Text_ Gianluca Castagna Photo_ Ischiacity
Taki non era un nome d’arte. In Grecia tutti i Dimitri si chiamano Taki. Diminutivo che arricchisce e completa la parabola, di vita e d’artista, di Taki Calise. Era nato a Rodi, nel 1947, da madre greca e padre foriano, ma ha vissuto tutta la sua vita a Forio, la cittadina turrita dell’isola d’Ischia. Amandone le bellezze, i paesaggi, le tradizioni, la gente. Un radicamento fortissimo, anche se – quando glielo chiedevano – diceva di essere greco.
Aveva frequentato assiduamente tutti i cenacoli culturali e artistici che tra gli anni Cinquanta e Sessanta fiorivano a Forio, intorno a figure di celebri artisti del calibro di Bargheer, Guttuso, Cremonini, Pagliacci. Lui stesso sarebbe diventato Maestro insuperato della ceramica e della terracotta, materia che prosciuga cellule e tessuti delle sue tante donne, liberandole così da ogni vischioso equivoco o pietosa convenzione.
Figure eterne e familiari, fertili come la terra, misteriose come il mare, completamento indispensabile al vitalismo maschile, narcisistico e solare. Donne più espressive, o meglio più avide di patire e sviscerare finte, o vere, emozioni rispetto all’impulso prometeico e automatico degli uomini. Anche lì, nei gorghi della psiche dove, come sempre, Eros e Thanatos s’incrociano e si fondono.
Nelle creazioni di Taki si ritrovano la solarità mediterranea e mitografica, la simbologia del viaggio, il ritorno del rimosso, la caducità dell’amore dal futuro incerto, la forza del corpo che rassicura e protegge, incursioni divertenti/divertite nell’immaginario sessuale, sempre liberatorio rispetto alla sancita prassi societaria. E ancora la bellezza liquida e informe del mare, delle sue creature coloratissime dagli occhi enormi, sirene che guizzano all’improvviso dall’acqua, pura e celestiale, che dagli abissi chiamano a sé l’eletto per farlo entrare nel giardino delle delizie. Un assaggio di paradiso, un’avventura meravigliosa, prima che la sirena sparisca inghiottita dai flutti profondi. Ma il mare, per Taki Calise, sempre restituisce all’immaginazione la bellezza del sogno. Le onde riportano a riva le proiezioni del desiderio che proliferano nei fondali della psiche, dei sensi e della fantasia.
Nei cardini della sua riflessione estetica più recente figure doppie, multiple, archi ricchi di creature marine, quasi a favorire la moltiplicazione dei punti di vista dell’artista in quello stregato paese delle meraviglie chiamato Mediterraneo. Molte le opere rimaste incompiute. Una donna con le mani protese verso il cielo, inclinata, ieratica e forse malinconica perché privata del suo “doppio”, rimasto grezzo, irrisolto, separato da ciò che nella mente di Taki, era inseparabile. La separazione forzata (Taki scompare improvvisamente, nel 2006, prima di completare l’opera) spiana la strada all’immaginazione, condensa immagine e desiderio fuori del tempo, in uno spazio assoluto dove l’una è lo specchio dell’altra, o la sua nemesi o chissà che altro. Taki Calise giocava con le forme della creatività e della vita. Eclettico, gioviale, curioso, appassionato. Perché – è bene ricordarlo – all’inizio c’è comunque il fuoco, il magma rovente, la fatica della fucina. A suo modo anche ingenuo, se è vero che – lo racconta il figlio Michele – un giorno voleva regalare, anziché vendere, alcune sue ceramiche all’attore premio Oscar F. Murray Abraham, entrato nel suo negozio/laboratorio nel centro di Forio e innamoratosi all’istante delle sue creature stilizzate in terracotta. A dieci anni dalla scomparsa, Taki Calise è stato celebrato con un’esposizione di alcuni dei suoi lavori più significativi, dal 18 al 26 giugno, al Bar Internazionale di Forio. Una serata durante la quale Michele, gli amici Franco Iacono, Giuseppe Castiglione e Andrea Esposito hanno ricordato l’uomo e l’artista. Nel 2017 Taki Calise avrebbe compiuto 70 anni: l’occasione buona per una mostra e un catalogo che sappiano assicurare unitarietà a un corpus espressivo che, al di là delle apparenze, mostra una coerenza netta ed evidente.