, narrativamente, so di riuscire ad arrivare al cuore della persona e dei lettori. È il secondo libro che ho ambientato in quella realtà e ha avuto un bel riscontro tra vendita e affettuose testimonianze. Questo ti dà la sensazione di fare qualcosa che serve non solo per te ma anche per gli altri.
C’è un messaggio in particolare nascosto tra le righe del suo libro?

Una delle cose più intense del romanzo, che nasce con questo senso del ritorno, è il fatto che il vero tradimento che si può perpetrare nella nostra vita è quello di dimenticare. È questo quello che vorrei sottolineare: quando uno dimentica tradisce se stesso.
Lei ha scritto un saggio che si intitola “L’uomo è ciò che guarda. Televisione e popolo”: se è vero che l’uomo è ciò che guarda, possiamo dire che ‘l’uomo è anche ciò che legge’?
Lì ero partito da Feuerbach e dal suo “l’uomo è ciò che mangia”, che è un po’ la tesi centrale del materialismo storico. Oggi che i frigoriferi sono fin troppo pieni, l’uomo diventa ciò che guarda in televisione, quello che uno sceglie di guardare. La televisione è sempre sul banco degli imputati, se non si legge la colpa è sua, se ci sono rapine, anche…! La responsabilità, in realtà, è di chi sceglie ciò che vede in TV: con quell’affermazione volevo invertire il senso di responsabilità. Un uomo è ciò che legge? Forse. È chiaro che chi decide di impegnarsi nella lettura di qualche classico ha un desiderio di farsi la sua cultura personale. Il cervello si accende di più con un buon libro che con la settimana enigmistica!
Professore, c’è un libro che le ha cambiato la vita?
Uno solo no. Ai miei studenti dico di leggere almeno cinque libri che per me sono fondamentali, non ti cambiano la vita ma la impostano. L’“Iliade”, dove c’è il rapporto dell’uomo nei confronti dell’altro, lo scontro sul potere, il rispetto del divino, lotte che non hanno confini umani; il “Fedro” di Platone dedicato all’immortalità dell’anima; qualche canto della “Divina Commedia” per capire le radici della nostra tradizione culturale. “Il Faust” di Goethe in cui troviamo l’uomo che si confronta con la scienza e il sentimento della bellezza e ancora “I fratelli Karamazov”. Per la letteratura del ‘900, invece, dipende dalla sensibilità di ognuno di noi. La lettura è figlia del nostro sogno, quando si sceglie un libro, lo si fa attraverso la propria sensibilità, quindi per me Proust per il tema della memoria, poi si può essere il sognatore appassionato che legge Lawrence e “L’amante di lady Chatterley”, il sognatore con la ricerca del senso in modo profondo che legge Thomas Mann e chi, invece, ha una visione drammatica della vita e legge “Il processo” di Kafka.

Qualcuno, negli ultimi tempi, ha ipotizzato un’“apocalisse del libro”, secondo lei, avverrà mai?
No, non credo. Ci potrà essere un avanzare dei supporti elettronici per quanto riguarda i giornali ma sul libro non credo, penso che il libro resti: sono convinto che il passaggio dal libro alla riflessione ha bisogno di un supporto concreto. Poi il libro ha la sua bellezza, una qualità estetica che andrebbe rivalutata.
Progetti futuri?
A ottobre esce il mio nuovo libro dedicato al lusso, un piccolo breviario per donne e uomini di lusso dove do indicazioni di lettura. La cultura è fondamentale per capire cosa significa lusso e non essere dei cafoni: oggi si rischia di immaginare la persona di lusso se attorniata da cose costose ma quella, di sicuro, è la strada verso la cafonaggine.

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text_Isabella Puca | photo_archivio Ischiacity

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