Thursday, November 21, 2024

28/2012

Photo: Enzo Rando
Text: Iris Romano

 

Era il 1966 quando al vino d’Ischia fu riconosciuta la DOC nelle accezioni di Ischia Bianco ed Ischia Rosso. Un riconoscimento straordinario per l’epoca, perché il primo ad essere assegnato in Campania ed il secondo in Italia, dopo la vernaccia di San Gimignano. Ciò fa capire quanto all’epoca contasse il nostro vino, come venisse apprezzato e che considerazione se ne avesse, tant’è vero che Mario D’Ambra può essere considerato uno dei padri dell’enologia non solo ischitana ma di tutta la Campania. Allora, gli ettari coltivati a vite erano almeno 2000 e sicuramente la produzione si assestava su livelli quantitativi imponenti, ad esempio 120.000 hl secondo un censimento del 1962. Oggi, gli ettari vitati sono solo poco più di 300 (censimento del 2000) e la produzione si assesta intorno ai 60.000 ettolitri… Sono dati importantissimi che in sé racchiudono una serie infinita di considerazioni. Prima fra tutte, l’impatto che l’urbanizzazione incontrollata e piratesca, dovuta anche all’ampliamento esponenziale dell’industria turistica, ha avuto sui nostri terreni agricoli, specialmente quelli prospicienti la costa. Vigne e vigne spazzate via da casermoni e costruzioni di frodo, realizzate senza tenere in considerazione alcuna l’immenso ed unico patrimonio ampelografico dell’isola. Il vino ischitano è legato a doppio filo a tre vigneti in particolare: Biancolella, Forastera e Per ‘e palummo che spesso i produttori vinificano in purezza, tant’è vero che nel 1993 il disciplinare della DOC è stato modificato per valorizzare queste produzioni; inoltre, una serie di altri vitigni presumibilmente si possono trovare solo qui: guarnaccia, uva rilla, coglionara, san lunardo, tintora, levante, cacamosca… a cui si aggiungevano uve come catalanesca, lentisco, lugliese, nocella, pane, san filippo, zibibbo, coda cavallo e sorbigno che sono state polverizzate a causa della diversa destinazione d’uso dei nostri vigneti. Attualmente, però, forti del momento di grande risonanza mediatica dell’enogastronomia ma anche di un bisogno atavico di ritorno alle proprie origini, tramite la salvaguardia ed il ripristino di certi patrimoni (come il vino) che segnano indelebilmente l’identità di un territorio, stiamo assistendo alla ripresa della coltura della vite e della produzione del vino d’Ischia non secondo canoni quantitativi ma, per fortuna, qualitativi. Giovani e “vecchi” produttori si stanno facendo piano piano portavoce di una sorta di rinascimento eroico, grazie al quale i nostri vini sono sempre più qualitativamente interessanti, ben aderenti alla territorialità e realizzati partendo dal presupposto imprescindibile che i VINI BUONI si fanno innanzitutto IN VIGNA. Quindi, grande attenzione alla conduzione dei terreni vitati, spesso usando tecniche di produzione integrata o addirittura biologica che mirano ad un uso ridotto o nullo di prodotti agrochimici. Importantissimo è anche il lavoro di molti dei nostri storici produttori per il recupero di alcune delle varietà di vite scomparse. Bisogna ricordare, inoltre, che non solo dal punto di vista del vino ma anche dal quello della ristorazione, l’isola negli ultimi quindici anni è cresciuta notevolmente. Si fregia di due ristoranti che figurano tra i primi cento in Italia, Il Melograno con una stella Michelin ed Il Mosaico dell’albergo Terme Manzi con due. Ci sono poi strutture che da anni fanno parte del gotha della ristorazione italiana come Umberto a mare, il Saturnino, Alberto alle spiagge, il Focolare, il Limoneto, Peppina di Renato e altri sono nati da poco e stanno dimostrando il loro valore come l’Indaco del Regina Isabella e il Visconti del Regina Palace… ovviamente l’elenco non si conclude qui ma queste sono le realtà attualmente più in vista. E’ probabile, quindi, che Ischia sia pronta (anche vista la presenza di produttori locali di ottimi liquori, marmellate, miele) ad accogliere un nuovo tipo di turismo, quello che interpreta la vacanza come ricerca di eccellenze enogastronomiche, tra l’altro, un settore molto vitale nonostante la crisi. Da questa considerazione si è partiti nel 2004 per costituire la Strada dei vini e dei prodotti tipici dell’isola d’Ischia, dopo che nel 2003 anche la Campania ha aderito al progetto Strade dei Vini. Per il presidente, Vito Iacono “unire le eccellenze di un territorio appare una scelta strategica obbligata” ed i suoi obiettivi sono chiari: privilegiare il prodotto tipico da parte delle aziende turistiche e comunicare al turista che a casa sta portando un prodotto di indiscutibile valore, attraverso il quale si contribuisce alla tutela del territorio. Inoltre, la Strada dei vini dovrebbe creare occupazione, formando una nuova figura professionale (che il presidente individua nei microtassisti), esperta del territorio e della sua enogastronomia, che accompagni il turista in un tour conoscitivo dell’isola e delle sue bontà. Uno dei progetti più urgenti della Strada dei vini è sicuramente quello della salvaguardia del territorio e dell’ ”architettura” delle nostre vigne e quindi il salvataggio delle ‘parracine’, i muri a secco in pietra che servivano e servono per il contenimento dei terreni, per i quali Vito Iacono ha chiesto lo stato di calamità. Noi, come appassionati e comunicatori di cibo, vino e delle nostre isole, ci auguriamo solo che si faccia ciò che si dice, che “tipico” non sia solo una parola di marketing usata per vendere quel limoncello o quella bustina di condimenti, che Ischia non sia solo un marchio, ma il luogo di provenienza reale di ciò che beviamo o mangiamo. E quando non è possibile servire o produrre qualcosa di effettivamente locale (perché è possibile che, ad esempio, la produzione di pomodori isolana non riesca a coprire il fabbisogno intero dei 60.000 abitanti cui si sommano i 300.0000 di turisti che ogni anno ci visitano), semplicemente lo si dica, non c’è nulla di male in questo, se il prodotto da cui partiamo è di assoluto valore. L’onestà paga sempre, e ci auguriamo che prima che “tipico” il prodotto-Ischia sia innanzitutto un prodotto etico e di qualità sempre altissima. IL NASO E IL VINO Due vini sotto la lente del chimico: identici per i valori di acidità, per il contenuto di zuccheri e l’estratto. Si annusano: uno è pessimo l’altro è ottimo. Il nostro naso è lo strumento più affidabile, probabilmente l’unico che ci può garantire la qualità di un vino, che è tra i prodotti agricoli il più vario ed eclettico per sensazioni percepite, per stile e qualità. E’ affascinante la sua degustazione, un atto che va oltre il consumo, cioè quando lo beviamo per completare il cibo che stiamo mangiando. Un atto che ci coinvolge completamente, la nostra attenzione è votata, in quel momento, a quel liquido: lo guardiamo, ne apprezziamo il modo più o meno fluido di aggrapparsi alle pareti del bicchiere, i suoi colori che vanno dal giallo verdolino al giallo ambra per i bianchi, dal rosa pallido al cerasuolo per i rosati, dal porpora all’aranciato per i rossi. E se sono bollicine, ci ipnotizza il lento ed ordinato scorrimento del loro perlage. Ma è il momento in cui lo sentiamo al naso l’attimo più coinvolgente. L’allenamento alla degustazione ci può far riconoscere in un vino odori che vanno dai fiori, alla frutta, rossa, bianca, gialla, tropicale, acerba o addirittura in confettura. Ci può ricordare il mare con note saline e di macchia mediterranea come la lavanda, il finocchietto selvatico e perfino il rosmarino. Possiamo sentire vaniglia, cannella, pepe nero o pepe rosa, mandorla amara o frutta secca tostata, mele, tabacco, crosta di pane, cuoio e perfino catrame. E molti di questi aromi ci riveleranno anche di che vino parliamo. Il suo sapore, infine, ci parlerà innanzitutto di come i suoi componenti sono in equilibrio tra loro, soprattutto in che modo zuccheri ed acidi si sono armonizzati ed in che equilibrio si trovano, e partendo da questo e dal tipo di vino che stiamo bevendo (secco o dolce, morbido o spigoloso, tannico, sapido, fresco), possiamo decidere non solo con che cibo abbinarlo ma addirittura fare una stima degli anni che vivrà. BIANCOLELLA Il colore di questo vino, in genere, è un ben identificabile giallo paglierino che nell’annata di produzione gode di giovanili riflessi verdolini e gira nel bicchiere speditamente ma, comunque, in maniera elegante e vellutata. Al naso fiori e frutti bianchi, accompagnati da una nota di frutta esotica la fanno da padrone, mentre in bocca è fresco e sapido e dotato di una morbidezza tale da rendere l’insieme molto piacevole. E’ il vino perfetto per la nostra vigilia di Natale a base di baccalà fritto, spaghetti ai frutti di mare e in generale pietanze di pesce. La sua freschezza, infatti, riesce a pulirci la bocca dall’untuosità del fritto e la sua sapidità accompagnata ad una certa persistenza e aromaticità, sa bene fare da spalla agli spaghetti con le vongole. FORASTERA Il suo è un colore giallo carico, illuminato da vivace riflessi dorati. E’ un vino semplice, che al naso si rivela immediato con note soprattutto erbacee e minerali. In bocca è sapido e fresco. E’ un ottimo aperitivo da bere prima del Biancolella, magari proprio con il baccalà fritto come antipasto. PIEDIROSSO E’ il vitigno più presente in Campania dopo l’Aglianico, e spesso ha un ruolo dI gregario dell’aglianico, in quanto serve ad ammorbidirne i difficili tannini. Ad ischia, ma anche nei campi Flegrei, è chiamato Per ‘e palummo, per il colore rosso dei pedicelli quando è giunto a maturazione e che ricordano le zampe dei colombi. E’ dotato di un classico colore rubino o porpora addirittura quando è molto giovane, e mostra profumi freschi di fiori e frutta rossa. E’ da bere giovane, è un vino onesto e sincero ma particolarmente eclettico che può accompagnare carne e pesce, straordinario l’abbinamento con la zuppa di pesce o tradizionale con il coniglio all’ischitana. La vigilia di Natale possiamo berne un bicchiere con la pizza di scarole, la sua lieve morbidezza ed i tannini teneri ben bilanciano l’amaro della verdura e delle olive nere ma può accompagnare anche le ben più ricche portate del pranzo di natale o del cenone di Capodanno, come gli arrosti o l’immancabile cotechino con le lenticchie. Allora Forastera e Biancolella per cominciare, Piedirosso per finire. Ma la costante di cene della vigilia, cenoni e veglioni sono rococò, mustacciuoli, panettoni, pandori, frutta secca, pasta di mandorle e struffoli che possono accostarsi bene con i vini passiti o le vendemmie tardive che molti dei nostri vignaioli producono a partire dal Biancolella, con l’aggiunta di qualche piccola quantità di altre delle nostre uve. In conclusione, la giusta degustazione di un vino è un atto che richiede studio, allenamento, assaggi continui, confronti con i produttori. Anche la degustazione deve essere etica: il vero degustatore racconta ciò che realmente quel vino vuol dire e non inventa sentori e profumi che derivano da un uso puramente accademico ed ossequioso dell’atto del degustare. Come dicevo, nei vini si possono trovare migliaia e migliaia di odori e profumi e ciò è scientifico e legato alla composizione chimica delle uve di partenza, alla fermentazione e all’invecchiamento, ma quando il degustatore recita e dice cose che non sente, allora è sacrosanto che venga preso in giro e fatto oggetto di caricature televisive. Il vino è la poesia della terra diceva Mario Soldati: sta a noi sommelier che siamo l’interfaccia ultima dei nostri produttori, comunicarlo nella maniera giusta e corretta, anche usando toni romantici e poetici ma sempre veri e facili da comprendere.

#cantine #ischia #vino

 

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