Valerio Massimo Manfredi, scrittore famoso per i suoi romanzi dalle ac- curate ambientazioni, spesso collocate nel mondo antico, nell’ambito della Rassegna Libri d’A…mare, ha presentato il suo ultimo romanzo “Il mio nome è Nessuno. L’oracolo”. In questa intervista illustra le ragioni dell’importanza per la storia dell’Europa dell’antica colonia di Pithecusa, che 2800 anni fa i Greci fondarono in quella che oggi è Lacco Ameno, ponendo così Ischia al centro di eventi fondamentali per la civiltà e la cultura dell’Occidente, ma commenta anche le difficoltà in cui si dibatte il sito archeologico di Pompei.
Da studioso e narratore del mondo antico, ci racconti il valore che ebbe Pithecusa nell’ambito della formazione della nostra cultura. Il museo che raccoglie i reperti di Pithecusa è importantissimo, custodi- sce, infatti, le testimonianze della più antica fondazione greca in Occi- dente, da cui discesero conseguenze straordinarie, perché significò l’in- nesto della civiltà greca nel sud Italia. Gli abitanti del posto vennero in contatto con una cultura molto sviluppata, che i coloni portarono con sé come hanno dimostrato proprio i ritrovamenti di Ischia, e che li aiutava a non sentirsi sradicati. E non per caso ambientarono le avventure di Ulisse nel Tirreno, cioè nell’Occidente che andavano esplorando, Sicilia, Nord Africa, golfo di Napoli, Circeo, Campi Flegrei, le isolette Li Galli, perché collocare in quest’area il passaggio di uno degli eroi più importanti del ciclo epico troiano ha reso quel mare meno sconosciuto, meno ostile, meno inquietante perché da lì è già passato l’eroe che ha sconfitto il ciclope, ha eluso le sirene, ha attraversato lo stretto di Scilla e Cariddi. Come i reperti di Ischia contribuiscono a raccontare la storia della civiltà greca in Occidente?
La coppa di Nestore è emblematica: l’iscrizione che vi è graffita dice “Certamente la coppa di Nestore era bellissima, ma chi beve da questa coppa sarà preso dal desiderio per l’aurea Afrodite”. Questi versi sono la prova che gli antichi coloni ischitani conoscevano bene l’Iliade in cui appare l’eroe Nestore e, quindi, che avevano trasferito qui il tesoro im- materiale costituito dai poemi epici del ciclo troiano. In seguito, popoli importanti dell’Italia antica, come gli Etruschi, da questi Greci hanno pre- so l’alfabeto (che passarono poi ai Romani), le armi, hanno identificato i loro dei con quelli greci: una reazione chimica formidabile che creerà la civiltà italiana che, a sua volta, ha dato vita a quella occidentale.
Come mai un museo che custodisce un patrimonio di tale valore è poco visitato? Perché è un museo che non ha oggetti spettacolari, grandi statue, bron- zi, pitture, è molto specializzato e presuppone nel visitatore delle co- noscenze, che gli consentano di comprendere com’era la vita di questo sparuto gruppo di uomini che hanno dovuto superare infiniti ostacoli per giungere fin qui.
Qual è il fascino di Ulisse, protagonista della sua trilogia?
In lui ci riconosciamo tutti, nelle sue storie d’amore, nella sua sete di av- ventura, nel fatto che sul campo di battaglia era straordinario ma poteva anche essere preso dal panico e darsi alla fuga, era devoto e insieme blasfemo nella sua sfida agli dei. Ogni generazione l’ha reinterpretato se- condo la propria cultura: il suo sentimento era quello di tutti i colonizza- tori, commercianti, marinai che sfidavano l’ignoto, inseguendo ricchezza e avventure, ma al tempo stesso volevano ritrovare la propria famiglia. La Campania è custode di alcuni siti antichi eccezionali, come è si- curamente Pithecusa; tuttavia, lo stato in cui si trova per esempio Pompei ci indigna: c’è un margine per far rinascere Pompei e qual è la strada giusta? E’ solo una questione di mancanza di fondi?
Pompei è una città riportata alla luce dalle ceneri che la sommersero, con edifici realizzati in materiali poveri, mattoni e malte, non di pietra e marmi (come il Pantheon di Roma, per esempio): certo non possiamo seppellirli di nuovo, dobbiamo quindi proteggerli. Quei muri, esposti alle intemperie si gonfiano e scoppiano. Dell’ultimo restauro si è detto “sem- bra una pizzeria!”: ma è inevitabile che le decisioni prese non possono trovare tutti d’accordo, tuttavia delle decisioni si devono pur prendere, mentre noi abbiamo una tendenza eccessiva a parlare, polemizzare e non scegliere. Mentre se non si individua un sistema di copertura e piove sempre di più è inevitabile che Pompei si sbricioli. Il dibattito ha un senso se arriva a una conclusione, altrimenti diventa un reciproco neutralizzarsi che ha come risultato il disastro. Dobbiamo abituarci a prendere delle decisioni anche con la consapevolezza di scegliere il male minore, indivi- duare un accettabile compromesso frutto delle conoscenze e competen- ze che abbiamo in materia di restauro. Piuttosto, laddove è possibile, le strutture andrebbero coperte, cosa che in passato si è fatta, per esempio alla villa dei Misteri, dove si realizzò una copertura il più possibile simile a quella originaria, e dove non si è potuto si è aggiunto materiale moderno nel rispetto della verosimiglianza. Se presentiamo un complesso arche- ologico ben tenuto, i milioni di visitatori di Pompei tornando nei loro paesi diranno gli italiani sono stati esemplari; adesso invece mostriamo una situazione malandata e si dice di noi “non meritano di avere quel patrimonio”.