Friday, November 22, 2024

Theater- IL TEATRO SIAMO NOI

n.10/2006

Photo: Redazione Ischiacity
Text: Riccardo Sepe Visconti

 

Ischiacity ha incontrato Francesco e Alba Caccavale, proprietari dei maggiori teatri napoletani

R: Com’è iniziata la sua avventura nel mondo del teatro?
M’interesso di spettacolo si può dire dalla nascita: è una cosa di famiglia, perché mio padre ha fatto un po’ di cinema e di teatro. Ho avuto un circuito cinematografico e quando il cinema ha cominciato a declinare e seppi che l’Augusteo era andato in malora, fino a essere anche un cinema a luci rosse, decisi di rilevarlo, agli inizi degli anni ‘90.

R: Era un momento di fermento a Napoli: era già stato rilanciato il Bellini e si riaprì il Mercadante…
Alba: Per noi furono impegnativi i lavori di ristrutturazione. L’Augusteo era stato requisito e poi rinnovato dagli americani nel dopoguerra; poi era passato ad una società francese che lo aveva modernizzato aggiungendo controsoffittature alla cupola di Nervi e strutture di plastica, quindi abbiamo dovuto eliminare tutto questo.
Francesco: L’idea era di farne sempre un cinema, poi scoprimmo che si trattava della prima costruzione in cemento armato di Luigi Nervi e che era un teatro con tanto di palchi, camerini, un palcoscenico ampio, risaliva al ’28 e aveva la licenza per “arte varia”.
Alba: In qualche modo l’Augusteo stesso ci portò a fare teatro.

R: Quanto c’è di romantico e quanto di imprenditoriale nel momento in cui dovete valutare un nuovo progetto?
Ci muove sicuramente la passione, ma bisogna fare necessariamente i conti e quindi capire ciò che il pubblico vuole. Oggi la tendenza è a vedere il teatro come una maniera di staccare la spina, un puro passatempo, tuttavia mi piace anche rifare opere classiche. Così ho convinto Roberto De Simone a riprendere “La gatta Cenerentola”, e poi “Napoli Milionaria”, riproposta da Luca De Filippo con una scenografia che di per sé era già uno spettacolo, come oggi è necessario con spettacoli ormai sulle scene da tempo; e poi “Rugantino”, Moliere…

R: Qual è il momento più importante per voi?
Preparare il cartellone. Mentre, per esempio, allo stadio non va il pubblico ma il tifoso, non è possibile classificare il pubblico che frequenta i teatri, è una bestia con cento teste e quindi accontentare tutti (tranne forse che con “Scugnizzi”) è impossibile. Il teatro Augusteo detiene un invidiabile record… Infatti, siamo il primo teatro in Italia per numero di presenze nell’intera stagione, superiamo anche Il Sistina di Roma.

R: A chi va il merito?
Alba: Francesco ha la grande capacità di saper scegliere, il locale è amato, sta in centro: è un insieme di fattori che ha determinato il successo dell’Augusteo.

R: Qual è il rapporto dei napoletani con il teatro? Non è un caso che Totò, Edoardo, Nino Taranto, Carosone siano napoletani, e non dimentichiamo Troisi e Arbore che pur essendo pugliese si è formato a Napoli e poi c’è la grande tradizione della canzone. Napoli è un palcoscenico: quando facciamo i provini a Napoli troviamo un ‘materiale umano’ che non c’è altrove in Italia. Allora parliamo di “C’era una volta Scugnizzi”… Con Claudio Mattone, autore di musiche e testo, abbiamo discusso della possibilità di fare questo musical per 4 anni: l’idea mi convinceva e mi fidavo delle sue capacità. Quando finalmente ci siamo decisi, all’inizio tenni “Scugnizzi” in cartellone per un mese, quanto si dà a “Rugantino”, quindi credetti da subito nel progetto, ma il successo che ha non l’ha registrato in Italia nessun altro lavoro teatrale, neppure “Aggiungi un posto a tavola” o “Rugantino” e ormai siamo al quinto anno di programmazione e la richiesta di rivederlo è sempre alta.

R: Dovete qualcosa a Nanni Loy e al suo film “Scugnizzi”?
Francesco: Direi di no, la trama è diversa, il musical racconta le vicende di un gruppo di ragazzi usciti dal penitenziario di Nisida, anzi il film era in un certo senso un pericolo per noi, perché nelle sale non andò bene. “Scugnizzi” è uno spettacolo corale, in cui ognuno ha il suo spazio, dal prete al camorrista, ai ragazzi, con una voce portante che è Sal Da Vinci.
Alba: “Scugnizzi” è emozionante per chi sta in sala, al di là dei contenuti teatralmente funziona. Sono venuti a vederlo il presidente Ciampi e la moglie e alla fine erano in piedi ad applaudire.
Francesco: Spesso mi sono messo davanti in sala per vedere le espressioni degli spettatori durante lo spettacolo: si piange e si ride insieme e l’entusiasmo è enorme.

R: E il teatro Politeama?
Il Politeama è uno dei palcoscenici più grandi della Campania, quindi abbiamo stabilito un accordo con il San Carlo, che lo utilizza per le prove della lirica e della scuola di ballo, ma anche per spettacoli, operine, concerti.

R: Qual è secondo lei lo stato di salute attuale del San Carlo?
Non buono, come tutti i teatri lirici del resto. L’attuale soprintendente, Gioacchino Lanza Tomasi, nipote del ‘Gattopardo’, ha una competenza eccezionale, ma il problema è economico, non riescono ad avere un bilancio attivo. Penso che le istituzioni dovrebbero sostenere maggiormente il teatro della città: va detto che i teatri di altre grandi realtà italiane, penso a Milano, sono sponsorizzati dalle banche e dai grandi imprenditori, che come aziende e in prima persona sono vicini al teatro.

R: Vi capita di emozionarvi quando assistete alla grande riuscita di uno spettacolo?
Alba: Sicuramente con Giorgio Gaber, che era l’incarnazione stessa del teatro, trascinava letteralmente il pubblico; e poi Arturo Brachetti, con uno spettacolo che è poesia. E poi si partecipa all’emozione degli attori che conosci. Ricordo che andai a salutare Loretta Goggi prima della prima di “Hello Dolly” e lei, che ebbe un successo travolgente, era un pezzo di ghiaccio e mi disse di aver paura.

R: Molti giovani desiderano diventare attori di teatro?
A Napoli certamente sì: scrivono, telefonano, mandano copioni. Una volta Lello Arena mi chiese il teatro per fare dei provini. Era già stato a Milano, Torino, Genova, Firenze, Roma e quando andai a trovarlo mi disse: “France’, quello che sta a Napoli non si trova in nessuna parte d’Italia!”. Su 1000 provini si potevano prendere 900 ragazzi.

R: Cosa pensate delle scuole di recitazione?
Francesco: Se ben fatte sono utili per insegnare la dizione e gli aspetti tecnici. Quest’anno abbiamo messo in cartellone la scuola di Carlo Buccirosso che con i ragazzi lavora molto.
Alba: Ricordo che aprì la scuola molti anni fa e riuscì a costruire nel tempo una vera compagnia con una parte dei suoi allievi che ha seguito sempre, nonostante l’impegno personale come attore. Adesso ha deciso di riaprire le iscrizioni alla scuola, a cominciare dai bambini.

R: Che progetti avete?
Noi eravamo in simbiosi con il Sistina che ogni anno faceva 2 o 3 compagnie che erano una garanzia. Adesso che Garinei non c’è più, stiamo pensando di produrre anche noi un paio di spettacoli a stagione ed è un lavoro impegnativo, anche sul piano economico. Siamo in cerca di idee, che è poi il vero problema del teatro di oggi. Penso che la scelta giusta sia quella di dare spazio alla contemporaneità, che è ciò che più interessa il pubblico che può ritrovarsi con immediatezza nella storia: in fondo grandi autori come Viviani ed Eduardo hanno messo in scena i loro tempi.

R: Come giudicate la scelta sempre più diffusa di rappresentare il teatro fuori dai teatri?
Alba: dipende dallo spettacolo: ad esempio Beppe Grillo che deve parlare, se ben amplificato funziona… Ma ci è capitato di rivedere sotto un tendone lo spettacolo che Massimo Ranieri aveva fatto da noi e l’effetto è diverso e si perde qualcosa.
Francesco: Toscanini diceva “all’aperto si gioca a bocce” e aveva ragione. Arbore e l’Orchestra Italiana hanno debuttato da noi e le cose si prendevano sul serio: il biglietto, la poltrona…Poi lo rividi a Salerno sotto una tenda ed era trasformato in una sorta di gioco per ragazzi, in cui gli spettatori erano continuamente distratti.

R: Quali sono i vantaggi del teatro sotto i tendoni o all’aperto?
Francesco: Sicuramente di far incassare di più al produttore. Al Festival di Ravello, per esempio, mi è capitato di assistere al concerto di un’orchestra famosa disturbato dal passaggio di un aereo o dalla pioggia…o dai pipistrelli! Penso che lo spettacolo che si presta a essere rappresentato in questi contesti sia il rock, destinato ai giovani, che lo trasformano in un happening. Tuttavia in generale non sono d’accordo con la moda di portare gli spettacoli tra i monumenti antichi, lo ritengo offensivo per questi ultimi. Mi sembra che la cultura divenga un mercato: un esempio di questo meccanismo è il proliferare di eventi e spettacoli promossi dalle istituzioni locali e oggi avverto la saturazione provocata da questo proliferare, che fa anche pensare a una volontà di distrarre da problemi e questioni serie.
Alba: Devo dire che a me non dispiace l’idea di far rivivere teatri antichi, come Pompei o Pozzuoli, ambientandovi spettacoli, anche moderni.

R: Che fine ha fatto la funzione anche educativa e di espressione di certi valori propria del teatro?
Francesco: La si ritrova sicuramente in opere come quelle di Pirandello, ma i giovani per lo più non vanno a vederlo.
Alba: Tuttavia si deve dire che c’è modo e modo anche di fare spettacolo puro: ad esempio ritorno a Brachetti che nei suoi giochi di colori si sente che vuole comunicare delle cose.

R: Cosa pensa di Renzo Arbore?
In questo momento dovrebbe fare più televisione, e d’altra parte però ha avuto con alcune trasmissioni un successo che probabilmente è irripetibile e lui è una persona intelligente. Ama la musica napoletana, il jazz e la musica in genere e fosse solo per questo va stimato. Se lui non avesse riproposto “Luna rossa” i più giovani non conoscerebbero questa canzone, anzi gli dò una colpa, quella di aver iniziato una strada colta, di gusto e interessante e a un certo punto si è fermato e mi chiedo perché. Comunque attualizzare le vecchie canzoni non sempre è facile, la canzone napoletana è alta composizione musicale. Prendiamo ad esempio Valente, un vero musicista che insegnò alla corte della regina Vittoria. C’è un aneddoto divertente su Gambardella: lui non sapeva scrivere la musica, fischiava i motivi e un altro li metteva su carta. Un giorno un autore napoletano si recò da Puccini e questi, congedandolo gli chiese di portare i suoi saluti al “maestro Gambardella”. L’altro rispose che lo avrebbe fatto senz’altro ma che Gambardella non era un “maestro”. Al che Puccini ribadì di salutargli il “maestro” e poiché l’altro insisteva Puccini disse che chi aveva composto “I mo more i mo more pe’ te, comm’ è bello fa l’ammore cu te” 53’ “è un maestro”.

R: E Roberto De Simone?
È un grande musicologo e maestro, tutto ciò che fa ha una logica e un gusto e porterei a teatro qualsiasi cosa realizzasse De Simone. Quando convinsi Virginio Villani e lo stesso De Simone a rifare “La gatta”, Villani mi chiese di intercedere per portarlo anche al Sistina. Al che Garinei mi disse “lo abbiamo già fatto anni fa, ma come si fa a dire di no al più grande regista italiano?”. Poi chiamai Milano e un primo teatro espresse dei dubbi sul fatto di rappresentare “queste cose napoletane”, allora mi rivolsi al Lirico dove l’opera ebbe enorme successo. Oggi Milano teatralmente è una città che ha pochissimo da dire e non è un caso che “Scugnizzi” non sia andato a Milano.